CIÒ CHE RIMANE

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Giorno decimo ottavo della Luna di Ellesham

Il cadavere veniva caricato sul carro con una lentezza esasperante. Gli Esoteri delle Masnade gli ronzavano intorno come mosche attirate dal letame, mentre alcuni membri dell’élite del Crepuscolo facevano il lavoro sporco addossandosi il peso di quel corpo possente. Tra loro Cristilde scorse anche i gonnellini gardaniti di Grizzly e Istrice, intenti a imprecare contro le ruote del carro che sprofondavano inesorabili nel fango. Dopo le piogge torrenziali del giorno prima, era stata un’impresa far arrivare quel mezzo fin lì, ed era penosamente ovvio che si sarebbe impantanato a breve.

Maledizione a Mordecai e a chi gli ha dato l’idea di prendersi il cadavere di quel mezzo Troll!

Zannaforte non sembrava più così spaventoso. Il corpo muscoloso era costellato di profondi tagli, l’armatura ammaccata, le brache incrostate di sangue rappreso. Già cominciavano a formarsi le macchie rosso vino sul dorso – le ipostasi -, sulla nuca e sul dorso, nei punti declivi, segno che la circolazione del sangue si era già arrestata da un pezzo. Le labbra, secche come pergamena, erano serrate a trattenere l’ultimo grido di dolore.

Cristilde era lieta che quell’ostico nemico fosse stato abbattuto. Molti dei Ragazzi del Crepuscolo erano caduti per mano sua. Eppure… Da quello che le avevano raccontato i membri delle Masnade presenti, quella mattina, si era gettato come un pazzo contro di loro, incurante dei colpi di spada e di picca che avevano sancito la sua fine. In fondo, quel mezzo Troll era solo un altro stupido pronto anche a morire per amore.

– Sembra che Zannaforte fosse innamorato di quella Ester – aveva sentito pronunciare da qualche membro dello Spiantato – Che gusti di merda aveva, poveretta, se ha ricambiato i sentimenti di quel brutto mostro…

Di quel “brutto mostro” presto non sarebbero rimaste che ossa spolpate e un teschio privo di carne. E nei cimiteri alla fine i teschi, sia quello della donna più bella del mondo che della più orrenda delle creature, sia quello di un ricco conte che del più povero dei suoi vassalli, diventavano tutti uguali. Non era per questo che la morte veniva chiamata la “gran livellatrice”?

No, amico mio, forse non ti spetterà questo banale destino. Temo che il buon Mordecai abbia altri piani per te…

Gli Esoteri si accostarono al carro per spargere oli e altre diavolerie sul corpo, con lo scopo di impedirne la putrefazione nel lungo viaggio fino a Nebin. Filomena, in mezzo a loro, cercò di piegare il braccio di Zannaforte sul torace, con l’unico risultato di incontrare una feroce resistenza, fin quando l’arto non le sfuggì di mano e andò a urtare in faccia l’altro Esotero vicino, che fece un balzo indietro in preda al timore.

– Cazzo, è ancora vivo…

– È il rigor mortis – intervenne pacata Cristilde.

Diverse paia di occhi si voltarono nella sua direzione. L’Esotero che era saltato via si raddrizzò, scoccandole uno sguardo infastidito e di malcelato disprezzo. Lei lo ricambiò in quieto silenzio, per poi scrollare le spalle e allontanarsi. Per quanto la riguardava, i cadaveri sarebbero dovuti stare sotto un buon metro di terra, o se ciò non era possibile essere bruciati alla svelta, prima che spargessero per l’accampamento spiacevoli malattie, e faticava a vedere gli Esoteri, con quel loro attaccamento morboso verso le salme, come qualcosa di più di grotteschi becchini.

O forse, ragionò, la sua era soltanto invidia: invidia perché i prodigi della loro Camarilla si estendevano oltre la morte, mentre la sua arte medica si fermava prima.

Ci sono dei limiti che non dovrebbero essere superati.

Troppo spesso non possiamo riavere indietro quanto abbiamo perduto, e dobbiamo andare avanti con ciò che rimane.

