Il Terzogenito

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Una stanza davvero fuori dal comune per la sua sobria raffinatezza, che comunque non ne nascondeva la sontuosità. Preziosi arazzi intrecciati da mani rapide e sapienti che ritraevano figure altere di nobili a caccia avvolgevano gran parte delle pareti, e dove la stoffa non ricadeva rigida e pesante sulle pietre squadrate, queste erano nascoste da quadri d’ogni genere, che narravano la lunghissima storia dell’antica famiglia che li aveva commissionati. In fondo alla sala troneggiava un immenso camino dalle rifiniture di alabastro nel quale ardeva una fiamma che a malapena era contenuta fra gli alari: dinanzi ad essa, comodamente sprofondato su un’ampia poltrona foderata di prezioso broccato che la rendeva più simile a un trono, un uomo osservava il fuoco senza realmente vederlo. Nella sua mano destra, un calice di vetro scuro, ricolmo di liquido ambrato e dall’aroma acuto e inebriante. Attorno al suo volto un leggero alone di fumo di tabacco (che ardeva dentro una piccola pipa di schiuma) danzava dissolvendosi e riformandosi in mille e più volute azzurrine, instancabile.
Ma l’uomo non sembrava curarsi molto di nulla di ciò che accadeva intorno a lui. I suoi pensieri lo avevano avvolto in un guscio confortevole e impenetrabile: unica via per infrangerlo e quindi richiamare il suo protetto alla realtà era un segnale ben preciso, un richiamo irresistibile per la sua mente assorta… ed era quell’unico richiamo che egli, pazientemente e senza scomporsi, attendeva ormai da un paio d’ore.

E, d’un tratto, l’attesa terminò.

Qualcuno stava bussando alla porta, con discrezione ma con malcelata emozione, visto che non attese alcuna autorizzazione per irrompere nella stanza.
– M…mio signore, è nato… è un maschio, proprio come voi volevate!
L’uomo sorrise appena, annuendo, e con un gesto secco della mano congedò il servitore, che si defilò con deferenza, inchinandosi dinanzi al suo signore.

Finalmente, dopo una lunga attesa, il terzo figlio di Gustav Malinverni era venuto alla luce: di certo sarebbe cresciuto sano, energico e brillante, e non avrebbe di certo deluso le aspettative della sua famiglia.

Anni di studio

Erano passati alcuni anni da quando il piccolo Lougrein (questo era il nome che Gustav aveva scelto per lui) era venuto alla luce. Ormai non era più un bambino, e il tempo dei giochi (sempre così breve, a Sathor!) era prossimo a finire. Così come era accaduto per i suoi cugini e per i suoi fratelli, la famiglia Malinverni aveva già deciso il futuro del ragazzino: infatti, lo attendeva Port Jenulf, la grande capitale di Falsim, imponente baluardo che cingeva al suo interno le più grandi accademie del sapere di tutto il Meridione. Lì, nelle ampie e austere sale di pietra, avrebbe appreso i segreti dei sapienti e le arti della magia, e avrebbe imparato ad utilizzare la sua indubbia intelligenza al meglio, così come era stato per tutti i suoi parenti.
Una splendida prospettiva di vita e di carriera, certo… se non fosse stato che, nel giro di poche settimane, il giovane Lougrein scoprì di essere totalmente e irrimediabilmente disinteressato allo studio.
Oh, certo, certo che non era stupido, no. Solo, le pagine dei libri gli sembravano ricolme di inutili grafemi, un autentico spreco di inchiostro e di pazienza da parte degli scrivani e degli autori, e ogni volta che aveva provato a concentrarsi sulle informazioni contenute sulle pergamene aveva sentito un sonno insostenibile impadronirsi di lui, e il desiderio irresistibile di alzarsi per dedicarsi a qualsiasi altra cosa che non fosse starsene lì a concentrarsi. In breve aveva perso interesse nello studio, non si prendeva nemmeno più la briga di interessarsi o applicarsi, svogliato e privo di stimoli com’era. Saltava le lezioni, si imbucava durante le esercitazioni pratiche, collezionava note di demerito che si limitava ad accogliere con totale indifferenza, sotto lo sguardo esasperato dei suoi tutori.
Un giorno che si era risoluto a non alzarsi nemmeno da letto, tanto era la coltre di noia che lo avvolgeva, rigirandosi fra le coperte gli cadde l’occhio alla sedia sulla quale aveva lanciato distrattamente i suoi vestiti la sera precedente e notò un lungo fodero di cuoio nero ornato di velluto… ma certo, se ne era completamente dimenticato… prima di partire, suo padre gli aveva regalato una spada! Oh, certo, niente di particolarmente letale… solo una spada da allenamento quasi innocua, quasi più simile a uno stocco che a una spada vera… ma per Lougrein poteva bastare.
Si alzò dal letto scrollandosi di dosso la pigrizia residua e, senza nemmeno perder tempo a vestirsi, sfoderò l’arma e iniziò a giocherellarci. La lama era leggera, ma mulinellandola nell’aria Lougrein poteva percepire come reagisse diversamente all’attrito dell’aria a seconda dei suoi movimenti. In breve, quasi senza rendersene conto, aveva smesso di gingillarsi, come se volesse giusto far passare il tempo, e aveva iniziato ad impegnarsi seriamente. Conosceva qualche rudimento, e si era messo d’impegno per applicarlo al meglio, menando fendenti e cercando di passeggiare tirando di scherma, prestando attenzione a errori e a successi.

