L’estate della farfalla

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Hilda non amava il nero. Questo è un problema se sei una Schwartzrose e vivi a Thersa. La faceva apparire eccessivamente pallida e questo non le piaceva. Per questa ragione da piccola fuggiva in giardino e coglieva dei fiori per adornare il proprio vestito e i capelli scuri.

Il risultato era sempre una severa punizione dalla sua istitutrice, ma a lei non importava molto.

Hilda Cordelia Schwartzrose era la secondogenita di Marcus e Cordelia ed era stata sempre la loro figlia più problematica. Hilda non era particolarmente indisciplinata, certamente non mancava di carattere o di convinzione nei principi di Thersa, però… però….

“Cosa faremo di lei?” chiese una sera Cordelia al marito. “Potremmo trovarle un bravo sposo, come a Iuliana, oppure pensi di farla studiare? Il destino di questa nostra figlia mi lascia perplessa a volte…”

Cordelia era stata diretta, come amava fare.

Marcus posò le carte che stava leggendo e si fece pensieroso.

“Non so dirti, mia signora. E’ una ragazza insolita. Definirla frivola sarebbe un’offesa, ma sembra uno spirito libero. Mi chiedo come questo verrà accolto dai nostri pari.”

“Forse passare un po’ di tempo con sua cugina potrebbe giovarle. In fondo viviamo così lontani da esempi positivi, che ne pensi di farle trascorrere l’estate con lei?”

Marcus acconsentì e dopo un mese Hilda salutò le sorelle e viaggiò fino a Neu Hugelturm per trascorrervi quattro settimane di villeggiatura.

Hilda aveva undici anni e Urania toccava i sedici.

Hilda ricordava bene la cugina, si erano viste spesso, ma quel giorno le parve diversa. Era già quasi donna mentre lei era ancora una bambina, per questo si preoccupò di non sembrare troppo infantile. Il timore si rivelò infondato perché Urania l’accolse come sempre e subito la coinvolse nelle sue attività: cavalcare, esercitarsi nella corsa e occasionali lezioni di scherma.

Inizialmente Hilda la seguì, ma si rese ben presto conto che, escluse le escursioni a cavallo, le altre attività le risultavano eccessivamente faticose. Per questa ragione presero l’abitudine di fare lunghe passeggiate e mentre Urania si scatenava in attività militari, che per altro i suoi genitori non vedevano propriamente di buon occhio, Hilda si sedeva su una bella coperta e la osservava incoraggiandola e parlando di tante deliziose sciocchezze che solo le ragazze possono dire.

Quei giorni rimasero sempre un ricordo prezioso per Hilda. Era come se un raggio di sole primaverile le baciasse e le lasciasse essere amiche in una realtà che ben poco ha di felice. Hilda era già consapevole della situazione in cui versava Thersa, dei molti attacchi che subiva, del terribile suono della campana. Quando era molto piccola e ne sentiva il suono si impauriva talmente tanto che avevano temuto che fosse una bambina paurosa. Non era però a spaventarla gli hobgoblin o le altre creature spaventose che dovevano combattere, ma l’idea di non veder più tornare suo padre, o lo stalliere, o i suoi amici.

 

Un pomeriggio le due ragazze furono sorprese da un violento temporale e Urania si propose di andare a cercare i cavalli mentre Hilda rimaneva al riparo di una grossa quercia.

Hilda rimase ferma nell’ombra dell’albero e attese. Quando sentì lo scalpiccio dei cavalli sì affacciò, ma invece della cugina vide arrivare due cavalieri completamente bagnati. Uno era riverso sul cavallo, l’altro sembrava sul punto di scivolare a terra.

Dopo un po’ di titubanza, Hilda decise di avvicinarsi. Sapeva di dover essere coraggiosa e i due cavalieri non sembravano pericolosi. Mentre si avvicinava uno dei due cadde a terra.

La ragazzina si avvicinò istintivamente e scoprì che era un ragazzo di qualche anno più grande di lei. Era pallido e aveva molte ferite. Lo aiutò a sdraiarsi e poi corse dall’altro per offrirgli il suo aiuto.

Ricordò sempre quel momento perché il secondo cavaliere non era addormetato, ma morto. Non aveva mai avuto occasione di essere così vicina a questa esperienza. Non ricordò bene come avvenente, ma qualche minuto dopo i due ragazzi erano sdraiati l’uno accanto all’altro. Rimase a lungo a guardarli, o forse furono pochi minuti. L’unica differenza era che uno respirava di tanto in tanto.

Hilda si prese cura del ragazzo ferito. Fece del suo meglio per fermare il sangue che usciva dalle ferite e sorvegliò diligente quel respiro leggero.

Allo stesso tempo parlava al cavaliere morto. Non sapeva esattamente cosa fare, ma le sembrava giusto tenere compagnia anche a lui. Gli pulì il viso e cercò di aggiustare i vestiti sporchi e in disordine.

Forse non accade e fu un sogno ad occhi aperti, ma Hilda si convinse che in qualche modo anche il cavaliere morto le rispondesse. Non con le parole, ovviamente. Era una bambina, ma sapeva che i morti non parlano. Ed è bene che non lo facciano. Era come se attorno a lui la luce fosse un po’ diversa e poco prima che Urania la trovasse, Hilda vide una grande farfalla violetta che si posava sulla fronte del cadavere.

Le parve molto bello, come se volesse dire che era arrivato dove doveva, senza rimanere turbato dalla brutta fine che aveva fatto.

La settimana successiva Hilda tornò a casa e chiese ai genitori di poter approfondire, al momento opportuno, gli studi di teologia. Tornò con questa certezza, il desiderio di considerare la farfalla il suo personale sigillo e una moneta che aveva trovato vicino all’albero, una di cui non conosceva l’origine, ma che aveva deciso di tenere con sé in ricordo di quella giornata.

Fu così che Hilda Cordelia Schwarzrose si dedicò al culto di Kainus Yano. E decise di indossare vestiti neri alla moda. In fondo, era una Lady di Thersa!

 

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