La calma della montagna e la furia del deserto

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Gli alberi della foresta sembravano accompagnare i passi del giovane guerriero.
Il sole aveva ormai ceduto alla loro imponenza, e da qualche giro di clessidra stava riposando dietro i monti in lontananza.
Erano gli ultimi giorni dell’inverno. L’aria fresca danzava col caldo respiro dl ragazzo, dando vita a curiosi disegni di vapore.
Ressamm amava la tranquillità delle foreste. Qui i suoi dubbi e le sue domande trovavano spesso pace. Qui si sentiva in sintonia col mondo, come ci si sente tornando a casa. Era una sensazione che difficilmente uno come lui poteva provare, e questa era proprio una di quelle incertezze che da sempre lo turbavano. Qual’era, veramente, la sua casa? Il deserto, o la montagna? Da qualche tempo, però, era riuscito a darsi una risposta, almeno in parte soddisfacente. La sua casa sarebbe stata ovunque avrebbe trovato pace.
L’impassibile volto accennò un sorriso, e il giovane guardò con soddisfazione il suo carniere, che poco dopo avrebbe consegnato alla sorella. Si preannunciava una cena degna di un nobile. Di certo il fagiano che ne sarebbe stato protagonista non condivideva questa felicità, ma in fondo questo era il ciclo della natura. Questa semplice verità, Ressamm l’aveva appresa proprio grazie ai lunghi giorni passati in solitudine sulle maestose cime di Gardan. La roccia gli aveva insegnato la pazienza, la neve aveva temprato il suo spirito, i torrenti avevano rispecchiato il suo vero volto. In tutta la sua vita, sicuramente, non sarebbe mai riuscito a ringraziare a sufficienza il mondo per quello che gli aveva insegnato, e ad ogni passo imparava qualcosa di più.
Mancavano ancora molti passi alla radura dove lui e sua sorella si erano accampati, eppure qualcosa mise il guerriero in allarme. Forse un odore particolare, sebbene molto leggero, che probabilmente un uomo normale avrebbe ignorato. O forse uno strano rumore, come di un urlo soffocato, o anche semplicemente un brivido lungo la schiena, la cui ragione non riusciva a determinare.

Durante tutti gli anni passati nel deserto insieme alla madre, Safiya era abituata ad avere a che fare con malfattori di varia specie. Quel giorno però, complice la stanchezza dovuta alla lunga marcia per i sentieri montuosi, era stata completamente presa alla sprovvista. Per quanto si fosse dimenata, i due banditi che probabilmente la stavano osservando da tempo erano riusciti a legarla stretta a uno degli abeti circostanti. Uno dei due stava controllando le borse e la tenda che lei e Ressamm avevano approntato qualche ora prima, mentre l’altro faceva la guardia, succhiandosi la ferita che un morso della ragazza gli aveva procurato qualche istante prima. Dopo aver controllato accuratamente, l’altro brigante uscì dalla tenda a mani vuote e si fece innanzi minacciosamente alla prigioniera.

“Credi forse che sia uno stupido? Qui non c’è niente! Dove nascondi le monete?”

“Te l’ho già detto, maledetto zuccone, stavo solo andando a pesca, perchè mai dovrei avere del denaro con me?”

“Ti ho già detto di non prendermi in giro, ragazzina! Questi bagagli sono per almeno un mese di viaggio, e soprattutto non sono tutti tuoi! C’è qualcun altro con te!”

In quel momento, Ressamm uscì dalla vegetazione, e alzando le mani si rivolse con voce calma al ladro.

“Cerchiamo di mantenere la calma. Siamo solo noi due. Non vogliamo problemi, prendere quello che volete, l’importante è che nessuno si faccia male.”

Il tagliaborse scoppiò in una fragorosa risata.

“Questa mi mancava proprio! Noi faremo proprio tutto quello che ci pare, capito? E di certo non sarà uno come te a fermarci!”

Il giovane rimase immobile, con le mani alzate. I suoi occhi registravano ogni movimento del bersaglio, e analizzavano ogni gesto. La sua mente, fredda come i ghiacciai delle montagne, teneva sotto controllo la furia delle tempeste del deserto.