Ad un certo punto si accorse di avere fame.
Il vespro era giunto senza che Lougrein se ne rendesse conto.

Aveva finalmente trovato qualcosa di meglio da fare che studiare su polverose pergamene in compagnia di vecchi barbogi.

Fuori dall’abisso

“…certi che il ragazzo sia comunque dotato di ottime capacità di apprendimento, ci meravigliamo ancora una volta che Vostro figlio si rifiuti categoricamente di sfruttare queste sue qualità e non mostri alcun interesse in nessuna delle discipline in cui la Vostra nobile famiglia primeggia da sempre…”

Ancora una lettera da Port Jenulf. Ancora una volta doveva subire quest’umiliazione.

“…siamo addolorati nel dovervi comunicare che, se Vostro figlio non inizierà ad applicarsi regolarmente nelle lezioni, egli non potrà in alcun modo superare gli esami finali, senza contare che, data la sua totale, indiscussa e volontaria refrattarietà all’apprendimento, forse dovreste iniziare a considerare l’idea di ritirarlo dall’Accademia, poiché non ne trarrà alcun giovamento…”

In poche parole, “è intelligente ma non si applica”. Questo gli scrivevano i grandi maestri del sapere di Falsim, gli stessi che avevano istruito lui stesso, i suoi fratelli e i loro numerosi rampolli ottenendo brillanti successi almeno in una disciplina.
E il suo terzogenito non ne voleva sapere di imparare. Non capiva, quella testa vuota, che il prestigio dei Malinverni stava tutto nell’immenso sapere che coltivavano? Non sapeva, dunque, che l’intelligenza è la forma più raffinata di potere?
Non è stupido, dicevano i mentori, e invece sì che lo era! Era uno stupido che non capiva che rimanere nell’ignoranza avrebbe fatto di lui un pezzente in abiti di broccato, rozzo e volgare peggio di un Cavaferro!

– …e per finire, sei la vergogna di questa famiglia, Lougrein! Ma non capisci? Proprio non capisci? La conoscenza è l’unica via per il potere! E tu proprio non ne vuoi sapere di apprendere NIENTE!

Gustav aveva richiamato il figlio a casa. Era inutile pagare la costosissima retta delle accademie del sapere se tanto quel cretino non riusciva a trarne nessun giovamento. L’aveva accolto nel gelo più totale, e aveva iniziato subito a leggergli il testo dell’ultima lettera ricevuta dal rettore. Lougrein era stato immobile, in piedi dinanzi a Gustav che leggeva con voce chiara e increspata di rabbia, senza fiatare. A capo chino, trattenendosi a stento dal mettersi a piangere, aveva ascoltato le dure parole che il padre gli aveva rivolto, una filippica che era durata più di mezz’ora. Le gambe gli si erano intorpidite, a stare immobile così, e adesso era in preda ai crampi, ma non si sarebbe mosso nemmeno se lo avessero colpito con una mazza sulle ginocchia.

– E adesso? Cos’hai da dire? RISPONDI!

Lougrein prese il coraggio a quattro mani, sforzandosi di mantenere la voce ferma.
– Padre… io… avete ragione… ma proprio… proprio mi annoio…
– Ti annoi? – tuonò Gustav, incredulo.
– Sì, – deglutì Lougrein, masticando in fretta le parole – io lo so che voi avete ragione, che la conoscenza è importante e tutto il resto, ma proprio non ci riesco, è tutto talmente noioso che… che non faccio altro che addormentarmi a lezione… e i maestri cantilenano nemmeno fossero chierici sordi e rimbecilliti, non capisco nemmeno una parola di quel che dicono… e non mi interessa più capire niente… la grammatica proprio non mi entra in testa, non faccio altro che macchiarmi di inchiostro e rompere pennini… ci ho provato, padre, ve lo giuro che all’inizio ci ho provato, ma proprio non mi piace e non mi interessa…
Aveva parlato senza fermarsi, come se si fosse voluto finalmente sfogare, e non si era reso conto che l’espressione del padre era diventata ancora più terribile. Le ginocchia di Lougrein furono attraversate da un brivido.

– Non ti interessa, eh? NON TI INTERESSA? E sentiamo, allora, cretino di un figlio, cosa ti interessa? Ferrare cavalli? Lavare pile di panni sporchi? Tenere pulite le latrine? Perché è QUESTO che ti attende, sappilo! Allora? Eh? Cosa interessa a Lougrein Malinverni, la disgrazia di questa famiglia?
– La… sp… la spada…
– La COSA? –
-La spada, padre… mi sono allenato tutte le volte che ho saltato le lezioni… tirare di scherma mi piace, mi fa sentire libero e potente più che se usassi mille parole…
Gustav sgranò tanto d’occhi. Fino a un momento prima aveva solo voluto mettere paura a quel figlio svogliato e degenere, ma in quel momento comprese che forse, semplicemente, Lougrein non era portato per lo studio perché preferiva l’azione diretta e immediata. Certo, non era molto normale per un Malinverni, che mirava ad ottenere i suoi risultati con astuta pazienza, con l’arma micidiale della parola e della magia… ma era comunque accettabile, dopotutto. Erano tanti i giovani sathoriani che trovavano la loro strada nella milizia o nelle vie di ventura, e facevano carriera in questo modo.
Era dunque questo che voleva il suo terzogenito? Voleva la gloria d’arme? O era solo un capriccio, un modo per svicolare dalla sua stupidità?
– Una spada, eh? Una spada… una spada per un lazzarone buono a nulla come te… pensi di meritare una seconda possibilità? Un Malinverni che brama la spada… inaudito… Vattene, Lougrein… devo rifletterci su.

