Missione di recupero – parte seconda

Share Button

Un lieve filo di luce filtrava da una crepa in alto sulle pareti del vecchio torrione. Cristilde lo fissava da un po’, supina sulla stoia. Una ciocca di capelli di Ottavia le solleticava il viso, ma lei rimaneva immobile per non svegliarla. Sentiva sul collo il respiro caldo e regolare della guerriera, ancora immersa nel sonno.

Non che avessero dormito molto, quella notte.

Al ricordo, Cristilde alternava sprazzi di gioia a pura incredulità. Non era mai stata così felice da prima che…

Non era sicura di meritarselo.

Una lacrima le aveva lasciato una scia di sale lungo la guancia fino all’angolo della bocca. Aveva pianto, quando Ottavia già dormiva, lacrime silenziose per non disturbarla. Si portò il dorso della mano ad asciugarsi gli occhi e, con cautela, si decise a muoversi.

Per quanto una parte di lei lo desiderasse, sapeva che non potevano restare lì per sempre.

Il movimento svegliò anche Ottavia. La sentì mugolare nel leggero dormiveglia e rimase a osservarla mentre riemergeva dal sonno, i lineamenti ancora addolciti che la facevano sembrare più giovane, più vulnerabile.

La guerriera sbattè le palpebre. – Buongiorno – biascicò stiracchiandosi – Per gli Astri, niente rimette al mondo come una bella nottata di sesso…

Non aveva motivo di sentirsi imbarazzata, almeno non dopo l’intimità che avevano condiviso, eppure lo era comunque. Distogliendo lo sguardo, Cristilde afferrò la camicia e prese a rivestirsi in fretta. Non si sentivano più gli stridii degli scorpioni all’esterno, né lo snervante ticchettio della loro chele.  – Dovremmo andare a controllare se quelle bestiacce se ne sono andate.

Ottavia borbottò un assenso e si rivestì a sua volta, anche se senza mostrare alcun imbarazzo. Cristilde non era sicura che l’imbarazzo fosse un’emozione che Ottavia contemplava.

– Sai, non sei affatto la cerusica frigida che dicevano… – commentò.

Chi lo diceva? Alfred? Qualche altro commilitone di cui aveva rifiutato le profferte? Cristilde scrollò le spalle. – E tu non sei la pazza che mozza-teste che descrivono.

– Di teste però ne mozzo parecchie… e poi, bisogna pur darsi un po’ di tono, no?

– Su, datti una mossa e andiamo!

Una volta pronte, si arrampicarono fin dove poterono sulla scalinata in rovina. In alto c’era una crepa sulla parete abbastanza grande da poter sbirciare all’esterno.

– Sembra tutto tranquillo – affermò Ottavia.

Cristilde tirò un sospiro di sollievo. Molte di quelle creature del Sottomondo non sopportavano la luce del sole. Il che non significava che, chiunque le avesse scatenate contro di loro, potesse essere nei paraggi.

– Meglio levarci di qui alla svelta.

Tirando e sbuffando entrambe, aprirono uno spiraglio del portone e si fermarono, le armi in pugno, le orecchie tese a percepire qualsiasi altro segnale di pericolo. Solo il silenzio rotto dal sibilo del vento tra i ruderi penetrò all’interno. Infine, si decisero a uscire.

Aveva visto giusto, gli scorpioni se n’erano andati, ritirandosi nelle loro tane sotterranee. Sparsi tutt’intorno, i resti dei loro compagni. Almeno le parti che non erano piaciute. Non era un bello spettacolo.

– Dovremmo seppellirli – mormorò.

Ottavia scosse la testa. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, ma la mascella era contratta, a dimostrazione di quanto fosse turbata anche se cercava di non darlo a vedere. – Non ne abbiamo il tempo. Torneremo, con un drappello più numeroso, per riprendere il carro e occuparci dei cadaveri. Fino a quel momento… beh, sono tra le mani di Alhazhar.

Cristilde riteneva più probabile che finissero nella pancia di qualche corvo, più che tra le braccia di un Dio, ma tenne per sé quell’osservazione. Ottavia aveva ragione. I loro cavalli erano stati i primi a finire in pasto agli scorpioni, e a piedi le aspettava una lunga marcia se volevano raggiungere l’Ovestvallo prima che calasse di nuovo la notte.

