Anno I del regno Eterno- Alterati stati di coscienza

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“ Cosa c’è dentro una persona?
I meno attenti potrebbero dire che una persona è composta da carne, sangue e ossa, e altri svariati tipi di tessuti. Detto questo, se io prende la carcassa fresca di qualsiasi animale, potrei dire che all’interno è sufficientemente uguale a una persona?
Niente di più sbagliato. Dai miei esperimenti, posso dire che l’anima è qualcosa di concreto ed esistente, seppur senza sede ed indefinibile. Uso il termine “anima” per pura convenzione, in quanto dovrei riferirmi ad essa come “manifestazione psicosensoriale del proprio ego percepibile e impercettibile”, ma sarebbe una pura questione tecnica ed ingarbuglierebbe non poco il discorso. Quello che voglio dire è che dentro una persona c’è un’altra persona, viva e senziente. La maggior parte delle volte riscontro che persona materiale ed anima coincidono come intenti e manifestazioni; “io sono quel che vedi”, questo potresti dire di questi individui. Non rari sono però i casi di dicotomie, fratture, presenze aggiuntive all’interno del corpo di una persona. Questo può avvenire per innumerevoli motivi, quali traumi o esperienze di vita, e non per ultima la follia; dentro queste persone si può dire che alberghi più di un’anima assieme, e i legami tra di esse possono essere interessanti da osservare. Collaborazione o conflitto, amore o odio; la cosa che colpisce di più è che talvolta sia assente in generale una comunione di fini e di obbiettivi, come di modi di agire e di comportamenti. Questo causa una seria condizione di divisione interna dell’individuo, tale da portarlo a contrastare sé stesso e a consumarsi nella dissociazione tra più poli psichici e spirituali.
 La mia domanda è: esiste un metodo per introdursi direttamente e fisicamente all’interno della mente di un uomo e operare mutamenti sulla sua anima? Possiamo noi divenire “navigatori dello spirito”?
La mia risposta è sì. ”
– dagli appunti di Jorge Desmortes, Psicarca Bianco 