Il ragazzo fece quanto gli era stato chiesto, inchinandosi leggermente e defilandosi, ancora malfermo sulle gambe. Una volta chiusa la porta alle sue spalle, iniziò a correre lungo i corridoi di pietra della magione, serrando le mascelle per cercare di evitare di scoppiare a piangere, finché non giunse fuori, all’aperto, e continuò a correre finché non giunse ai margini delle proprietà della sua famiglia e si gettò a terra, ansante e col volto rigato di lacrime, affondando la testa su un tappeto di muschio fresco, all’ombra di un grosso larice dal tronco coperto di resina ambrata. Non voleva vedere nessuno, non desiderava il conforto di nessuna mano… le parole di suo padre erano state così dure, così terribili, così… forse aveva ragione, forse era davvero un inetto, e poi parlare così, con franchezza, con sfrontatezza, a suo padre, così grande e potente, lui…

– Che fai qua da solo?

Una voce tersa, seria e inequivocabilmente femminile interruppe il flusso dei suoi singhiozzi. In quel momento, Lougrein si sentì nudo come un verme: qualcuno l’aveva beccato a frignare come un poppante! Qualcuno stava alle sue spalle a deriderlo per la sua debolezza, a guardarlo crogiolarsi nella sua disperazione! Una ragazza, per giunta! Poteva andargli peggio?
– Chi sei… che vuoi? Lasciami solo!
Lougrein si voltò e si trovò davanti una fanciulla di poco più grande di lui, dai grandi occhi azzurri, che si stagliava dritta e imponente contro il sole del tardo pomeriggio. Gli ci volle qualche attimo per ricordarsi che l’aveva già vista, molto tempo prima, quando entrambi erano ancora molto piccoli: doveva trattarsi di Dalila, sua cugina, una delle figlie del fratello di suo padre. Non la vedeva da anni, ormai.
– Non sia mai che un poppante come te possa dirmi cosa devo fare… – Lougrein stava per urlarle contro le parole peggiori che avesse appreso nei dintorni dei moli di Port Jenulf, ma improvvisamente si accorse che Dalila aveva abbozzato un sorriso.
– Dai, asciugati quelle lacrime e dimmi che accidenti ti è successo… ti ho visto attraversare il cortile a una velocità inaudita, pensavo che ti saresti spiaccicato contro il larice, e invece ti sei fermato in tempo, noto…
Lougrein non capì mai perché proprio lui, che ormai da tempo si era chiuso in se stesso, diventando apatico e introverso, diffidente verso tutto e tutti, in quel momento avesse sentito il bisogno irrefrenabile di raccontare ogni cosa, ogni dettaglio alla cugina, che si era seduta silenziosa accanto a lui e l’aveva ascoltato senza dire una parola finché lui non aveva finito di sfogarsi… le snocciolò ogni cosa: i lunghi mesi di noia a Port Jenulf, le lezioni mortalmente tediose, i compagni che lo evitavano, i rimproveri della famiglia e la strigliata finale di suo padre… e poi le raccontò dei suoi progressi con la spada, della sua voglia di imparare sempre di più, delle sensazioni di forza e sicurezza che provava nel brandire una lama… e Dalila l’ascoltò con pazienza e interesse, annuendo di tanto in tanto con aria grave, seguendo i movimenti delle mani del cugino con lo sguardo.
Solo alla fine parlò, con voce calma e quasi adulta.
– Lougrein, tu sei tutt’altro che stupido, credimi. Se ne accorgeranno molto presto anche tutti gli altri…
– Non pensi che io sia un fallimento, come mio padre mi ha detto?
– Sono sicura che non lo pensa davvero nemmeno lui. No, dammi retta, devi solo trovare la tua strada, anzi, mi sembra tu sappia già quale sia, no?
– Sì, ma…
– Da’ loro del tempo… capiranno quanto vali, vedrai!
Lougrein si lasciò sfuggire un sorriso di rimando a quello della cugina. Le avevano parlato molte volte di lei, di quanto fosse intelligente, determinata, forte e intrepida… una Malinverni fatta e finita, che eccelleva in tutto, e da grande sicuramente sarebbe diventata una donna potente, oltre che bellissima.
– Tu dici, Dalila?