Si diressero verso il sole nascente e presero un’andatura spedita, alternando tratti di piccola corsa ad altri di passo veloce, per riprendere fiato. Il sentiero si snodava tra boschetti di querce e zone di prato erboso e, pur stretto, era facilmente percorribile. Incontrarono qualche traccia di piedi troppo enormi per appartenere a un essere umano e punti in cui il terreno era smosso, come se vi fosse passato un enorme serpente, ma la mattinata trascorse tranquilla. Gli scorpioni, o chiunque li avesse mandati, dovevano esser sicuri che il loro drappello fosse stato annientato.

Fecero una piccola pausa per consumare il pasto – carne essiccata e gallette di riso prive di sapore: quanto erano riuscite a portare con sé in fretta e furia -, sulle rive di un piccolo torrente, quindi ripresero il viaggio verso oriente. Durante la mattina avevano scambiato solo qualche parola, perché dovevano risparmiare il fiato per camminare. A Cristilde andava bene così: Ottavia sembrava di nuovo distante anni luce da lei, la schiena dritta e l’espressione dura e impenetrabile che la contraddistingueva. Fu quindi sorpresa quando l’altra le rivolse la parola.

– Non mi aspettavo che una studiosa fosse così resistente nella marcia – commentò, senza voltarsi mentre camminava.

Cristilde non riuscì a capire se fosse o meno un complimento. – Ho studiato gli anni dell’Accademia Militare. In seguito, ho sempre militato attivamente come cerusico e… – scosse la testa – Da parecchio non più molto tempo per studiare.

– Infatti stanotte ho avuto la dimostrazione che hai un fisico temprato – un attimo di pausa, e Cristilde intuì il sorrisetto ironico che le affiorava alle labbra – Un bel fisico… ma perché piangevi?

La cerusica la sbirciò di sottecchi. Dunque Ottavia se n’era accorta. Si accorgeva di molte più cose di quelle che voleva dar a vedere.

– A un certo punto stavi piangendo – insistette l’altra – Vabbè, magari non ero in formissima, ma prima d’ora le mie prestazioni non sono mai state così deludenti da far piangere…

– Non era per quello, anzi… – ribattè Cristilde, imporporandosi. Di nuovo. Per fortuna Ottavia le voltava le spalle.

– E allora cos’era?

– Ecco… – la cerusica lottò per trovare le parole. Era come cercare di srotolare un gomitolo aggrovigliato da troppo tempo, e Ottavia aveva l’incredibile capacità di tirar fuori la sua parte più vulnerabile avvolta dentro strati e strati di cinismo. – Ero felice. Troppo felice – ignorò l’altra che alzava gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più assurda del mondo piangere per la felicità – Io… per questo non l’avevo fatto, prima di incontrarti… non… non so neppure se merito di vivere quando tanti altri sono morti…

Ottavia la interruppe con uno sbuffo scocciato. – Sciocchezze! Quanti che vivono meritano di morire, e quanti che sono morti meritavano di vivere? Non dipende mica da noi, purtroppo, ed è inutile fottersi la testa con queste cazzate. A volte bisogna soltanto prendersi ciò che abbiamo, e ciò di cui abbiamo bisogno, per andare avanti un altro po’.

Andare avanti un altro po’. Cristilde ponderò l’idea. – È quello che stai facendo tu?

Per tutta risposta, Ottavia portò la fiaschetta alle labbra, stappandola con i denti e rovesciandosi in gola le ultime gocce. – Fanculo, siamo a secco, e non abbiamo neanche controllato se c’era davvero della birra in quel posto di merda! Giuro, stasera quando arriviamo al vallo me ne scolo un barile intero, parola mia!

Un sorriso affiorò sulle labbra di Cristilde. Cominciava a capire Ottavia, forse meglio di quanto lei accettasse di capire se stessa. E le piaceva quello che stava scoprendo.

Sorriso che le morì sulle labbra quando sentì un nitrito provenire dal sentiero davanti a loro.

Afferrò il polso di Ottavia.

– Che c’è? – sussurrò la guerriera, subito all’erta. Anche il suo istinto doveva averle segnalato il pericolo.

