La lunga notte

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Riconosceva quel posto. Ne riconosceva il profumo, i colori, i cieli sterminati. Dopotutto, lo aveva rivisto di recente. Stavolta, però, all’orizzonte si intravedeva la forma di un immenso palazzo cristallino, coronato da alte torri scintillanti. Ad attenderla, un ragazzo magro e dinoccolato che le sorrideva con dolcezza.
Rimasero a guardarsi a lungo prima di parlare.

– Perché… perché siamo qui?
– È stata una lunga notte, Eliot.
Sentì il cuore chiudersi in una morsa.
– Alla fine ti sei addormentata.
Come, come, COME aveva potuto cedere al sonno in una notte come quella?
Le frustrazione le gonfiò gli occhi di lacrime, ma lui la prese per mano.
– È stata davvero una lunga notte… non ricordi? Hai ritrovato tutto. Sono orgoglioso di te.

Era vero. Adesso ricordava tutto perfettamente. Ogni velo si era lacerato, ogni difesa era crollata, ogni ricordo era tornato al suo posto, dilagando in ogni angolo, aggiungendosi con violenza al dolore devastante che le impediva di parlare, mentre ogni lacrima si congelava e le esplodeva dentro. Adesso non una, ma due ferite profonde come un abisso le laceravano l’anima, sovrapponendosi l’una all’altra. Dopotutto, si assomigliavano così tanto.

– Ti avevo perso…
– No, non è vero – la corresse lui. – Ti sei difesa e sono contento che tu l’abbia fatto. Alla fine sei arrivata a Caponord ed è stato come se ci fossimo arrivati insieme, no? Mi hai sempre portato dentro di te ovunque andassi, quindi grazie a te ho vissuto la vita che non ho mai potuto avere.
– Non sei arrabbiato…?

– E perché dovrei? Semmai sono io che dovrei scusarmi con te. Dopotutto, morire per me è stato relativamente facile. Ma tu sei stata costretta a vivere e per non farti sopraffare da quel vuoto assordante hai dovuto mettere da parte tante, troppe cose. Non so se sarei stato altrettanto coraggioso.
– Tu sei sempre stato molto più coraggioso di me.
– Ah, – rise lui – coraggioso non è la parola esatta… stupido scavezzacollo, forse. Ma quella che è sopravvissuta sei tu, quella cauta che controllava sempre il terreno prima di metterci i piedi sopra.
Lei gli sorrise e le loro dita si intrecciarono.
– Sai… ti ho rubato anche qualcosa che non posso più restituirti. Perché se fossimo diventati adulti insieme, chissà cosa sarebbe accaduto… Pensa, forse le cose fra noi si sarebbero trasformate in qualcosa di diverso… Avrebbe avuto senso, no? Dopotutto, sei la cosa che ho amato di più nella mia breve vita. E viceversa.
Le loro mani si strinsero forte.
– E invece sono morto e tutto quell’universo di possibilità è morto con me. È andata così, vero?
– Sì, credo sia come dici.

Il ragazzo l’abbracciò con tenerezza. – Siamo davvero stati fortunati, non trovi? Abbiamo potuto passare gli anni più belli e spensierati delle nostre vite insieme, fianco a fianco, senza separarci mai. Quante storie assurde ho inventato per te! Quanto ti impegnavi a commentarle e a smontarle! Quanto ridevamo sopra le tettoie, sotto la coperta, guardando il sole che affondava oltre le montagne infuocate… Non avevamo niente…
-… eppure avevamo tutto – concluse lei in un soffio.
– Proprio così. – Sorrise, stringendola più forte. – A quel tempo eri così luminosa, Eliot. Vederti scolorire è stata una sofferenza… non era di certo la vita che avevo tanto sognato per te. E adesso che finalmente, dopo tutti questi anni, il Fato aveva messo sulla tua strada qualcuno in grado di far rifiorire quello che io ho avuto la gioia e l’onore di tenere tutto per me…