L’Accademia della Settima Corona

– Guarda, passa ‘lentogrein’!
– Chiamalo col suo nome! ‘Tontogrein’ gli si addice meglio!
– Ehi, ‘tontogrein’, scommetto che quel ramarro è molto più veloce di te nel fare le moltiplicazioni!
– Piantatela, massa di deficienti…
– Dai, Dalila, perché giochi sempre insieme a quel perdente?
– Soprattutto tu sta’ zitto, Jago, ti conviene, o ti ritrovi con qualche dente in meno!
– É un ebete completo! Lo dice sempre anche mio padre! Dice che è la vergogna di questa famigl…
– NON T’AZZARDARE!
Non era la prima volta che questa scena si ripeteva, e Lougrein iniziava davvero a temere che non sarebbe stata l’ultima. Appena qualcuno degli altri ragazzi (figli di parenti vari, tutti Malinverni) diceva qualcosa di troppo su di lui, sua cugina Dalila provvedeva ad azzerare le malelingue con calci, pugni e ceffoni ben piazzati. Era la maggiore di quel gruppetto di ragazzini e sapeva come farsi rispettare e mantenere la sua indiscussa autorità, ma di certo Lougrein, che pure le era riconoscente, avvertiva la distanza enorme che la separava dal resto dei ragazzi, lui stesso compreso.
Lei era davvero in gamba, e invece, lui… forse suo padre aveva ragione a dargli dell’ingrato ignorante, forse i suoi coetanei avevano ragione a disprezzarlo… quando si lasciava prendere da questi pensieri, però, sua cugina si faceva in quattro per smentirlo, ripetendogli che lui valeva più di tutti gli altri messi insieme… doveva solo aspettare che si presentasse la ‘sua’ occasione, e allora…
– Presto, vedrai cuginetto, la tua occasione arriverà presto!
E, contro ogni aspettativa, così fu.

Erano passate circa due lune da quando Lougrein era tornato a casa e aveva discusso con suo padre, e ormai stentava ad aver fiducia nelle parole di Dalila, che gli erano sempre di conforto. Invece, una sera, un servitore entrò solennemente nelle stanze di Lougrein, comunicandogli che padron Gustav lo attendeva nel suo studio personale, proprio là dove, anni prima, aveva atteso pazientemente la nascita del suo terzogenito.
Il giovane sentì le viscere attorcigliarsi in una morsa convulsa, ciò nondimeno annuì signorilmente e congedò il domestico, preparandosi immediatamente per l’incontro. Non sapeva se gioire o se rallegrarsi per la notizia: forse il padre aveva deciso di accogliere la sua richiesta? O piuttosto l’avrebbe relegato a lavorare nelle stalle a spalare letame, per ripagarlo della sua impudenza e di tutte le mezze battute che le malelingue continuavano fare su di lui, minando il prestigio di Gustav stesso?
Cosa lo attendeva al di là del robusto portone di quercia che stava per varcare?

– Figliolo, lascia che te lo dica, sei un disastro totale.
Lougrein, in piedi dinanzi a suo padre, si sentì mancare la terra sotto i piedi.
– Non sei nemmeno capace di difenderti da solo… se tua cugina non ti avesse preso in simpatia…
Magari nelle stalle faceva fresco, d’estate, abituandosi al fetore.
– E dire che lei è una ragazza coi piedi per terra, e mio fratello prevede per lei un grande avvenire… cosa che non si può dire per TE…
Forse dopotutto i cavalli non erano una cattiva compagnia.
– …sto diventando lo zimbello della famiglia per colpa tua e della tua totale apatia e dabbenaggine…
Chissà quanto pesava una pala?
– …e questo decisamente NON VA…
Doveva essere faticoso usarla tutto il giorno.
– …per questo ho preso la mia decisione…
Chissà se il fieno gli avrebbe dato allergia, a lungo andare.
– …ho deciso di mandarti…
A spalare letame nelle stanze, padre, sì, l’ho capito.
– … a Kurant…
Ci sono stalle molto grandi a Kurant?
– …all’Accademia della Settima Corona…
A spalare letam… COSA?
– …e che un mindflayer mi succhi il cervello se non diventerai uno spadaccino come si deve, sciagurato di un figlio!

Lougrein non poté trattenersi dallo sgranare gli occhi. Si era già immaginato sporco di guano dalla testa ai piedi, e invece…
– Padre, io…
– Non ringraziarmi, stupido di un figlio! Ti avverto, non ti voglio rivedere in questa casa se prima non sarai riuscito a farti perdonare per la tua inettitudine! Pretendo risultati, stavolta! Pretendo impegno! ESIGO che tu diventi qualcuno, altrimenti finirai a pulire merda di cavallo per l’eternità!
Il ragazzo deglutì a malapena, inchinandosi frettolosamente.
– Certo-padre-come-volete-padre-farò-tutto-quel-che-posso-padre!
Gustav si lisciò il mento con aria grave ma vagamente compiaciuta.
– Molto bene. Prepara la tua roba. Partirai domani all’alba.

***

– Cosa? Ma è meraviglioso! Non è quello che volevi?
– Certo, certo, ma…
– Che c’è che non va?

Come era prevedibile, prima ancora di tornare nelle sue stanze, Lougrein si era precipitato in quelle di Dalila, perché voleva che fosse lei la prima a gioire con lui, e a condividere la sua eccitazione. Però, man mano che le raccontava, si era fatto sempre più cupo, come rendendosi conto che qualche cosa stonava nel meraviglioso quadro generale che gli si prospettava davanti.

– È che… insomma… chissà per quanto tempo… voglio dire…
– Oh, – trillò lei, improvvisamente intuendo quale fosse il punto – ma dai, scioccone! Siamo amici, no? Sono la tua cuginetta preferita, no? Puoi scrivermi quando vuoi, e sarò contentissima di risponderti! Certo, magari avrò qualche difficoltà a capire la tua grafia, visto che sei un illetterato…
– Scema!
– e non sai usare nemmeno la punteggiatura…
– Cattiva!
– …almeno sai come si piegano le pergamene?
– AAAh, basta!

Prima che Lougrein potesse tornare di nuovo in camera sua, volarono via tre quarti d’ora e centinaia colpi di cuscino.