*    *    *

Non sentiva il rumore dei suoi passi, né alcunché si udiva intorno a lui, ma non era spaventato.
Sotto di lui non c’era niente a sorreggerlo, e anche il suo corpo sembrava lontano e inesistente, ma non era spaventato.
Davanti ai suoi occhi c’era un velo di tenebra profonda, un buio che era tale solo perché nessun’altro aveva mai pensato di riempirlo o dargli colore, ma non era spaventato.
Jorge Desmortes sapeva esattamente com’era il “Passaggio”, l’atto con cui poteva introdursi nella profondità della mente del suo allievo e studiarla. Non aveva percezioni perché non stava usando il suo corpo. In quel momento, egli era un puro pensiero e viveva in quanto tale.
“Un pensiero però può cambiare molto”.
Un mondo iniziò a delinearsi intorno a lui. La prima cosa che recuperò fu la sua stessa figura, dalla punta dei capelli bianchi sino all’ultima ruga sulla pelle e all’ultima piega sulla lunga veste; poi, lo scenario intorno a lui iniziò a mutare, prendendo strane connotazioni. L’oscurità iniziò a frammentarsi, poi ad avvolgersi su sé stessa, creando dei lunghi filamenti simili a fusi che arrivavano al limitare della sua vista; una bizzarra ragnatela, fatta di fasci di tenebra e tralci di notte. Tra di essi filtrava una luce rossa, sanguigna e malsana, che si muoveva debolmente in modo simile ad un flusso; non se ne riconosceva in alcun modo la fonte, eppure sfumava debolmente sui margini dei filamenti senza intaccarli in alcun modo. I piedi erano sorretti da una massa morbida e scarlatta, calda e umida, che accoglieva mollemente ogni suo passo incurvandosi sotto il suo peso. Mastro Jorge inspirò a pieni polmoni l’aria torrida che l’avvolgeva.
“Eccomi qua. Adesso voglio trovarti”.
Appena tali parole si delinearono nella sua testa, le tenebre innanzi a lui si fusero nuovamente tra loro, a formare uno schermo impenetrabile, poi il suolo sparì e si ritrovò a galleggiare, trascinato da una forza invisibile verso quel buio denso e fitto. Pochi istanti, pochissimi attimi in cui nuovamente sentì il suo corpo sciogliersi e divenire nulla, infine tutto tornò come prima intorno a lui. Solo un’unica differenza; il silenzio totale era stato sostituito da un’eco lontana, un rumore roboante e incostante, in cui spiccavano saltuariamente grida alte e frementi di rabbia gettate da un’unica voce. La voce di Noctulis.
“Eccoci al dunque”, pensò mastro Jorge. Ad attenderlo c’era il fine di tutto quel lavoro, quello che gli avrebbe permesso di capire, di comprendere, e forse anche di perdonarsi tutto quello che aveva fatto. Ci si diresse deciso e spedito, scoprendo di poter fare passi ben più larghi di quelli che la sua età gli consentisse, passando tra i drappi di buio che formavano una scura volta sopra di lui. Seguì il suono, fino a che le tenebre intorno a lui non si dispersero per lasciare spazio a un panorama surreale. Davanti ai suo occhi, immerso nella luce rossa, stava un gigantesco blocco di ghiaccio candido e lucido, rozzamente scolpito nella foggia di un volto umano, rude e severo; le dimensioni erano ragguardevoli, tanto che le estremità della massa ghiacciata sembravano perdersi ed immergersi  nel chiarore circostante, mentre la base penetrava saldamente nel suolo scarlatto. Qua e là apparivano segni neri dalla forma tondeggiante, simili a leggerissime bruciature, che però non intaccavano in alcun modo la scarna fisionomia del viso intagliato. Quando lo Psicarca guardò verso la base della faccia di ghiaccio, quello che vide lo lasciò interdetto solo per qualche istante. Anche se ne aveva paura, alla fine era quello che si aspettava.
