Eremo di Pietralba. Secondo giorno del mese di Ellesham. La notte dopo.

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Da molto tempo nell’Occaso non si era vista una notte chiara come quella. Nemmeno una nuvola, nemmeno un filo di foschia a velare l’immensa distesa di velluto stellato che ricopriva il cielo. Si potevano vedere tutte le colline in lontananza, rotonde e morbide come fanciulle addormentate, coperte qua e là solo dal manto scuro delle foreste silenziose, impreziosite dello scintillare dei ruscelli e delle polle d’acqua che rilucevano alla carezza della luce di Eltrhai.
Eppure, l’assoluta quiete che regnava in quel momento non avrebbe potuto essere più opprimente, per le persone che ancora vegliavano a quell’ora assurda della notte. Per i motivi più diversi, pochi tra coloro che erano stati testimoni degli avvenimenti della mattina erano riusciti a cedere al sonno.
E lei era fra questi.

Aveva deciso di prendersi qualche ora per pensare con calma il da farsi, ora che biosgnava mantenere il vantaggio acquisito a qualunque costo. Tornare a Whallia, rimanere presso l’Eremo, recarsi da Mastro Galenus, andare a parlare con suo fratello… o semplicemente starsene appiccicata ad Hallanor, uno degli stregoni in assoluto più brillanti dell’Occaso, e insieme scovare nel rituale la falla che Desmodar avrebbe cercato e arrivare prima di lui a trovarla?
Non riusciva a decidersi. Mentre rimuginava sulle informazioni in suo possesso, di tanto in tanto passava in rassegna meticolosamente ciò che era accaduto.
Cosa aveva detto sua maestà la Regina, qualche giorno prima?

“Quello che mi ferisce enormemente è vedere che vi ha ridotta in questo stato…”

Oh, ma io non sono mai stata così bene in vita mia, mia regina. Sì, ricordava di aver detto qualcosa del genere. Ed era la verità. Si era resa conto che, seppur sotto pressione, tutto le scorreva addosso. Solo il pensiero di aver fra le mani qualcosa di importante per poter venire a capo della sua ossessione riusciva a scuoterla, solo i tentativi cercar di entrar nella mente del suo nemico le provocavano un brivido incontenibile, solo stringere fra le mani qualcosa che avrebbe potuto condurla un passo più vicino alla sua vendetta poteva cavar fuori qualcosa dell’antica irruenza da quell’anima che ormai si nutriva solo di rabbia gelida e beffardo cinismo.
Di tutto questo era perfettamente consapevole. Il desiderio di vendetta è come un veleno, si diceva. Se non si impara ad abituarvisi, prende il sopravvento, e allora è lui a vincere. Ricordava vagamente che era stata la stessa Kaessandria a ripeterle queste parole per anni e anni, quando ancora lei meditava giorno e notte su come ritrovare, torturare e uccidere suo padre. Com’erano lontani quei giorni! E come le sembravano distanti… quasi come se non fossero stati vissuti da lei, ma da una lontana conoscente. Forse, dopotutto, non era una sensazione molto distante dalla verità.
Ma non aveva importanza. Poche cose ormai avevano davvero importanza.

"Liarl è passato al nemico…"

E questo, aveva importanza? Sì, certo. Ce l’aveva nella misura in cui un ragazzo che aveva giurato a se stesso di distruggere i Quattro del Sole Nero in poche ore si era venduto al maligno per chissà quale vacua promessa, strappata facendo leva sul terrore e sul dubbio che attanagliava il cuore del giovane elfo. Sosteneva di avere una mente salda, Liarl. Era irruento e scavezzacollo ma interamente votato al Bene, eppure aveva voltato le spalle a tutti i suoi amici. Avrebbe voluto essere lì in quei giorni, mentre Aldegar torturava la mente del suo pupillo. Non che si desse la colpa di ciò che era accaduto: erano passati i tempi in cui si sentiva in colpa per ogni cosa acadesse attorno a lei. Ma avrebbe voluto accettare la sfida, e strappar via al Sole Nero quell’anima che per loro sembrava così preziosa, e così dolce da corrompere.
E se ci erano riusciti con lui, chi sarebbe stato il prossimo? Misha? Dahal? Raphael? O qualcuno di insospettabile, magari Marek, o Hakù stesso? Chiunque attorno a lei poteva cedere al terrore, alle minacce, alle lusinghe. Chiunque.
Tranne lei, ovviamente.

“Io impongo su di te il nome di Lazarus…”

Quanto le era costato cercar di strappar via gli orrori che il potere oscuro di Silverion aveva destato nella sua mente, proprio nel momento cruciale del Battesimo Oscuro! Quanto le bruciava la consapevolezza di non essere in grado di tener a bada i suoi incubi, quando venivano ripescati dalle pieghe della sua anima e gonfiati a dismisura da quelle spregevoli creature! Quanto invidiava Sebastian, solido come una roccia, inattaccabile come il diamante più puro, che teneva i suoi ricordi più cupi al sicuro chissà dove nel suo cuore… purtroppo il carico che le gravava sulle spalle era tale che nemmeno l’intercessione di Hor-Yama avrebbe mai potuto farglielo dimenticare del tutto.
Eppure, sebbene in preda alla disperazione più cupa, era riuscita a pronunciare quelle parole.