***

“Mia cara Dalila,
accidenti, è quasi un mese che non ho tue notizie! Ma d’altronde io stesso faccio fatica a scriverti spesso, perché come già ti dissi tempo fa, qui è un vero manicomio!
Le ore di teoria della scherma sono meno noiose di quelle passate sui libri di algebra, ma gli allenamenti sono snervanti! Ore e ore nella stessa posizione, sotto il sole o sotto la pioggia, che alla fine i polsi quasi mi si slogano e a malapena riesco a reggermi in piedi!
E gli istruttori continuano a urlarci contro insulti crudeli e ci infliggono punizioni corporali umilianti per forgiare il nostro carattere… qui bisogna farsi furbi, se si vuol sopravvivere…
Ti ricordi che ti avevo parlato di un certo Lodezio, quello con la faccia di topo, che non faceva altro che tremare dinanzi ai superiori? L’altro giorno l’hanno fatto correre senza vestiti davanti a tutta la compagnia schierata, e l’hanno costretto a leccare le scarpe sporche di fango di tutti gli ufficiali… la sera piangeva come una fontana nel suo letto, e i suoi compagni di camerata l’hanno ignorato per un po’, dopodiché l’hanno picchiato perché smettesse di disturbarli, e infine qualcuno gli ha anche orinato addosso!
Qui le cose stanno così, cara cugina, e bisogna adeguarsi, altrimenti si fa la fine di quell’idiota di Lodezio… e io non ne ho proprio voglia, sai? …”

“Cara cuginetta,
i momenti di tranquillità sono sempre più rari in questo posto, e in effetti a me sembra quasi incredibile di riuscire a provare ancora il desiderio di scriverti.
Se il fine di quest’Accademia è di creare delle macchine da guerra senza sentimenti, beh, ci riescono benissimo, te lo assicuro, e ti dirò che la cosa non mi dispiace affatto, adesso.
All’inizio provavo quasi un po’ di compassione per gente come Lodezio (lo sai? Alla fine l’hanno trovato impiccato alla ringhiera del pulpito della sala d’arme… chissà se ha fatto tutto da solo o l’hanno aiutato?), ma al momento mi viene solo da pensare che i deboli meritino solo di crepare come topi sotto gli artigli del gatto.
Ma tu avevi ragione, cuginetta! Io sono forte, e tutto questo ormai non mi fa più caldo né freddo… e sono sufficientemente forte dal prendere a pugni chiunque mi derida perché continuo a scriverti!
Dicono che i sentimenti sono pericolosi e inutili fardelli, ma tu non sei una persona come le altre! Tu sei una montagna, inamovibile e impossibile da scalare per chiunque! Il mio affetto per te mi rende tutt’altro che un mollaccione senza spina dorsale!…”

“Cuginetta mia cara!
La Festa di Mezz’Inverno si avvicina! Presto ci potremo incontrare di nuovo!
Stenterai a riconoscermi… mi sono fatto alto, robusto, muscoloso… niente a che vedere col ragazzetto debole e insicuro che conoscevi!
Lo sai? Adesso, quando ho in mano la spada, mi sembra di acquistare anche più forza e potenza! Nessuno può sconfiggermi, nessuno! Certo, mi rendo conto benissimo che gli istruttori potrebbero massacrarci a loro piacimento, se volessero, ma presto sarò come loro! Presto, molto presto! Nessun nemico potrà resistermi, e la brama di immergere la mia lama nelle sue carni mi inebria come poche altre cose…
Purtroppo devo lasciarti presto, stavolta: sembra che sia in programma un’ispezione speciale degli allievi e non devo farmi cogliere in fallo, ma ti prometto che ti scriverò presto, prima di tornare a casa…

Un grosso abbraccio,
tuo Lougrein”