Due figure umane stavano presso la statua. La maggiore delle due stava in piedi, ed appariva tremendamente irata; il corpo esile era scosso da un fremito intrattenibile, visibile anche attraverso le lacere vesti grigie, mentre i capelli castani, sciolti sulle spalle, apparivano arruffati e scarmigliati. Voltata verso la massa ghiacciata, recitava sortilegi rapidamente, creando globi di fiamma nelle sue mani che venivano rapidamente scagliati contro la superficie del volto glaciale; al contatto con essa esplodevano roboando, ma senza in alcun modo lasciare alcun segno. Frammiste alle conflagrazioni, si udivano le sue grida furenti, rivolte direttamente alla statua innanzi a lui.
– SEI UN DANNATO CRETINO, HAI CAPITO? GUARDA COS’HAI FATTO!
L’altra figura sembrava quella di un bambino rannicchiato, la testa nascosta tra le ginocchia strette tra le braccia. I capelli arrivavano a malapena oltre il collo, e gli abiti erano tanto semplici quanto malandati, lisi sulle braccia e sulle caviglie. Seduta a quel modo, la giovane figura puntava i piedi scalzi a terra, dondolandosi, stringendosi da sola in un abbraccio materno e silenzioso.
“Due, proprio come pensavo”, ragionò mastro Jorge, dirigendosi verso di loro. Adesso capiva meglio come stava la situazione, il perché dei cambiamenti d’umore e personalità di Noctulis. In lui convivevano due anime, una a fianco a l’altra; ma cosa significava tutto ciò?
– DAVVERO NON CAPISCI, MAESTRO?- lo interrupe la figura in piedi. La sua voce era indubbiamente quella del suo allievo, che lo aveva strappato al flusso dei suoi pensieri come se potesse udirlo. Adesso che si era voltata, la figura mostrava esattamente il volto di Noctulis contratto in un’espressione di odio profondo e viscerale, vibrante, gli occhi chiari brillanti di un’ira accecante e implacabile. Non era il suo discepolo, lunatico ma sempre controllato e pacato; era una bestia iraconda, intrattenibile, i cui sentimenti negativi erano talmente forti e incontenibili da essere percepibili nell’aria. Jorge simulò una vaga sorpresa, e rimase tranquillo.
– Se puoi spiegarmi te ne sarei grato. Sai, questa non è casa mia.
La figura lo guardava stizzita, profondamente disturbata. Vomitava fuori le parole con veemenza e disprezzo, con gesti larghi e teatrali.
– PENETRI NELLA MIA TESTA E PRETENDI ANCHE SPIEGAZIONI? BEL TIPO DAVVERO! ANCHE TU MERITERESTI DI FARE LA SUA STESSA FINE!- concluse gridando ed indicando il volto ghiacciato. Adesso, ad uno sguardo attento, il vecchio mentore riconobbe in quei tratti qualcosa, nella linea del naso, nel taglio degli occhi, nell’ovale del viso; la somiglianza era inequivocabile.
– QUELLO ERA MIO PADRE!- sputò fuori Noctulis con rabbia. – LUI CI HA LASCIATI, GETTANDOCI IL PESO DEL SUO GESTO SULLE SPALLE!
Jorge ripensò a parole lontane, che udì tanti anni prima da una donna, dalla madre di Noctulis. Si ricordò la storia di un uomo che amava la sua famiglia, che adorava il suo unico figlio e che da esso era ammirato come un dio in terra; si ricordò di come egli avesse deciso di dare la sua vita per garantire un futuro al sangue del proprio sangue. Pochi uomini contro un manipolo di orchi, mostri assetati di sangue; e Olivander Xandauter, imbracciata la sua spada, fece crescere sulle sue spalle le ali nere del dio Alhazhar, e caricò con sé quel fardello di morte e volò via, lontano dalle terre mortali. Era morto combattendo, sostenuto dal suo ideale di battaglia e insieme dall’amore verso le uniche due persone che formavano il suo mondo. Un’ombra ingombrante, immensa, riconosciuta da tutti come quella di un eroe, dalla quale non si poteva uscire senza essere confrontati ad essa.
– Tu… vuoi essere alla sua altezza?
La domanda di Jorge sembrò colpire nel vivo Noctulis, che fece un passo indietro. Sembrava scosso ed irritato.
– E l’unico modo che hai per eguagliarlo è distruggerlo. Non hai pensato che anche tu potresti divenire come lui?
– FAI SILENZIO, VECCHIO!
