ВОЙНА: The entire history of you

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Le luci dei villaggi intorno alla fortezza di Gigaspach brillavano come occhi attenti, fissi sul manipolo di avventurieri che in questo momento calcavano il suolo di quello storico luogo. L’oscurità della notte nascondeva ancora la suo sorpresa più temibile.
Un uomo apparve dal nulla, come materializzandosi nell’aria stessa, un pugnale in mano rivolto verso lei, la Zarina Zoya von Khratos. La lama compì un arco rapido, letale, dritto verso il cuore della donna.
Il riflesso di Zoya fu incredibile. Con un colpo di polso estrasse dal fodero la sua accetta e intercettò il pugnale a pochi centimetri dal petto. L’assalitore, stupefatto, provò a imprimere più forza all’arma afferrandola con entrambi le mani e poi spingendolo, ma fu scaraventato a terra dalla poderosa botta di scudo di Lucien. Il naso frantumato, lo sguardo d’improvviso spaurito, l’uomo provò a ringhiare qualche parola:
– Non vi conviene mettervi contro la Nassa… Non è una battaglia che potete affrontare…
La corte di Khartas aveva fatto cerchio intorno all’assalitore. Come sagome contro la notte scura i khartasiani incombevano su di lui, silenziosi, le armi strette in pugno e una convinzione nel cuore.
– Di’ ai tuoi mandanti che non esiste battaglia che Khartas non possa affrontare. Che vengano.
La voce gelida e vibrante della Zarina intimò il suo ultimatum all’uomo. La guerra stava per infiammarsi quanto mai prima.

* * *

– Ivan, la trappola! – urlò Stragov, indicando il complicato meccanismo nascosto nella fitta erba. L’esca del sangue ancestrale stava attirando inevitabilmente lo Zar verso di sé.
– Avete l’uomo giusto – ghignò Ivan estraendo i suoi attrezzi con fare scaltro. L’unica cosa che gli serviva era tempo, tempo che la corte gli doveva dare. Come una forza della natura, lo Zar Dimitri solcava gli spalti di Gigaspach senza che nessuno lo potesse fermare, richiamato da una pulsione profonda e ferale. La forza bruta di Jean Claude aveva concesso qualche giro di clessidra in più a tutti, prima che l’artiglio dello Zar si infilasse nel corpo del guerriero valdemarita, mandandolo sanguinante a terra. Solo una persona lo poteva fermare.
– Dimitri – disse la Zarina afferrandogli il volto – Dammi retta una buona volta! Ascoltami!
– Spostati, donna, o spezzerò anche te come ho fatto con lui – sibilò lo Zar tra le zanne.
– Non lo farai. So che c’è ancora un uomo là sotto. Mio marito. Lo Zar di Khartas.
Lo sguardo di colui che un tempo era l’uomo chiamato Dimitri Von Khratos tentennò per un istante, come se qualcosa avesse colpito il suo cuore immobile. La corte del Lupo Bicefalo si radunò intorno a lui, mentre una boccetta di sangue scuro gli veniva porta dalle mani di Stragov. Lo Zar la prese d’istinto e la soppesò.
– Mi lascerete da solo in questa battaglia contro i nemici di Khartas? – sussurrò alle donne e agli uomini inginocchiati al suo cospetto.
La corte ululò il suo “MAI!” verso il cielo, come un tuono che sovrastò ogni altro suono in tutta la vallata. Fianco a fianco, Zoya e Dimitri presero il passo verso l’interno della Fortezza. I preparativi per l’imminente battaglia incombevano.