Libera uscita

– Sono lieto di vederti in forma, figliolo… evidentemente, l’aria dell’Accademia alla fine ti ha fatto bene, devo proprio riconoscerlo!
Lougrein annuì chinando appena la testa. Alle parole del padre che, come sua abitudine, lo aveva convocato nel suo studio e adesso si rivolgeva al suo terzogenito mentre se ne stava comodamente sprofondato nella poltrona.
Era molto tempo che non rivedeva più il suo ragazzo, che ora se ne stava diritto e impettito dinanzi a lui, freddo e controllato… c’era un abisso fra quel giovane uomo e il ragazzino frignone e spaurito che aveva lasciato quella casa anni prima, Gustav se ne rendeva perfettamente conto. Tuttavia, non aveva ancora deciso se essere soddisfatto o temere un cambiamento così radicale nel contegno di Lougrein.
– Bene, ragazzo, ora che sei tornato ci sono un paio di compiti che devo assolutamente affidarti…
Lougrein inarcò leggermente un sopracciglio. – Che genere di compiti, padre?
– Fra due giorni una carrozza speciale ti porterà a Scentiar: voglio che ti rechi presso l’eminentissimo Magister Palladio Serravicini e che gli consegni un plico d’importanza direi quasi vitale per la nostra famiglia… si tratta dei risultati di alcuni studi portati avanti da…
Ma Lougrein aveva smesso di ascoltare il padre. Due giorni… due giorni significava perdere la festa di Mezz’Inverno… due giorni significava che non avrebbe rivisto la sua cara cuginetta, che non sarebbe arrivata se non al termine della settimana… due giorni significava che l’unico motivo per il quale era ritornato a casa sarebbe sfumato, rendendo inutile quel viaggio…
E adesso doveva pure sbattersi fino a Scentiar per delle inutili pergamene! Lo perseguitavano, altroché! Anzi, era sua padre ad assillarlo! E niente Dalila! Non sarebbe tornato in tempo per incontrarla! E tutto questo per colpa di suo padre e dei suoi maledetti affari!
La rabbia che gonfiava nel suo petto non gli permise di tacere oltre.
– Ma come, padre… – sibilò a denti stretti, gli occhi ridotti a due fessure che quasi scintillavano di un perverso colore giallastro – Torno a casa dopo anni e voi… voi mi spedite subito a miglia e miglia di distanza… mi negate i festeggiamenti… mi negate di incontrare l’unica persona sensata di questa famiglia… l’unica che ha saputo capirmi e incoraggiarmi quando VOI non facevate altro che denigrare il fatto che ero diverso da voi, e quindi solo un buono a nulla… voi mi negate l’unica cosa che mi interessa… e pretendete che io obbedisca senza fiatare…
– Ti faccio un grande onore ad affidarti un compito così delicato, Lougrein, – ribatté Gustav, con tono gelido – mi meraviglia che non ti renda conto di che grande tributo di fiducia e stima io ti stia rendendo in questo momento!
– Oh, invece lo capisco bene…
Gustav osservò il figlio, quasi non riuscendo più riconoscerlo. I pettorali ben sviluppati si sollevavano seguendo il ritmo del respiro, che aveva accelerato leggermente. Sembrava che ogni muscolo del corpo del ragazzo fosse sottoposto ad una tensione inimmaginabile e, fissandolo con attenzione, si accorse che la mano destra si apriva e chiudeva ritmicamente sull’elsa della spada. L’espressione che si era impossessata del volto di Lougrein non solo non aveva nulla di amichevole, ma sembrava quella di un cane rabbioso pronto ad azzannare, e per un istante un brivido percorse la spina dorsale di Gustav, che era quasi inorridito. Che cosa diamine ne era stato del ragazzino introverso e mollaccione che era stato il suo terzogenito? Che accidenti gli avevano fatto, per trasformarlo così?
– Sono spiacente figliolo, – si affrettò a concludere Gustav con il solito tono di sufficienza – capisco che tu ci tenessi molto a incontrare tua cugina, ma in questo momento non posso fidarmi di altri che di te. Va’ a prepararti.
Passò qualche attimo lungo, lunghissimo, che parve non finire mai, prima che Lougrein rispondesse, con un sibilo. – Come volete, padre.

***

– …sì, sì, e poi, sai, ho deciso di dedicarmi all’ingegneria idraulica… tu non hai idea, non-hai-idea di quanti usi se ne possono fare! Ovviamente, mio padre mi ha indirizzato verso l’industria bellica, sai, è molto amico di Manteo Longini, l’ingegnere capo della quinta divisione artificieri, e quindi…

Riconosceva quella voce. L’avrebbe riconosciuta fra mille e fra migliaia di anni. I mesi in cui aveva dovuto subire gli insulti e le percosse dal proprietario di quella voce erano ancora ben vivi nella sua memoria.
La carrozza era pronta, ma c’era ancora tempo per fare qualcosa.
Deviò dal vialetto per dirigersi a larghi passi verso i due giovani che dialogavano: conosceva anche l’altro, ma era solo un gregario, quindi se ne disinteressò. Gli bastava che guardasse quel che stava per fare.
I due si resero conto che lui si stava avvicinando solo all’ultimo momento, rimanendo inebetiti dalla sorpresa quando Lougrein spintonò il più alto dei due con una gesto secco ma efficace, sbattendolo a terra.
– Ma che…
Non poté finire la frase, perché nel giro di un istante si trovò una lama ben lucida piantata alla giugulare. Il fiato gli morì in gola.
– Ma… ma… chi sei… che ti ho fatto…
– Che mi hai fatto, Jago Malinverni? Che mi hai fatto?
– M-ma certo! Non posso averti fatto assolutamente nulla! Non sono mica tanto stupido da mettermi contro uno grande e grosso come te… P-per chi mi hai preso…
Lougrein si chinò leggermente, osservandolo con occhi di fuoco, e Jago si sentì trafiggere dal terrore di morire, lì, in quel momento, sul selciato, davanti agli occhi del suo compagno di studi, che osservava la scena incredulo e impietrito. La lama della spada del suo assalitore aveva ruotato leggermente, e ora minacciava di taglio la sua gola, pronta per essere attraversata da un segato rapido e preciso.
– Tutta la tua intelligenza non riesce a cavarti fuori da questa situazione, eh? Tutto il tuo prezioso cervello, ingabbiato in un corpo da vigliacco… che dirà Manteo Longini quando verrà a sapere che ti sei fatto cogliere di sorpresa come un poppante e adesso stai tremando come un cagasotto? Mi basta solo un gesto e potrei recidere la tua inutile vita…
– Ma chi sei, che ti ho fatto… cosa?
– ‘Tontogrein’…
– Cos… OH!
– Hai capito, adesso?
Un’espressione di orrore si dipinse sul volto del giovane ingegnere. Quel colosso che troneggiava su di lui era quel bambinetto spaurito, come lo chiamavano… “tontogrein”… si era fatto mettere al tappeto da quell’inetto! Che non era AFFATTO inetto, e adesso aveva la sua vita in pugno, e di certo… oh, maledizione, di certo…
– Oh d-dei… t-ti prego… p-perdonam…
– È un po’ tardino, non trovi, cagasotto?
– M-mi disp…
– È TARDI, CAGASOTTO!
– Maledizione-ti-prego-NO!
Lougrein tirò indietro il gomito e la lama incontrò le carni di Jago, che lanciò un grido soffocato, stringendo gli occhi. Le sue brache si imbrattarono improvvisamente di orina e il suo corpo si contrasse in quello che credette potesse essere l’ultimo suo gesto cosciente.
Invece no.
Aprì gli occhi, e avvertì un dolore atroce alla base del collo. No, era più su. La bocca. La mascella. A malapena poteva capire, perché tutto il suo volto in breve fu in fiamme.
Tuttavia, era vivo… si portò una mano al volto per sincerarsene e sentì un dolore indicibile quando ne sfiorò la parte inferiore: un taglio diagonale da guancia a collo gli aveva quasi portato via le labbra, devastandogli al bocca, mentre un fiotto di sangue scorreva rapido lungo i margini netti della ferita!
– Della tua miserabile vita non me ne faccio di niente, lurido cagasotto… ma ti ho lasciato un ricordino perché tu ti possa sempre rammentare di me ogni qualvolta aprirai quella tua sudicia bocca per dire cretinate, così magari ci penserai due volte prima di parlare. E non provatevi a dire qualcosa su questo scambio di opinioni a nessuno, altrimenti verrò a cercarvi personalmente per finire il discorso…