“…e il suo fato ti spetterà per tutto il tempo a venire…”

Ma gli incubi faticavano sempre a sgombrare la sua mente, una volta che erano stati evocati. Dopo quattro lune, per un attimo si era sentita nuovamente lacerare l’anima dal dolore esasperante che aveva provato quando le avevano strappato via quella creatura senza destino e senza vita che ancora se ne stava disperatamente aggrappata al suo ventre. E immediatamente, a ritroso, era venuto tutto il resto… la caduta di Liarl, il tradimento di Kaessandria, la vita spezzata di Alehandro, le assurde morti di Elmo, Gith e Grishi, la lunga veglia funebre per William, lo spettro di suo padre logorato dalla maledizione, il rogo del circo e l’esecuzione sommaria di Desmond, la notte dello sterminio dei Laes n’ Dahlar, l’assassinio di sua madre e l’indifferenza di Kasumoto… E allora cosa, cosa mai avrebbe potuto desiderare di peggio per chi si era reso responsabile di una discreta parte dei suoi incubi?

“…e che tu possa avere tante gioie, tanta felicità, tante soddisfazioni quante quelle che sono state concesse a tua madre!”

…ovvero nessuna. E quelle poche, giusto per il gusto che mi venissero tolte. Ci ripensava anche in quel momento, provando un’infinita amarezza. Dopotutto, era vero. Inutile che amici e conoscenti tentassero diplomaticamente di dimostrarle il contrario. Era così, punto e basta.
E tuttavia ormai era passata. Ormai il potere di Silverion si era dissolto, e la solida lucidità concessale dal nume dai tre occhi era tornata a proteggerla dai suoi fantasmi con la sua solita efficacia. Il pensiero che infine si stava comportando in modo molto simile a Hakù le strappò un ghigno. In altri tempi, pensava, mi sarei infilata un pugnale in gola pur di non diventare come lui.
Era consapevole di non provare più particolari sentimenti, né nel bene né nel male. Per lo meno, la loro intensità non era nemmeno paragonabile a quando viveva in un perenne stato di tensione e oppressione emotiva.
Cos’aveva detto a Dahal?

“Non possono averti, vedi? Tu hai qualcosa che loro non sono in grado di comprendere. Sei un sognatore, tu. Nonostante tutto il loro potere, non sono in grado di afferrare fino in fondo l’intima natura della bellezza e dell’amore, e non si può combattere con efficacia ciò che non si comprende… finché ti rimarrà la capacità di provare gioia, ti rimarrà anche la speranza… possono farti impazzire di dolore, certo, perché faranno leva su uno qualsiasi dei tuoi dubbi, delle tue paure, dei tuoi incubi… ma finché riesci a tenerti ben stretto anche l’ultimo dei tuoi sogni, loro non potranno certo averti…”

A me, invece, aveva proseguito, i sogni sono stati tolti tutti, tutti quanti… per non cedere ho dovuto rinunciare del tutto alla possibilità di averne ancora… è vero, non esser più costretti ad esser sballottati da un estremo all’altro delle infinite sfumature dei sentimenti è comodo poiché ti mantiene lucido e razionale, e quindi loro non hanno più nulla su cui far leva per farti del male… non c’è più nessun dubbio che ti divora la mente… nessun dolore, nessun ricordo che ti tormenta davvero… ma allo stesso tempo non c’è calore che possa più scaldarti, non c’è più legame che possa trattenerti, non c’è più anima che tu possa considerare vicina a te… nessuna felicità, nessuna vera allegria che possano darti pace o sollievo, non ti rimane nient’altro che il tuo desiderio di vendetta a farti compagnia… e quando anche quello sarà stato soddisfatto… beh… forse non rimarrà davvero niente per cui valga la pena di vivere…
Ma dopotutto nemmeno questo le importava. Si rendeva conto che ancora non si era mai interrogata su cosa sarebbe accaduto “dopo”. Poiché ci sarebbe stato un “dopo”, e questa era l’unica cosa di cui fosse assolutamente certa: Desmodar sarebbe stato distrutto. Definitivamente. Il tatuaggio rossastro che le pulsava sul braccio sinistro glielo ricordava in continuazione. Non aveva alcun dubbio in merito. Tutto stava trovare il come. E sarebbe stata un’impresa durissima.

“Sì, sì… tempus fugit… ma voi non avete ancora capito niente!”

E qui ti sbagli, mio povero Signore di Cristallo. Lei aveva capito eccome, e anche altre persone lo avevano ben presente in testa. Non c’era tempo per rallegrarsi, anche se alla fin fine ci sarebbe stato un valido motivo per farlo.
Era stato solo un piccolo passo, ma era stato compiuto. Era stato compiuto, ma era soltanto un piccolo passo. Il tempo del raccolto era vicino, ma paradossalmente ancora troppo lontano.
Sapeva bene quanto fosse acuta e temibile la mente che adesso occupava definitivamente il corpo di suo figlio. Fremeva di pura adrenalina, inebriata dall’idea di riuscire nuovamente a togliergli di mano il suo giocattolo, ma sapeva che non sarebbe stata affatto una passeggiata. No, decisamente non poteva rallegrarsi.
Anche perché, che trovasse una scappatoia o meno, Desmodar avrebbe trascinato all’inferno quante più anime avrebbe potuto, prima di rassegnarsi a sottostare alle leggi che regolano il mondo dei mortali e liberare definitivamente l’Occaso dalla sua disgustosa presenza.

Il viaggio non finiva. Anzi, era appena cominciato.
…un viaggio, sì. Verso l’inferno.     

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