* * *

La battaglia impazzava, brutale. Quando la Piaga si era presentata alle porte di Gigaspach con gli adepti di Zver al suo seguito le corti di Caponord avevano preparato una difesa solida e precisa: non potevano però immaginarsi la violenza con la quale l’orrido nemico si era scagliato contro il bastione dei combattenti dei tre Ducati. In un turbine di fauci e artigli la Piaga aveva fatto scempio di chiunque si fosse parato innanzi a lei, mentre le lame e gli incanti dei suoi sgherri bersagliavano chiunque arrivasse loro a portata. Tra sangue e membra straziate, però, negli occhi di tutti non vi era il minimo cenno di resa.
– Figli di Khartas! Non cedete un passo! Questo è il giorno in cui metteremo fine a questa bestia immonda! – urlò la Zarina dal fondo dei polmoni. La presa sulle armi di tutti coloro che la sentirono si strinse ancor più, animati da un nuovo vigore.
Con la spada volta verso il cielo un adepto di Zver si gettò in carica verso Zoya, quando un’ombra si frappose tra loro. La lancia di Eliot, saldamente puntata contro il petto dell’avversario, si materializzò all’improvviso sulla traiettoria dell’uomo bucandolo da parte a parte. La ragazza si voltò a sincerarsi delle condizioni della reggente, e sorrise rassicurata quando vide che anche Iker, con la sua striscia sguainata, e Yagosh, con la sua accetta in mano, erano già giunti a proteggere la Zarina. La voce di Iker tradiva una certa apprensione, ma il suo sguardo era quello di chi sapeva che tutto sarebbe andato per il meglio.
– Credete ce la faranno, Zarina? – gli chiese l’uomo colpendo di taglio un altro nemico che stava sopraggiungendo.
– No, non lo credo – ghignò Zoya. – Ne sono sicura.
La mano della donna scorse sulla lama del suo pugnale, incanalando le più potenti energie del Nedramag; il suo sangue sembrò divenire un flusso vermiglio che andò a cercare gli adepti di Zver più vicini alla Piaga e penetrò attraverso ogni orifizio del volto. Le loro teste esplosero come angurie gettate a terra.
– Adesso, Lupi! La via è aperta! – esclamò la Zarina vittoriosamente.
Alle sue parole, un lampo sembrò attraversare il campo di battaglia diretto verso la Piaga. La creatura non vide nemmeno arrivare di corsa dai suoi fianchi Hari e Viktorya; le lame dei due saettarono sul corpo della creatura colpendolo in rapida successione. Quando la bestia ruggì di rabbia per il dolore provò a colpire sorella e fratello con i suoi luridi artigli, ma le braccia non sembravano rispondere a causa delle innumerevoli ferite brucianti. Una pugnalata alle spalle le fece inarcare ulteriormente la schiena: la lama di Malenky arrivò addirittura a spuntarle dal petto, mentre la donna continuava a spingere mentre il sangue della Piaga le colava tra le mani. Piombando dagli spalti come un fulmine, lo Zar si parò innanzi alla bestia ormai inginocchiata, inchiodata dalle lame dei suoi tre assalitori.
– Addio, bestia.
Senza dire altro, lo Zar afferrò la Piaga ai lati della testa, per poi fargliela girare con uno schiocco secco. La creatura cadde al suolo lentamente, immobile. L’urlo trionfale dei khartasiani sembrò riempire il cielo.