Lougrein si voltò, pulendo l’arma sulla tunica fluente del compagno di Jago, rigido in un’espressione di terrore puro, incapace di distogliere lo sguardo dal giovane ingegnere che piangeva e cercava di tamponarsi la ferita. Poi, come se non avesse fatto nient’altro che allacciarsi i calzari, salì perfettamente calmo e silenzioso sulla carrozza e iniziò il suo viaggio.

Il fiore di fuoco

Lougrein aveva sbrigato quanto gli era stato affidato in meno di una settimana, ma il suo impegno non era stato comunque sufficiente a permettergli di giungere a casa in tempo per incontrarsi con Dalila. Così, aveva deciso di prendersela con calma, tanto che c’era, e di passare una notte in una locanda che gli sembrava promettente, in modo da annegare il suo disappunto in qualche bella coppa di moscato di Krozan Koheri: quegli inutili e ambigui rifiuti della società che prendevano il nome di alemariti ogni tanto facevano qualcosa di buono, dopotutto…
Si era così sistemato comodamente in uno dei tavoli liberi della locanda davanti alla sua pregiata coppa di vino, del tutto disinteressato a ciò che accadeva intorno a lui, finché i suoi pensieri non furono disturbati da alcune grida concitate, provenienti da qualche tavolo di distanza da lui.
Che noia… una lite… certa gente proprio non sa rilassarsi…, pensò mentre volavano parole grosse fra due mercanti all’apparenza piuttosto facoltosi e benvestiti. Sembrava che l’uno avesse fatto un torto mortale all’altro, e che l’altro non intendesse riparare a ciò che considerava suo pieno diritto… ma la faccenda non andò avanti per le lunghe: improvvisamente, Lougrein notò che uno dei due, quello col pastrano rosso, colto da un eccesso d’ira, aveva sfoderato uno strano aggeggio di legno e metallo pieno di strani ingranaggi esposti a vista, dotato di una lunga canna che si apriva in fondo in una leggera strombatura. Come si ritrovò davanti quello strano ordigno, l’altro mercante, più giovane, diventò bianco come uno straccio e si aggrappò ad una sedia come se le gambe gli stessero cedendo proprio in quel momento.
– N-non oserai, PAZZO!
Ma non ebbe il tempo di dire altro: in un lampo, un fiore di fuoco schizzò fuori dal bizzarro oggetto con un fragore assordante e penetrò fra le costole del malcapitato, sollevando al suo passaggio una miriade di brandelli di carne e lasciandosi alle spalle un sottile filo di fumo nero e denso e un penetrante odore di bruciato.
Il mercante si accasciò a terra senza vita, mentre l’altro soffiava sulla strombatura della canna della sua arma, preparandosi a riporla con cura.
– Te la sei proprio voluta, idiota… così impari a non pagare i debiti di famiglia…
Lougrein si guardò brevemente attorno: nessuno sembrava aver avuto da che ridire per quella scena poco decorosa, e anche l’oste aveva taciuto sapientemente quando il mercante col pastrano rosso gli ebbe scodellato sul tavolo una piccola fortuna in gemme, mugugnando qualcosa come ‘per ripulire la cucina dai ratti di fogna’.
Il giovane sathoriano rimase imbambolato per qualche istante, contemplando lo squarcio che si era aperto sul petto del mercante, morto stecchito. L’odore che emanava quella ferita era… così diverso… e cosa erano stati quel botto, quel fragore, quel bagliore intenso e così affascinante? Quale segreto era celato in quella che indiscutibilmente era un’arma letale? Doveva assolutamente scoprirlo…
Cercando di non dare nell’occhio, si alzò, lasciò sul banco più di quanto avrebbe dovuto pagare e seguì il mercante in rosso fuori dalla locanda. L’uomo, anche se un po’ brillo, si accorse subito che il giovane stava cercando proprio lui, si voltò e lo apostrofò con voce stizzita.
– Beh? E tu che vuoi? Eri per caso un parente di quel pidocchio?
– Nemmeno per idea, signore, – rispose Lougrein con amabilità, cosciente che le buone maniere in questo caso avrebbero risolto molte più cose che una spada sguainata – non so chi fosse e nemmeno mi interessa… volevo solo domandarvi un’informazione, se me lo concedete…
– Davvero, eh? – continuò il mercante, ancora sospettoso – E chi saresti, tu, di grazia?
– Il mio nome è Lougrein Malinverni, figlio di Gustav Malinverni…
– Oh, ora capisco! – Gli occhi del mercante si illuminarono, e i lineamenti del suo volto si addolcirono – un sathoriano! Ma pensa te… guardando la tua, pardon, la vostra mezza maschera mi ero un po’ insospettito, ma se le cose stanno così, eh eh… dovete scusarmi, sono un po’ troppo brillo e alterato per ragionare…
– E, di grazia, voi sareste…? – domandò educatamente e compitamente Lougrein, desideroso però di arrivare al punto prima possibile.
– Oh, ma certo, che maleducato! Il mio nome è Hoden Serris e da anni sono al servizio della Corte del Drago d’Oro, a Trelven, come intermediario esperto in manufatti alchemici… ogni inverno mi vengo qua, in Oriente, per contrattare il… oh, beh, ma immagino che non è per questo che mi avete fermato, non è così?
– Precisamente, messere… Vogliate scusarmi, ma sono rimasto assolutamente affascinato dall’arma che avete usato contro il vostro debitore…
– Ah, voi vi intendete di ‘sputafuoco’, allora! – rise allegro (molto allegro) il mercante.
– Di… cosa? – Lougrein apparve totalmente disorientato.
– Come come? Ah, no, adesso capisco! Era la prima volta che vedevate una pistola, eh?
– Pistola, si chiama così dunque? Mai vista una cosa del genere prima d’ora.
– Ehhhh, mio caro ragazzo, questo è un autentico gioiellino! E sono pochi quelli che si possono permettere oggettini così! Tra l’altro, sono anche difficili da trovare, perché sono in pochi quelli che conoscono il loro segreto… avrai forse sentito parlare dei ratkin, gli uomini ratto che vivono a Ovest…
– Rat…
– Sì, loro! Solo loro e pochi rarissimi alchimisti se ne interessano…
– Alchimisti?
– Sì, sì… adesso ti spiego…