Tornò verso gli edifici in pietra dell’antica Posta. Presso i gradini che portavano alla tettoia e all’orto sacro, Cyra si stava esibendo con il suo liuto, alternando canzoni che parlavano di cavalieri e santi con stornelli degni delle peggiori taverne di Scentiar. Tra il suo pubblico c’era anche Xorba, seduta presso la tettoia che ospitava l’orto sacro, ormai libero dagli spettri e dal loro cupo rimorso. Cristilde non potè reprimere un sorrisetto: chissà se l’elfa aveva o avrebbe avuto il coraggio di farsi avanti con il Cadetto dello Spiantato, come lei le aveva consigliato la sera prima. Per quanto la conosceva, Cyra sembrava più interessata ad altri intrattenimenti, come quello che poteva offrire Leone… ma un tentativo non costava niente. Xorba aveva bisogno di una brava persona al suo fianco, e Cristilde non aveva ancora incontrato nella Scacchiera una persona più allegra, buona e gentile di Cyra.

– Posso aiutarti in qualche modo? – le aveva chiesto quella mattina l’altro Cadetto, dopo che lei aveva quasi abbattuto con un calcio frustrato l’innocente staccionata sul lato sud della Posta.

Cristilde aveva scosso la testa. – Non credo. È di nuovo incazzata e al momento non mi degna neppure di un’occhiata.

– Può essere utile cercare di farla ingelosire?

La cerusica era rimasta a fissarla interdetta per un attimo, prima di proferire un deciso diniego. – Assolutamente no! – poi aveva aggiunto, rendendosi conto di essere stata troppo dura, e che Cyra in realtà stava scherzando: – Ma grazie comunque del pensiero.

– Come vuoi – Cyra le aveva strizzato l’occhio con fare cospiratorio e si era allontanata ridacchiando, facendola sentire ancora più stupida.

Esattamente come si sentiva in quel momento.

Insomma, aveva avuto altre storie prima di incontrare Ottavia, una storia seria in particolare… perché accidenti finiva per comportarsi con lei come un’adolescente alla prima cotta?

Se lei come al solito si rifiuta di parlarmi, allora parlerò io!

Sapeva dove trovarla, e si diresse a passo deciso verso il refettorio, calpestando stralci di pergamena su cui qualche adoratore dei Troll particolarmente folle aveva vergato frasi senza senso inneggianti a Zannaforte. Si disfacevano tra il fango e l’erba bagnata come rugiada del mattino.

Ottavia era scompostamente seduta all’angolo vicino al barilotto di birra, a gambe divaricate, in mano il corno che usava come boccale, lo sguardo cupo perso nel vuoto. Gli altri Ragazzi del Crepuscolo se ne stavano a debita distanza, perché quando era di quell’umore avvicinarsi equivaleva a punzecchiare un nido di calabroni.

Cristilde afferrò una sedia e la posizionò davanti a lei, sistemandosi a cavalcioni. Ottavia sollevò la testa per lanciarle un’occhiata gelida come il vento d’inverno sulle Cime Guardiane.

– Che cazzo vuoi?

La cerusica sospirò. – Ho provato a dirtelo anche stamani: ringraziarti.

– E già stamani ti ho detto che era una cazzata.

– Sì, me lo hai bofonchiato tra i denti e poi mi hai lasciato da sola a distribuire quelle stupide chiavi, perché “quei ragazzi si fidano più di te che di me”, e altre stronzate del genere. Sai che non è vero!

– Davvero? – l’Alfiere del Crepuscolo inarcò un sopracciglio – Ho dato loro un compito, ho chiesto di mantenerne il riserbo, e becco Vinicio a spifferarti tutto quanto! Quel bastardo ha tradito la mia fiducia! Di nuovo!

Cristilde alzò gli occhi al soffitto. Di tutti i momenti in cui Ottavia poteva tornare alla Posta, ancora coperta di sangue dallo scontro con gli invasati del Cenacolo del Troll, aveva scelto proprio quello in cui lei stava esaminando gli strani semi che Vinicio le aveva appena messo in mano. Neppure a farlo apposta ci sarebbe stato un tempismo così perfettamente inopportuno. Davvero gli dèi avevano un senso dell’umorismo beffardo.

