Lettera dal carcere

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Alla ciurma, alla corte, agli intrepidi.

Amici, il tempo qua dentro non vuole scorrere, inoltre mi trattano in modo orribile. Non pensavo che io, temprata dai Lamanera, dalle battaglie e dai mostri che i nostri Ducati ci servono, potessi accusare così tanto una vita da reclusa.
Scrivo di nascosto, tra una tortura e l’altra, per farvi sapere che sono viva e che mi mancate.
I secondini ci torturano ogni giorno con le follie più disparate, pensate che ieri ho fatto tre ore di ‘decorazioni in brossura per gli inviti di nozze’, mentre dopo dovrò subire ‘boccoli col ferro’.

Vi dico la verità, non so se potrò mai più essere la stessa. L’altra notte, nemmeno so quanti giorni siano passati, mi sono svegliata nel mio orribilmente morbido lettino rosa confetto, con un pensiero che mi martellava in testa. Così, dal nulla, avevo capito. Avevo capito una cosa che pensavo non avrei mai compreso e che avrebbe sconvolto la mia coscienza:

Ho capito come cazzo si fa un orlo invisibile.

Non ce la faccio più, sto impazzendo.

I miei ambigui compagni di cella leggono libri erotici e saltano le parti zozze per piagnucolare su quelle romantiche e insistono per mettermi in faccia orrendi intrugli di frutta che definiscono ‘idratanti’, nemmeno so cosa voglia dire!

C’é un ratto grasso, spelacchiato, forse malato e non proprio brillante; l’ho chiamato Ivan, ho deciso che lo porterò via con me, un giorno, forse, se riuscirò ad uscire da questa follia.

Stanno arrivando, stanno arrivando implacabili per l’ora di ricamo, vi voglio bene.
Ne approfitterò per escogitare un piano di fuga fino all’altro cortile per finire di scontare la pena con gli ergastolani, ma tutto lo zucchero che ci fanno ingurgitare, tra torte e pasticcini lilla, non mi fa essere lucida….
Vi prego, ricordate costantemente a Don Miguel quanto io sia fica.

Ps. Vi allego un cadeaux, vi penso sempre

Pps: adotterò anche il topo che pesta sempre il topo Ivan, é un topo grosso, gli manca del pelo in testa… Si chiama Leon.

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