La notizia

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Stava rimandando tutto il resto a un momento in cui se la fosse sentita. Non solo lui, ma tutti quelli che sarebbero dovuti essere coinvolti nella cosa. Stava prendendo tempo, ma non poteva far attendere oltre questa incombenza. Era ingiusto. Era scorretto.

Il cavallo che aveva preso alla stazione di posta lo aveva condotto docilmente fino a Puente Viejo come se conoscesse la strada. Un buon animale, pensò Hari, uno che ti conduce alla tua destinazione nonostante tu non ci voglia andare. Il volk si allentò il mantello di pelliccia all’altezza del collo; si era alzato un vento tiepido, che portava con sé un tenue profumo di primavera. Hari storse il naso, infastidito.

Doveva essere arrivato, secondo le indicazioni che aveva ricevuto. Una casa in pietra chiara con una grossa scalinata, piante di edera e cappero sui massicci muri, vasi di terracotta sul pianerottolo. Hari legò il cavallo a un anello metallico; fece una carezza sul muso all’animale, che sembrò apprezzare con un debole nitrito. “Sei ancora in tempo, Hari”, pensò. “Basta una lettera. Niente ti obbliga a farlo di persona.”

La voce in testa aveva ragione. Non aveva motivo per cui punirsi a questo modo. Non aveva niente di cui farsi perdonare. Però lo doveva a lui. Almeno quello.

Il khartasiano salì le scale come se stesse salendo sul patibolo. Ironia delle ironie. Respirò per ricercare il controllo. Calma, calma, calma. Il panico non serve a niente e a nessuno. Devi solo…

La porta sul pianerottolo si aprì di scatto, e Hari per poco non cadde all’indietro per la sorpresa. Una donna bionda, giovane e di bell’aspetto, con in mano un secchio vuoto, lo guardava interrogativa.

-Entschuldigen Sie, wer sind Sie?

Hari balbettò, preso alla sprovvista da quello strano linguaggio. Non era erigasiano, di quello era sicuro. La sapeva anche questa storia, lui gliel’aveva raccontata, ma non è che all’epoca gli avesse dato troppo peso. L’avrebbe dovuto ascoltare, ma evidentemente quella non era una qualità dei Von Khratos. La donna sembrò capire la difficoltà e si affrettò a correggersi.

-Voi è? – chiese nuovamente, con un accento duro e gutturale.

Il khartasiano fece un inchino.

-Volk Hari Von Khratos, molto piacere. Cercavo…

-Von Khratos? – disse una voce maschile dall’interno. Aveva il tono leggermente allarmato.

Un uomo si gettò fuori di scatto, accanto alla donna. Aveva gli occhi sbarrati e l’espressione esterrefatta. Hari ci pensò. Probabilmente in pochi, qui, sapevano che lui fosse un Von Khratos; e colui che lo sapeva aveva immediatamente capito che, se qualcuno del suo sangue fosse venuto fino alla sua dimora, era perché qualcosa di storto era accaduto.

-Cosa è successo a Iker? – chiese il ragazzo, con la voce rotta.

*             *             *

Era stato pietoso, proprio come se lo era immaginato. Eppure non esiste un modo appropriato per dire a qualcuno che il suo patrigno, la cosa più vicina a un genitore che avesse mai avuto, era morto. Con il volto perso fra le mani, Ivan singhiozzava incontrollabilmente. Greta, la ragazza, lo cingeva per le spalle cercando di confortarlo, anche lei però con gli occhi lucidi e le labbra tremanti. Hari se ne stava seduto dall’altra parte del tavolo, un bicchiere di vino caldo stretto tra le mani, lo sguardo fermo e l’espressione vacua. Non avrebbe concesso nemmeno uno spazio all’emozione a quel momento, altrimenti sapeva bene che si sarebbe rotto. Erano giorni che combatteva questa cosa, la cacciava nel retro della mente, le impediva di affiorare. Se avesse processato gli eventi che avevano portato alla condanna di Iker da parte dell’Imperatore Ronan, forse sarebbe esploso. Di dolore? Era dolore, quello che provava a ricacciare dentro?

Ivan tirò su con il naso e si asciugò rapidamente il volto con un pezzo di stoffa. Il petto era scosso dai singulti e le parole uscivano spezzate.

-Quindi… si è sac… sacrificato… per sua nipote e le sue amiche… giusto?

“Non lo fare, ragazzo. Ti ho detto i fatti. Non cercare interpretazioni, attieniti a quanto ti ho riferito”, pensò Hari. “Lo sappiamo tutti e due come ti dovrò rispondere, e non ti piacerà”. Il giovane hidalgo continuava a fissarlo, speranzoso. Il khartasiano non gli poteva dare ciò in cui sperava; inspirò a fondo, cercando di rendere la sua  voce quanto più ferma possibile.

-È stato condannato a morte per volontà di sua eccellenza l’imperatore Ronan l’Implacabile. Per rispetto verso la confessione di Iker, sua eccellenza ha magnanimamente concesso il perdono alle quattro donne marchiate.

“Non scavare oltre, ragazzo. Non me lo far dire”.