– No. Sei tu che sei un debole! Non vedi che facendo così ti fai solo soffrire?- incalzò il vecchio insegnante, indicando con il dito sottile la figura del bambino rannicchiato. – Fai male solo a te stesso!
-TACIIIIIIII!
L’urlo di Noctulis colpì in pieno Jorge, come una forza invisibile, che gli mozzò il fiato e lo scaraventò al suolo. Davanti a lui, il suo discepolo si stagliava in piedi, fremente ed irato, squadrandolo con occhi infuocati. Si rialzò a fatica, ridacchiando.
– Con te non c’è altro modo per ragionare, vero?- sospirò l’anziano sorridendo. – Facciamo come ti pare, allora. Qui si riduce tutto ad uno scontro di volontà. Chi ne avrà di più?  
In un istante il ragazzo alzò la mano puntandola verso di lui; Jorge percepì l’aria divenire incandescente senza che una qualsiasi formula o una sola parola fosse pronunciata, e un violento getto di fiamma partì dalla mano dell’allievo dritto verso di lui. La deflagrazione fu assordante, le fiamme si innalzarono veementi nell’aria con una luce abbagliante e rapidamente si consumarono lasciando solo cenere dietro di sé. Sospeso in aria, quasi senza peso, l’anziano incantatore rimirò gli effetti devastanti del sortilegio che stava per colpirlo; preoccupato, guardò Noctulis e gli gridò contro per farsi udire dalla distanza a cui era giunto.
– Ti ricordo che questa è il regno della mente, basta pensare una cosa per piegare la realtà! A parte che facendo così ti distruggerai il cervello, poi non credi che puoi impegnarti di più?
Noctulis non lo degnò neanche di uno sguardo, muovendo nuovamente la mano nella sua direzione ad indicarlo. La sua voce pareva terribile e tenebrosa come quella di un demone uscito da chissà quale abisso.
– Questo è il MIO regno, ed ogni mia volontà è LEGGE!
Dalle ceneri le fiamme divamparono ancora, prendendo la foggia di lunghe braccia tentacolari terminanti in artigli adunchi e fiammeggianti, che saettarono nell’aria graffiando e sibilando alla ricerca dell’ospite indesiderato. Scattanti, le lingue di fiamma presero a inseguire l’anziano Psicarca cercando di ghermirlo, di afferrarlo; questi, dal canto suo, si spostava fluttuando sospeso, schivando i colpi che gli arrivavano da tutte le direzioni. La sua non era l’agilità di un uomo della sua età, ma puro sforzo di volontà, eppure sentiva che ogni colpo, ogni singolo colpo che evitava era progressivamente più vicino e più violento, crescendo in pari passo con l’ira e la frustrazione di Noctulis. Non ci avrebbe messo molto ad aggiustare la mira e colpirlo, e questa sarebbe stata per certi versi la fine per entrambi. Doveva evitarlo, e si era preparato adeguatamente a questo. A lungo, molto a lungo.
– Cerebropasco- sussurrò a bassa voce, continuando la sua fuga aerea. Come rispondendo ad un richiamo, all’improvviso, dalle tenebre iniziarono a fluire fuori centinaia di lunghi filamenti argentati, lucidi e liquidi come mercurio, che rapidamente scivolarono tutti verso la figura di Jorge Desmortes, a formare una sorta di vasta e sottile ragnatela alle sue spalle. Bastò un solo gesto dello Psicarca Bianco affinché i fili argentati si dipanassero nuovamente intorno a lui, ed ognuno di essi si gettava a capofitto addosso agli artigli fiammeggianti creati dallo spirito di Noctulis; questi, a contatto, sembravano congelarsi sul posto assumendo la stessa tinta dei filamenti, per poi disgregarsi come statue di cenere e svanire nell’aria. In pochi attimi, del fuoco magico non rimaneva niente, e Jorge atterrò innanzi al suo stupefatto e furibondo allievo, con l’espressione tronfia di chi avesse fatto la cosa più naturale del mondo. Solo una vaga nota di dolore attraversava il suo viso.
– Questo è il cerebropasco- spiegò tranquillamente,- il segreto dell’arte dello Psicarca Bianco. Te l’ho fatto assumere di nascosto per tutto questo tempo, e me ne dispiace. La sua caratteristica unica è quella di annullare l’ineguagliabile potere della volontà personale dentro la mente. Adesso questa è tanto casa tua quanto casa mia. Non hai più il vantaggio. Anzi – aggiunse guardandolo dritto negli occhi,- penso che sia un duro colpo al tuo orgoglio.