E Hoden Serris si dilungò in una lunga e contorta spiegazione (che non avrebbe mai perso tempo a sciorinare se non avesse avuto tanto alcool in corpo e un tremendo bisogno di compagnia, dopo la ‘disavventura’ di quella sera) della quale Lougrein capì poco o niente…
Tuttavia, quando tre quarti d’ora dopo il trelvenita si dileguò, Lougrein aveva capito molte cose: in primo luogo, avrebbe iniziato a studiare l’alchimia. In secondo luogo, avrebbe dato fondo alla biblioteca di suo padre (a malapena ricordava dove fosse situata!) per cercare volumi che parlassero di armi da fuoco. Terzo, avrebbe cercato una ‘sputafuoco’, o ne avrebbe costruita una, e non si sarebbe dato pace finché non ci fosse riuscito. Era anche disposto a studiare sodo per raggiungere questo intento, si sarebbe portato via volumi interi sulle sostanze esplosive da leggere durante le pause degli allenamenti, piuttosto avrebbe sacrificato qualche ora di sonno ma, maledizione, avrebbe avuto la sua pistola!

Fine del noviziato

“Cuginetta carissima!!!
Finalmente sembra che ci siamo! E sfido chiunque a impedire il nostro incontro, stavolta!
È proprio una fortuna che abbiano organizzato questo Conclave proprio adesso che ho finito il noviziato e posso prendermi un bel periodo di libertà per occuparmi dei miei affari… ed è stata proprio una buona idea, da parte tua, quella di incontrarci là e non in casa di mio padre!
Peraltro, se penso a quelle sale fredde tutto mi viene in mente fuorché chiamarle casa… inoltre, non credo che il caro vecchio Jago sarebbe contento di rivedermi! Sembra il suo ‘amicone’ Manteo Longini l’abbia scartato come apprendista ingegnere perché è effettivamente un imbecille… o forse perché il suo visetto non è proprio un amore da guardare? Ah, cara Dalila, non sai quanto mi diverte quest’idea!
Ma ancora di più (molto di più!) mi emoziona il pensiero che presto potrò riabbracciarti e mostrarti che la tua fiducia in me è stata ben riposta!
Peraltro, sai? Sono molto contento che ci incontreremo al Conclave, perché i miei studi sull’alchimia e sulla polvere nera sono giunti a un punto morto, e spero di incontrare qualcuno di esperto (e non ubriaco come quel Serris di cui ti parlai) che possa insegnarmi qualcosa di nuovo. Inoltre, sai, la fine del noviziato è stata intensa ma un po’ noiosa e ripetitiva… non vedo l’ora di imparare qualcosa di interessante sulle tecniche di combattimento che si usano un po’ in tutto l’Est, e magari anche oltre! Sai, avevi ragione: dopotutto imparare non è male… basta che non ci siano di mezzo i libri!
Ah, cuginetta, non sto in me nella pelle… domani torno a casa, prendo quel poco che mi interessa portarmi dietro e inizia il viaggio!
Non vedo l’ora di rivederti, chissà quanto sarai diventata splendida!” 

Un grosso abbraccio,

tuo affezionatissimo Lougrein”

 

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