Cristilde fece un cenno della mano nella direzione in cui stavano andando. Ottavia annuì. Non ci fu bisogno di altre parole.

Tagliarono per il bosco, immergendosi tra i cespugli a lato del sentiero. Da lì ripresero ad avanzare, caute, cercando di produrre meno rumore possibile.

Il sentiero curvava leggermente e scendeva lungo il pendio di una collinetta, mentre il bosco lasciava il posto a una spoglia brughiera. Là, presso un bivio, era stanziato quello che in pratica era un piccolo esercito.

– Orchi – sibilò Ottavia.

Cristilde si aggiustò gli occhiali sul naso e sbirciò meglio oltre i cespugli: c’erano orchi, mezz’orchi e un discreto numero di barbari umani, provenienti dalle montagne. I loro volti feroci erano dipinti da pitture di guerra. A giudicare dalla posizione dei carri, provenivano da nord ed erano convogliati là per prendere tutti un’unica direzione: il sentiero che conduceva al vallo.

Il sentiero che anche loro dovevano percorrere.

Imprecò a bassa voce e scambiò un’occhiata con Ottavia.

– Se passiamo di là, ci vedranno.

– Ci sono altre strade?

– Un sentiero che costeggia il fiume e le montagne meridionali, ma in pratica dovremmo allungare la via di oltre un giorno di cammino.

Il che significava passare un’altra notte nelle Lande Selvagge da sole, senza alcun riparo, e con la scorta di medicinali e bende ormai agli sgoccioli. Era l’equivalente di una morte quasi certa.

Ottavia tornò a fissare torva i nemici. Se la prendevano comoda, stavano sostando per far riposare i cavalli e prepararsi ad attaccare il vallo, sicuramente con il favore delle tenebre. – Dobbiamo forzare il blocco – sentenziò.

Detta così, sembrava facile.

– Sono cento volte noi, e siamo appiedate, ricordi? – obiettò Cristilde – Dobbiamo pensare a un piano…

– Certo che ho un piano: caricare là sotto mulinando il mazzafrusto, e ammazzare tutti quei fottipecore del cazzo fin quando non avremo libera la strada!

Cristilde sospirò. Era davvero un miracolo che Ottavia non si fosse ancora fatta ammazzare. Però, che scelta avevano?

– Potremmo aspettare che se ne vadano e raggiungere il vallo durante il loro attacco, oppure domattina…

– Senti, io non ci arrivo a domani senza alcool, chiaro? Vado in crisi di astinenza, e ti assicuro che nessuno vorrebbe starmi intorno in quei momenti!

Né Cristilde aveva particolare voglia di stare a guardare, mentre quel nutrito gruppo di nemici attaccava di nascosto la guarnigione. – Va bene. Allora ci vorrebbe un diversivo per tenerli occupati mentre arriviamo là, gli rubiamo dei cavalli e ce la filiamo alla svelta.

– Diamo alla fiamme il bosco, che dici?

– Il bosco dove siamo anche noi???

Ottavia si grattò il mento. – Ora che mi fai pensare a questo particolare, non sembra più un’idea così geniale…

– Ma non è del tutto sbagliata – commentò Cristilde, guadagnandosi un’occhiata perplessa, quasi Ottavia temesse che la stesse prendendo in giro – Potremmo accendere un paio di falò, e con essi mandare dei segnali ai ragazzi della guarnigione di vedetta al vallo. Così saranno pronti a ricevere quei bastardi e non verranno colti di sorpresa. Sì, direi che avvisarli del pericolo che corrono al momento è la nostra priorità.

La guerriera emise un flebile fischio tra i denti. – Sei troppo altruista per fare il soldato.

– Non è altruismo, è razionalità. Senza l’effetto sorpresa, l’assalto provocherà meno feriti tra i nostri, e in fin dei conti meno lavoro per me.

– Raccontati ciò che ti pare – Ottavia scrollò le spalle – La verità è che hai ancora una coscienza.

Si sbaglia!, pensò Cristilde, ma non ribatté e proseguì illustrando il piano. – Accenderemo i due falò contemporaneamente in punti diversi. Il fumo dovrebbe attrarre l’attenzione degli orchi e dei barbari. Capiranno che stiamo mandando un segnale, ma non sanno quale né quanti siamo, quindi manderanno dei drappelli a controllare. Spero parecchi drappelli. E così assottiglieranno le loro fila, e si concentreranno su quella zona del bosco.