Una risata acuta e lugubre interruppe il suo discorso gelandogli il sangue nelle vene; si voltò meccanicamente, con paura, con la consapevolezza di aver sbagliato. Il bambino seduto a terra aveva alzato il viso dal suo nascondiglio tra le ginocchia, e lo stava guardando con profondi occhi neri simili a pozzi senza fondo. La somiglianza con Noctulis era impressionante, anzi, Jorge era convinto che quello fosse il volto che aveva quando l’aveva incontrato quasi quindici anni prima; solo l’espressione non era umana, ma quella ghignante e folle di un demonio, il volto e la pelle pallida solcati da una fitta trama di vene scure e malsane, i denti erano zanne acuminate, strette in un sorriso malizioso. La sua voce suonava stridula e distorta, agghiacciante da far accapponare la pelle, senza traccia di alcun sentimento che non fosse pura malvagità.
– Cosa ne sai tu del nostro orgoglio? Cosa ne sai?
Con un gesto lento e tortuoso, come se all’interno del corpo non ci fossero ossa, il fanciullo si alzò in piedi. Le sue mani descrissero un cerchio innanzi a lui, lasciando dietro di sé una scia di fumo nero e denso.
– Noi vogliamo ucciderti e basta, Jorge Desmortes.
Quello che scaturì dal cerchio fu un getto di tenebre pura, come se la luce fosse stata cancellata dallo spazio. Troppo veloce, non ce l’avrebbe fatta a reagire in tempo. Era fatta.
– Non lo toccare!
Un’ombra gli si parò dinnanzi, frapponendosi tra lui e la sicura morte, urlando a squarciagola. Lo spirito di Noctulis, del suo allievo, la sua parte battagliera e competitiva, l’anima che combatteva per eguagliarsi a quel padre troppo ingombrante, adesso lo stava difendendo dalla sua parte più oscura e insensatamente violenta, assetata solo di sangue. Per un attimo non vide più niente, sentì solo un urto sul petto che lo mandò al suolo, ed ebbe l’impressione di essere stato investito da un’ondata di vento glaciale, infine tutto tacque. Quando riaprì gli occhi, la maggiore delle due figure giaceva riversa a terra accanto a lui, il corpo ricoperto di ferite scure e profonde; il fanciullo, invece, stava in piedi con espressione compiaciuta, come se solo la battaglia in sé per sé lo interessasse, e non il suo risultato, disposto a morire pur di portarne altri con sé. Quell’anima, quello era il fiore oscuro che a tratti sbocciava dentro Noctulis facendolo divenire un’altra persona; quando lo spirito battagliero manifestava in modo eccessivo la volontà di affrontare i suoi avversari, allora la sete di sangue, l’anima raffigurata in quel fanciullo diabolico, prendeva il sopravvento su di lui. Non poteva lasciarlo a piede libero, ma non poteva neanche distruggerlo; il trauma per la mente di Noctulis, privata di una parte seppur mai riconosciuta, sarebbe stato troppo grande da sopportare, con chissà quali conseguenze.
– Quel che va fatto, va fatto. Siamo cattivi fino in fondo- mugugnò Jorge, rivolto a sé stesso. Il fanciullo prese a schernirlo con tono canzonatorio; la sua voglia di morte era evidente.
– Anche se sei solo un pensiero, chissà in questo luogo, qui nella mente del tuo allievo, che sapore ha il tuo sangue, Jorge Desmortes!
Lo Psicarca Bianco non lo ascoltava più, ormai, concentrato e intento solo nel suo obbiettivo. I fili d’argento del cerebropasco alle sue spalle presero a vorticare, a unirsi in un’unica massa fluttuante alle sue spalle; poi l’anziano incantatore iniziò a far oscillare il dito indice innanzi a sé, e ad ogni  movimento dalla sfera si staccava una sorta di ferro di cavallo, una striscia distorta e scintillante che iniziava a ruotare intorno a lui. Ne creò più di dieci, quando parlò nuovamente.