A pochi passi di distanza, sua sorella non riuscì invece a trattenersi dal commentare, con una piccola risata.

“Amico… Credo proprio che tu non abbia idea di chi ti stai mettendo contro…”

Il ladro, dal canto suo, iniziò a sentirsi a disagio, e la spavalderia che spesso accompagna chi risolve tutto con la violenza stava cedendo il passo all’irrequietezza. Com’era possibile che questi due malcapitati, molto più giovani e molto meno imponenti di lui e del suo compagno, non sembravano avere minimamente paura, e anzi si permettevano di prenderli in giro? Era il momento di mostrargli chi comandava veramente.

“Silenzio!”, tuonò, mollando un pesante schiaffo alla ragazza.

Un breve istante. Meno di un granello di sabbia che passa attaverso la stretta di una clessidra.
Il tempo necessario perchè il gesto venisse percepito dai sensi del giovane guerriero.
Il tempo necessario perchè la calma venisse incendiata dalla furia, e la vera forza si palesasse in uno squassante urlo, degno di un’implacabile bestia feroce.
Come un turbine, il ragazzo sovrastò il corpulento malvivente, e prima che l’uomo potesse reagire venne scaraventato a terra, il pugnale che fino a poco prima stringeva in pugno volò via colpito da un pesante calcio. La mano sinistra dell’infuriato guerriero gli strinse la gola, mentre la destra sferrava continuamente pugni sempre più forti sul volto dell’ormai inebetito brigante. La stretta era ferrea e immobile, come un ghiacciaio eterno, e i colpi sembravano vere e proprie lingue di fuoco, e allo stesso tempo erano duri come l’acciaio temprato.
Dopo qualche istante di stupore, il compagno di scorribande dell’ormai tumefatto tagliaborse fece per balzare, armi in pugno, in direzione della colluttazione, quando venne investito da una nube rossastra.
Il dolore era insostenibile, la polvere bruciava come il sole del deserto, e solo molti istanti dopo, tra le lacrime, riuscì a intravedere la ragazza, che con noncuranza stava finendo di tagliare via i lacci che poco prima la tenevano prigioniera, grazie a un piccolo pugnale che teneva nascosto nella manica. In una mano teneva una piccola ampolla, piena per metà di polvere rossa.
L’irritazione aumentava ancora di più, e le lacrime salate sembravano schegge di vetro nei suoi occhi.

“Brucia! Bruciaaaaaa! Maledetta puttana, brucia da morire! Stan, scappiamo! Andiamo via!”

Il ciclone di pugni si interruppe, e Ressamm sollevò il suo avversario tenendolo per il bavero. L’ira sembrava totalmente scomparsa, e la quiete aveva ripreso il controllo.

“Faresti bene ad ascoltare il tuo amico. Andate via, e non fatevi più vedere.”

Aiutandosi a vicenda, i due ladri scapparono più veloce che poterono, urlando qualche insulto e minaccia solo quando erano tanto distanti da non capire bene le parole.

Safiya ripose l’ampolla con la polvere irritante in una delle numerose tasce nascoste nelle pieghe del suo mantello, controllò che il sacchetto dove teneva i pochi risparmi fosse sempre al suo posto, e scuotendo la testa apostrofò il fratello con tono canzonatorio.

“Possibile che non perdi occasione per metterti in mostra? Guarda che ce la stavo facendo benissimo da sola, cosa credi? Mica hai niente da dimostrare, erano solo due sciagurati. Piuttosto, hai trovato qualcosa da mangiare?”

“Ci sarebbe questo fagiano…” disse Ressamm con aria sconsolata.

“Ancora carne? Ma non è possibile, quando vai tu a cercare il cibo è sempre la stessa cosa! Guarda che non ho intenzione di rifarmi tutto il guardaroba perchè non mi entra più niente! Vado a cercare un po’ di frutta!”

Ressamm aspettò che la sorella sparisse tra i cespugli, e sorridendo iniziò a spennare il volatile. Il tramonto aveva ormai dipinto di rosso tutto il cielo. La strada innanzi a loro era ancora lunga, tanto da non poterne immaginare la fine.
Tra mille incertezze, una cosa era certa.
Nessuno avrebbe mai fatto del male a sua sorella.

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