– E poi?

– Noi ci ritroveremo dalla parte opposta e caricheremo i nemici rimasti, ammazzando quei fottipecore fin quando non avremo libera la strada.

Ottavia sogghignò. – Mi piace, cazzo, così si ragiona! Facciamolo!

A quel punto, non avevano altro da fare che mettere in pratica il loro piano. C’erano così tante variabili e tante possibilità che non funzionasse – i nemici potevano disinteressarsi ai fuochi, mandare solo pochi esploratori a controllare – che Cristilde decise di smettere di contarle. Per quanto ci provasse, non poteva controllare tutto ciò che la circondava.

Ho problemi anche a controllare i miei sentimenti…

Perché nonostante l’adrenalina della tensione che le pompava nel sangue, mentre trasportava rami e sterpaglie secche insieme a Ottavia per allestire i falò, non riusciva a smettere di fissarla di sottecchi, di osservare i muscoli di lei che guizzavano sotto il peso delle fascine, il profilo del suo volto concentrato, le sue forme di cui adesso, dopo averla vista nuda sotto l’armatura, era più dannatamente consapevole.

Se anche fosse per una notte soltanto, e non mi illudo del contrario, ne è valsa la pena…

Il pomeriggio avanzava, e i falò erano pronti. Si separarono, perché ognuna ne avrebbe acceso uno diverso, per fingere di essere in gran numero e attirare più nemici.

– Vai all’altro falò – disse a Ottavia – Quando arrivi, conta fino a cento e dai fuoco alla fascina, poi torna dove abbiamo concordato.

Lei sogghignò, con quella sua smorfia sbarazzina. – Mi dai molto credito, se pensi che sappia contare fino a cento. Molto più credito dei miei precedenti comandanti…

– Perché ti diverti a fingere di essere soltanto una stupida ubriacona.

– E se fossi soltanto una stupida ubriacona?

– Allora sarà l’ultimo dei nostri problemi, perché saremo morte.

Sempre ridacchiando – ma come cazzo faceva a essere così tranquilla anche nelle situazioni più disperate? – Ottavia si allontanò per prendere la sua posizione. Cristilde cominciò a contare a fior di labbra: aveva misurato con i passi la distanza tra i due falò e, se i suoi calcoli erano giusti, sarebbero riuscite ad accenderli insieme.

Ottavia sapeva contare benissimo – o era stata dannatamente fortunata!-, perché il fumo cominciò a sollevarsi dalle due cataste quasi nello stesso momento. Cristilde attese qualche istante per controllare che la legna secca avesse definitivamente preso, quindi cominciò a correre verso il punto di ritrovo che avevano concordato.

Quando arrivò, Ottavia la stava già aspettando, nonostante il suo falò fosse più lontano. Significava che correva parecchio più veloce di lei, e che quindi per tutta la mattinata si era trattenuta per non lasciarla indietro.

La accolse con un gran sorriso e il pollice alzato, e Cristilde non potè fare a meno di sorriderle di rimando.

– Sta funzionando!

Le file nemiche brulicavano di grida e parecchi barbari gesticolavano concitati, indicando il fumo. Due numerosi drappelli si staccarono dal corpo principale, diretti ognuno verso un falò. Al campo ormai erano rimasti una cinquantina di elementi, la cui attenzione era calamitata verso i compagni e verso i boschi in cui, per quello che ne sapevano, poteva essere appostato un esercito.

Era la loro occasione.

– Sei pronta? – domandò Cristilde.

Ottavia annuì. – Stammi dietro. Io penso ad aprire la via.

Cominciarono a correre, sfruttando quanto più possibile la protezione del bosco e poi degli arbusti e dell’erba alta della brughiera. I nemici se le trovarono addosso prima quasi di rendersene conto. I più vicini, colti di sorpresa, furono falcidiati da un vigoroso tondo di Ottavia, che poi si gettò nella mischia mulinando fendenti e sgualembri con la forza di dieci uomini. Tale fu la violenza del suo assalto che orchi e barbari dovettero temere davvero di essere stati attaccati da un intero plotone, oppure da un demone emerso dalle più tremende viscere della terra.