* * *

Nella locanda ai piedi di Gigaspach non avevano mai avuto così tanta gente tutta insieme, e soprattutto di siffatto lignaggio. I tavoli erano imbanditi di ogni leccornia e birra e vodka scorrevano a fiumi. I khartasiani erano radunati intorno alle loro autorità, o almeno intorno a quelle che potevano essere presenti. Lo Zar sarebbe divenuto un’ombra silenziosa che avrebbe protetto Khartas nelle tenebre, tornando quando il suo popolo avrebbe avuto bisogno di lui. Eppure in quel momento l’impressione era che il popolo del Lupo Scarlatto avesse già quello di cui aveva bisogno. Lo sguardo freddo di Zoya, quella sera, sembrava quasi benevolo. Sotto i suoi occhi attenti Chavi portava da bere a tutti a destra e a manca, raccontando le sue storie strampalate; Viktorya, Malenky, Eliot e Stragov chiacchieravano amabilmente con Vassilji, che li ascoltava sorridendo sereno; Yagosh, Lucien e Ivan giocavano a dadi con Aleksej, tra strepiti e amichevoli minacce. Hari si avvicinò alla Zarina solo quando vide Iker allontanarsi; zio e nipote si scambiarono un cenno di intesa, appagati da quella difficile ma vittoriosa giornata. Quando Zoya lo vide indicò il posto libero accanto a sé con i suoi movimenti sempre compassati e precisi. Il giovane nobile si accomodò in silenzio.
– Non sarà l’euforia di questo momento a far cedere le mie difese, Volk Hari. Non soddisferete la vostra curiosità nemmeno stasera… – ridacchiò Zoya. Hari ricambiò la risata. Si sentiva tranquillo. Andava tutto bene. Tante battaglie ancora li aspettavano, ma l’impressione era quella di avere qualcosa di solido al proprio fianco, che non li avrebbe mai fatti crollare.
– Non ci avrei nemmeno provato, Zarina… vedete, quello che vi devo chiedere è un’altra cosa.
Lo sguardo della Zarina era serio ma sereno. Era accomodante. Era tenero.
– Cosa volete sapere, Volk Hari?
Quello sguardo era irreale. Hari lo sapeva bene, ma non lo voleva ancora lasciare. La domanda risuonò solo nella sua testa.
– Voglio sapere se sarebbe potuta andare anche così.

* * *

Hari appoggiò il pennino sullo scrittoio, contemplando le ultime parole che aveva vergato sulla pergamena. Un ammasso di fantasie inutili, ecco cos’erano. Non era riuscito a fermarsi, come se una volontà più profonda di quella cosciente lo avesse costretto a mettere quei pensieri nero su bianco.
La sua stanza buia a quell’ora della notte era illuminata da un paio di lucerne. Fuori dalla finestra, però, la luna brillava potente nella fresca estate di Port Anchor. Hari si trovò disgustato a pensare come in un momento simile il tempo potesse essere così dolce e amabile.
La Zarina di Khartas, Zoya Von Khratos, era morta. Per quello che poteva valere per Hari, il Lupo di Khartas era morto. Il simbolo della sua terra si era spento.
Il giovane nobile non si sentiva triste. Non si sentiva nemmeno arrabbiato. Era deluso. Deluso che la storia si fosse evoluta così, deluso che così tante cose che sarebbero potute accadere non sarebbero mai successe. Deluso dalla piega che le cose stavano prendendo, che avevano già preso.
‘Il Lupo è morto’, pensò, ‘e io sono qui a scrivere storie per fare i conti con me stesso’.
Perché alla fine era solo quello che rimaneva da fare: fare i conti con se stessi. Con quello che aveva fatto bene, con quello che aveva sbagliato, con quello che avrebbe potuto fare? E a cosa sarebbe servito, se non a farsi il sangue amaro? No, i conti che doveva fare sarebbero serviti a pensare a quello che doveva fare da adesso in poi.
Prese i fogli che aveva scritto e li avvicinò alla fiamma della lucerna. L’angolo della pergamena prese lentamente fuoco, iniziando a brillare vivacemente. Hari, per la seconda volta quest’anno, si trovò a contemplare i suoi pensieri nel fuoco.
– Il Lupo è morto – sussurrò tra sé e sé. Una consapevolezza gli stava crescendo nel petto. – Il Lupo è morto da tanto tempo, ed è per questo che lo portiamo sulle nostre insegne. Il Lupo è morto e noi indossiamo la sua pelliccia. Quando uno di noi muore, però, quello dietro di lui raccoglie la pelliccia del Lupo e la indossa in vece sua. La pelliccia del Lupo deve passare da generazione a generazione, in un ciclo eterno. Ed è per questo che il Lupo è immortale.
La pergamena era quasi interamente bruciata al suolo quando Hari sollevò lo sguardo. Aveva preso la sua decisione. Il tempo di esitare era finito. Adesso la strada doveva andare solo avanti.

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