– E adesso stai buono, piccolo.
Il fanciullo, con un grido ferino, scattò verso di lui; dalle sue spalle sorgevano e si spegnevano rapidamente fiamme oscure, le fiamme di tenebra che in misura minore Jorge aveva visto su di Noctulis la notte presso il Forte dello Sparviero. Negli occhi gli si leggeva solo la volontà di ferire, uccidere, squartare, far soffrire senza alcun altro fine, una macchina da guerra perfetta. Nello stesso istante, i frammenti di cerebropasco partirono nella direzione del bambino con velocità impressionante, prendendolo alla sprovvista; l’urto con essi fu violentissimo, e la luce che scaturì da quell’incontro abbagliò Jorge per un istante, ed in quello stesso istante udì il rumore di un potentissimo urto contro la parete di ghiaccio. Il suo intento era giunto a termine, finalmente.
Sul viso di ghiaccio, all’altezza della fronte, il corpo del fanciullo si dibatteva inutilmente, con le braccia spalancate e le gambe tese verso il basso. Pesanti anelli d’argento lo bloccavano alla parete alle sue spalle all’altezza dei polsi, dei gomiti, delle ginocchia e delle caviglie, mentre un ultimo frammento ricurvo gli teneva fermo il collo; aveva ogni movimento impedito, e sembrava che anche le forze lo stessero lentamente abbandonando. Jorge , con un semplice pensiero, si ritrovò nuovamente sospeso in aria davanti a lui, scrutandolo attentamente; l’espressione violenta e sanguinaria stava svanendo, sostituita dal sopore e dalla sonnolenza, ed adesso il volto era quello di un fanciullo qualsiasi pochi momenti prima di addormentarsi. In basso, il giovane spirito di Noctulis rimaneva semi-incosciente, seppur vitale e rantolante; in poco tempo si sarebbe rimesso. Dopotutto, quello era il suo regno.
Il vecchio stregone era già pronto a recitare le parole conclusive del suo sortilegio, con cui avrebbe abbandonato la mente del suo allievo e sarebbe tornato nel proprio corpo; il suo compito era stato svolto, sebbene con difficoltà e con conseguenze che non poteva ignorare. Aveva capito la natura delle due anime di Noctulis, le loro potenzialità e i loro intenti; purtroppo, per contenerne una, avrebbe dovuto lasciare intatto il cerebropasco nella testa del giovane discepolo, causando un progressivo decadimento del suo corpo per la presenza della sostanza, ma perlomeno il ragazzo sarebbe vissuto senza il rischio di perdersi nuovamente in quel fuoco oscuro e maligno. Stava per andarsene, quando intravide qualcosa con la coda dell’occhio, rimanendo esterrefatto. Attraverso il ghiaccio trasparente, intrappolata all’interno vide una terza figura; anch’essa, sebbene distorta, sembrava quella di Noctulis, completamente assopito. Sembrava sereno e beato, privo di pensieri negativi, con un’espressione gentile che raramente gli aveva visto in viso; era quel sorriso sincero e limpido che emergeva a tratti, all’improvviso, come i pallidi raggi della luna attraverso le nubi della notte più scura. Una terza anima sopita, pacata e delicata, intrappolata e protetta da una spessissima coltre di ghiaccio. Jorge sorrise dolcemente, appoggiando una mano sulla parete innanzi a lui; voleva arrivare al suo allievo, a destarlo, ma sapeva che non era compito suo, questo.
– Un giorno troverai qualcuno che ti scalderà, ti libererà da questa morsa gelida- sussurrò malinconicamente,- ed allora potrai esprimere una parte di te che ancora neanche conosci, o che stai cercando di proteggere. In questo modo anche lui sarà libero- aggiunse indicando l’anima del fanciullo incatenata alla parete ghiacciata,- e non sarà facile limitarlo, ma secondo me ne varrà la pena, vedrai. Spero che tu possa stare bene per sempre. E scusa ancora, davvero.
Il suo corpo divenne luce, mentre l’intero mondo intorno a lui divenne dapprima buio, e poi scomparve nel nulla.