– Vinicio ha solo pensato di fare la cosa giusta…

– Significa che io faccio quella sbagliata?

– No, intendevo… – Cristilde prese un respiro – Lo sai quello che intendevo. Mi fa piacere che tu sia preoccupata per la mia salute. Ma non devi. Sto bene, e sarò al tuo fianco fin quando non avrai ottenuto la tua vendetta sull’Immacolato. Se tu sei la persona che lo odia di più al mondo, io sono la seconda, per ciò che ha fatto.

Il volto di Ottavia si contorse in una smorfia di dolore, la linea della sua mascella si fece più dura. In silenzio, riempì di nuovo il corno e lo vuotò in un sol sorso, socchiudendo gli occhi. Cristilde attese, sentendo quel silenzio come un grido nell’anima.

– Non ce l’ho con te – proruppe infine Ottavia, con voce stanca – Sono arrabbiata con Vinicio.

Però punisci me, avrebbe voluto rispondere Cristilde. Perché dobbiamo farci male a vicenda per queste stupidaggini?

Invece si limitò a pronunciare: – Non è una novità.

– Non capisco come fai a trovarlo simpatico.

– Non prendiamoci in giro, piaceva anche a te, prima che a Magnirocca gli piovesse addosso quella che potrebbe essere soltanto una calunnia.

– Potrebbe… – precisò Ottavia, tetra – Ma non troverò pace finchè non ne avrò la certezza!

– Scopriremo la verità – annuì Cristilde, quindi si allungò a prenderle il corno di mano e pensò lei a riempirlo. Prese un sorso di birra e tornò a porgerlo a Ottavia. – Intanto brindiamo alla morte di quel collaborazionista imperiale che abbiamo beccato a Magnirocca. Che abbia mentito o meno, ha incontrato la sua fine.

Un sorriso feroce si dipinse sul volto della guerriera. – Nessun imperiale si redime in vita, tutti gli imperiali si redimono nella morte – sentenziò, citando due capisaldi del Crepuscolo, che lei stessa aveva vergato.

Cristilde si limitò a fissarla in silenzio mentre Ottavia beveva a sua volta e poi si rilassava indietro contro lo schienale della sedia.

– Tornando a quanto hanno recuperato i nostri Ragazzi ieri sera in questa Posta… credi che possa esserti utile?

– Non lo so – ammise Cristilde con sincerità – Ma tentare non costa nulla… sempre che questi malori continuino ad affliggermi e non siano soltanto un malessere passeggero. Sai cosa diceva un cerusico antico? La natura è il miglior medico: guarisce da sola la metà delle malattie, e non parla male dei colleghi.

Ottavia non rise, né Cristilde se lo aspettava. – Ma se la natura da sola non basta, tenteremo altri rimedi. Sei d’accordo?

Per tutta risposta, la cerusica le tese la sacca con i semi che lo spettro della druida Shanna aveva consegnato a Vinicio. – Ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per non esser mai un peso per la tua missione. La nostra missione.

– Non mi aspetto niente di meno – sentenziò Ottavia, alzandosi – Tieni tu quei semi, io non saprei che farmene. E adesso andiamocene da questo posto del cazzo che pullula di druidi, ragni mannari, Flagelli, folletti, Troll e chissà quale altre bizzarra creatura della Scacchiera, e non c’è manco un fottuto imperiale da decapitare!

Cristilde aggrottò la fronte. – Prima non volevi che venissi a conoscenza di questo tuo piano, eri pronta a rifilarmeli di nascosto, e adesso li lasci a me?

– Certo, perché IO mi fido ciecamente di TE – replicò lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E per lei lo era. Ottavia era così: tutto o nulla, bianco o nero. Il suo mondo non contemplava alcuna sfumatura di grigio.

Anche per questo Cristilde l’amava.

Eppure, quando l’Alfiere uscì dal refettorio per incamminarsi verso l’accampamento del Crepuscolo, la cerusica non sentiva il cuore più leggero: solo il retrogusto amaro della birra in gola.

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