Di colpo si sentì piegare nuovamente da una morsa di dolore indicibile e ricordò ogni singolo attimo di quella lunga notte. Le urla nel buio, la mano che perdeva velocemente il suo calore, l’odore di lacrime, terra e sangue che impregnava i suoi capelli mentre cercava di trascinarlo lontano da quell’inferno, le parole con cui la sua vita fuggiva via, inarrestabile.
Questa volta era lì. Questa volta aveva capito davvero quanto fosse inutile ogni suo sforzo per proteggerlo, per impedire al suo respiro di svanire nella notte. Questa volta era lì e non era riuscita a fare niente lo stesso.
Pianse e gridò a lungo, mentre il ragazzo le carezzava la testa stringendola fra le braccia. Non aveva mai pianto così, anche se fino a quella notte ricordava di averlo fatto. Un’altra memoria falsa, edulcorata, per dimenticare che quel dolore era ancora intatto dentro di lei.
Ogni cosa era tornata al suo posto. Moltiplicata per due. E amplificata all’infinito.
Se nulla fosse cambiato, adesso sapeva cosa fare.

Alzò lo sguardo: l’ingresso del palazzo scintillante e le sue guglie di ghiaccio adesso si trovavano a pochi passi da loro, attorniati da vortici di neve e fiori colorati.

– Devo svegliarmi, adesso.
– Sì, è ora. Ti aspetterò qui.

***

La lunga notte era finita.
Un chiarore diffuso filtrava tra i vetri dell’erbolario dell’Eremo di Rhall, innalzandosi oltre gli alberi del viale e della foresta. L’alba era ormai giunta, senza portare alcun cambiamento.

Sollevò la testa, cogliendo il fruscio della veste della Zarina che usciva lentamente dalla stanza. Al piano di sopra i suoi compagni iniziavano a svegliarsi, scendendo dai propri letti. Presto si sarebbero riuniti nel chiostro e una nuova giornata sarebbe cominciata. Una giornata in cui lui sarebbe stato irrimediabilmente morto.
Si alzò per chiudere le porte a chiave con delicatezza, senza produrre rumore; poi si inginocchiò nello stesso punto dove aveva vegliato per tutta la notte, immobile e incapace di articolare una sola parola, a differenza di Raul, Valérie, Diego e non sapeva più chi altro. Del resto, era stata poco consapevole di ciò che le accadeva intorno, tanto da aver notato a malapena che padre e figlio riposavano entrambi in quella stanza.

Lo osservò per qualche istante: sembrava davvero che dormisse. Nonostante il modo in cui la vita era sfuggita dalle sue labbra, il suo corpo pareva intatto. Shiva doveva davvero amarlo molto.
Con cura si tirò su le maniche e si sfilò entrambi i bracciali, custodi di alcune fra le sue cose più preziose, deponendoseli amorevolmente in grembo. Poi allungò le mani verso la finestra e appoggiò le punte delle dita sul vetro, che tintinnò leggermente.
Finalmente aveva trovato le parole che cercava.

– C’è una cosa che non ti ho mai detto.

Con forza tirò indietro i polsi, facendoli impattare con violenza contro la lama di Rot’Ar, ancora saldamente stretta fra le mani di Aleksej. Due solchi gemelli scavarono la carne affondando fino all’osso, mentre fiori rossi sbocciavano sulle finestre dell’erbolario. Non aveva provato alcun dolore.

Rimase a guardarlo per qualche attimo con gli occhi socchiusi e le labbra increspate da un vago sorriso sereno, appoggiando la testa nell’incavo del suo braccio e aggrappandosi con delicatezza alla sua manica.
Poi le mani iniziarono a scivolare dolcemente verso il lago rosso che impregnava il pavimento.
Il corpo si fece insopportabilmente pesante.
Le palpebre si chiusero.

– Ma ho pensato di venire a dirtela di persona.

(Metà what-if metà wtf 😀 )

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