*    *    *

Punta delle dita. Mani. Piedi. Collo. Occhi. Il corpo di Jorge Desmortes iniziò a riprendere sensibilità dalle estremità, fino a quando la sua mente non fu libera e lucida. Intorno a lui la luce del mattino era abbacinante, e l’intera stanza era tranquilla e serena. Si alzò a sedere sul pavimento, indolenzito, e il fiato gli si mozzò subito.
Il letto di Noctulis era vuoto, sfatto; sul cuscino troneggiava una strana macchia di una tinta scarlatta scura, apparentemente fresca. Si gettò di scatto sul letto, tastandolo con le mani; percepì il calore residuo del corpo del suo allievo, intravide la forma lasciata tra le lenzuola, ma lui non c’era. Dov’era finito? Cos’era successo? Com’era…
– Di tutte le cose che ti ho mai visto fare, questa le batte tutte.
Jorge si voltò di scatto. Il suo allievo era in piedi che lo scrutava serio, incuriosito, con una grossa macchia rossa sulla veste ma nessuna ferita addosso. Parlava tranquillamente, con tono pacato ma fermo.
– Volevo un goccio di vino quando mi sono svegliato, ma me lo sono versato tutto addosso. Non sono capace a bere da sdraiato.
Il vecchio gli si gettò addosso prendendolo per le spalle e scuotendolo vigorosamente, preoccupato.
– Stai bene? Come ti senti? Hai fatto strani sogni? Hai ancora mal di testa.
Noctulis lo ricacciò indietro con uno spintone, irritato, senza troppi convenevoli.
– Ma sei stupido? Che t’è preso oggi?
Si diresse sospirando verso la finestra aperta, lasciando il suo mentore in piedi accanto al letto a scrutarlo. Si appoggiò a essa, scrutando fuori verso il mare scintillante. I capelli castani leggermente mossi dal vento, il corpo sottile e leggero, gli occhi limpidi e profondi; e all’improvviso, per un solo attimo, un tenue sorriso gentile si manifestò dolcemente.
– Sto davvero bene, oggi- disse Noctulis tra sé e sé.
Jorge trattenne una mezza risata di gioia, cercando di darsi un contegno, e quello che ne venne fuori fu una sorta di ghigno beffardo. Noctulis lo guardò scuotendo la testa, nuovamente serio, poi si rimise a osservare il mondo intorno a lui.
– E anche questa è fatta- concluse Jorge silenziosamente.

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Commenti

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22 comments

  1. ATTENZIONE: per il taglio cinematografico che ho cercato di dargli e per la presenza di elementi particolari e simbolici, questo racconto potrà sembrare oscuro e di difficile comprensione. La produzione si scusa con il suo pubblico, rimanendo in sede per delucidazioni, sperado che non ce ne sia bisogno.

  2. Ora me lo rileggo altre sei volte, però. Ho scoperto che a farlo velocemente sballa un sacco, altro che LSD! Se lo leggi al contrario, poi…

  3. Mi piace molto il taglio di questo racconto, complimentoni Frank!, veramente molto bello ed interessante :).
    Ottimamente scritto … originale … bella storia … TI ODIO!!!!!!

  4. ehhh, il sentimento espresso dalla claudia, cioè invidia, è comune a tutte noi, temo….

    ciononostante… l’amore per ciò che quest’uomo scrive è direttamente proporzionale ad essa e in parte maggiore 😉

    quindi Frank, non temere pugnalate alla schiena 😀

    per ora………

  5. Vorrei dirvi che vi odio anch’io ma ho MOLTA paura… quindi vi manderò un bacione a tutte e vi ringrazio sentitamente genuflettendomi…

  6. Sto ‘trio inquietudine’ mi intriga sempre di più, anche se mi fa tanto ‘tre civette sul comò’.

    E cmq dovremmo chiederci: Amiamo veramente il Frank? E se è così, come io credo, cosa dovremmo fargli per dimostrargli tutto il nostro affetto?

    Accendo il fuoco sotto il calderone e poi ne parliamo, ok?

  7. eh beh, vorrei pur vedere….se non lo fa un angeluccio nero, chi lo può fare??

    comunque….che verdure preparo? carote? sedani? patate? scegliete, scegliete….:D

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