-È stato… – singhiozzò Ivan, alzando la testa – è stato un… un eroe… Giusto?

Quello che Hari non voleva sentire. Quello a cui non voleva rispondere. Quello che gli si stava agitando dentro. Quello che provava in quel momento non era dolore, lo riconobbe. Era rabbia.

-No – rispose il volk. Per poco Hari non riconobbe la propria voce.

Il ragazzo e la ragazza innanzi a lui lo guardavano trattenendo il fiato, stupiti ed esterrefatti.

-Ma… ma… – balbettò Ivan – lo ha fatto per le vostre amiche… per vostra sorella…

Batté un pugno sul tavolo, mentre le lacrime continuavano a sgorgare.

-Lo ha fatto per VOI!

Hari deglutì con forza. La sua espressione era vuota, vacua. Un silenzio assordante gli occupava la mente. Il tono della sua voce era piatto e distante.

-Don Iker ha commesso un crimine contro l’Impero. Nessuno può considerare eroe un individuo che si macchia di una colpa del genere nei confronti della Tetrarchia. Non azzardatevi di nuovo ad accostare la figura dell’eroe a quella di un condannato per sovversione, o saranno guai.

“Capisci, ragazzo. Ti prego”.

Ivan strinse i pugni finché le nocche non divennero bianche. Digrignava i denti e guardava il suo interlocutore con odio ribollente. Greta lo stringeva, come per trattenerlo, ma avrebbe avuto più fortuna a cercare di contenere un fiume in piena con una manciata di sabbia.

-Qui non c’è l’Impero – le parole di Ivan fecero gelare il sangue del khartasiano nelle vene, come scavando in un trauma. – Siamo io, Greta e voi, volk Hari. Nessuno ci sentirà.

Silenzio, il silenzio prima del colpo di cannone.

-Secondo voi, volk Hari, Don Iker è morto da eroe?

La domanda era giunta alla fine. Doveva farci i conti. Aveva disposto il corpo in attesa del funerale, aveva inventariato i beni del defunto, aveva iniziato a contattare gli amici prossimi, ma non aveva voluto pensare a quello che sentiva. Doveva rispondere qualcosa, qualsiasi cosa. Tanto valeva essere sincero.

-Iker è morto come è vissuto.

Sospirò. Le spalle di Hari si allentarono e un brivido caldo gli corse lungo la schiena.

-Da una parte, ancora una volta è stato vittima delle circostanze che la vita gli ha messo davanti. Dall’altra, ha fatto quello che si sentiva fino in fondo, senza ascoltare quello che le persone intorno a lui gli dicevano. Non so se questo lo renda un eroe.

Hari sentiva qualcosa montargli dentro, mentre parlava. Percepì il volume della sua voce alzarsi e il tempo sembrò rallentare, e perfino le luci sembravano più brillanti.

-L’unica cosa certa è che oggi Iker è morto e noi no – continuò – Potrei dire che è uno stronzo, per non avermi ascoltato. Potrei dire che è un imbecille, perché per salvare quelle quattro donne ha fatto l’unica cosa che nessuna di loro voleva. Potrei dire, anzi lo dico, che proverò rabbia nei suoi confronti fino alla fine dei miei giorni, per aver voluto fare tutto da solo senza nemmeno consultarsi con nessuno. Ha fatto una scelta e ora è morto.

Il khartasiano si sentiva il volto in fiamme e lo stomaco sottosopra, come se qualcosa che aveva trattenuto sino a quel momento si fosse liberato. C’era dolore, sì, ma c’era anche rabbia e senso di colpa. C’era odio e amore. C’era affetto e disprezzo.

-Noi staremo qui, fino a quando Shiva non ci richiamerà nelle sue sale, e avremo giorni, lune, anni per pensare a quello che Iker ha fatto. Iker mi ha ridato le mie amiche, mi ha ridato mia sorella, e allo stesso tempo la sua ombra le seguirà per sempre. Lo vedrò in loro ogni volta che le guardo. Quindi, per rispondere alla tua domanda, Iker è morto da eroe? Non lo so, ma non sono solo gli eroi a essere immortali, ed egli vivrà finché noi vivremo.

Ivan tacque, gli occhi fissi sul tavolo. Nella stanza adesso c’era solo il respiro affannato di Hari, quello di una bestia furiosa che aveva appena terminato di ululare al cielo. Il volk frugò nella scarsella ed estrasse una piccola sacchetta di pelle che appoggiò sul tavolo con rumore metallico.

-Questo era suo, per voi. Io devo andare. Grazie di tutto.

Alzandosi Hari si gettò il mantello sopra le spalle, e si diresse verso la porta. Con la coda dell’occhio vide Greta gettarsi verso una delle camere e sentì il rumore di un cassetto che veniva aperto e chiuso di scatto. Era sulla soglia quando la ragazza tornò di corsa.

-Lui scritto questo – disse Greta porgendo una pergamena chiusa con della ceralacca. – Lui detto “Se io no torna tu dà a nipote o Ivan”.

Lentamente Hari prese il rotolo. Lo soppesò. Immaginava cosa ci fosse all’interno.

-Grazie, Greta.

Era l’ora di ripartire.

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