Quegli attimi di sconcerto e caos furono sufficienti. Ottavia e Cristilde, roteando le armi, si insinuarono tra le fila scompaginate dei nemici e raggiunsero il recinto improvvisato dove erano legati i cavalli. Le bestie nitrivano e scartavano, innervosite dall’odore del fumo e dalle grida dei loro padroni. Cristilde spalancò la porta del recinto, mentre Ottavia ricacciava indietro un paio di orchi alle loro calcagna.

L’effetto sorpresa era terminato e, rendendosi conto di trovarsi di fronte soltanto due donne, i nemici si stavano riorganizzando.

Non c’era tempo per badare alle sottigliezze.

– Via, via! – Cristilde cominciò a tagliare le funi, poi agitò le braccia e colpì un paio di cavalli sui posteriori con il manico dell’ascia. Tra gli animali già irrequieti si scatenò il terrore e, come un solo enorme gigante spaventato, i cavalli strapparono via i finimenti e galopparono fuori dal recinto, travolgendo orchi e barbari che stavano sopraggiungendo nella loro folle corsa.

Cristilde aveva già puntato il suo obiettivo: un enorme stallone nero che sbuffava con gli occhi iniettati di sangue, ma che sembrava abbastanza robusto da sopportare un discreto peso. Mentre l’animale scartava e cercava di raggiungere i suoi simili, la cerusica si diede la spinta sulla staccionata improvvisata e gli balzò in groppa, afferrando subito le redini. Lo stallone roteò gli occhi, iniettati di terrore, ma da ragazzina, nella tenuta di campagna di suo padre, Cristilde aveva montato puledri ben più focosi.

Riuscì a prenderne il controllo e galoppò fuori dal recinto, dove Ottavia era circondata da quattro orchi armati di ascia. Altri stavano sciamando contro di loro in un semicerchio che, se si fosse chiuso, non avrebbe lasciato scampo.

Cristilde caricò il più vicino e fece impennare il cavallo, colpendolo con gli zoccoli anteriori e tramortendolo al suolo, mentre abbatteva l’ascia sulla testa dell’altro. Ottavia ne approfittò per atterrare i due superstiti. Cristilde diresse il cavallo verso di lei e allungò la mano. – Sali!

– Che cazzo…

– Sbrigati!

Per un attimo temette che Ottavia rifiutasse e si ostinasse a rimanere lì a combattere come una matta. Invece le afferrò la mano e con uno sforzo si issò in groppa dietro di lei. Cristilde piantò i talloni sul fianco dell’animale e lo incitò al galoppo sfrenato lungo il sentiero che portava all’Ovestvallo, lasciandosi alle spalle un accampamento nel pieno del caos dove i cavalli correvano da ogni parte e i nemici avevano il loro bel da fare a recuperarli.

– Ci stanno seguendo?

– Per ora no – rispose Ottavia, scoccando un’occhiata indietro – Ma lo faranno.

– Allora meglio mettere più distanza possibile tra noi e loro, prima che si riorganizzino.

Lo stallone non aveva bisogno di essere incitato. Il terrore lo spronava meglio di ogni sperone e i suoi zoccoli divoravano il terreno. Cristilde sentiva il vento che le sferzava il viso e le scompigliava i capelli.

E le braccia di Ottavia serrate intorno alla sua vita.

– Non potevi mettere una cazzo di sella? Cavalcare così è scomodissimo!

– Certo, mentre invitavo quei barbari a prendere i pasticcini!

– Odio i cavalli! – brontolò Ottavia.

Questa era una novità. Cristilde si concentrò sulla conversazione, invece che sul pensiero delle labbra di Ottavia a pochi millimetri dal suo orecchio, del suo fiato caldo sul collo. – Cazzo, ma hai militato nell’esercito!

– Mica nella cavalleria!

– Che c’entra? Quando c’è da spostarsi veloce, si va a cavallo, punto. Non dirmi che non sai cavalcare!

– Certo che so cavalcare. Odio i cavalli, ma ci salgo quando è necessario. Come odio gli ufficiali del cazzo, ma ogni tanto ubbidisco ai loro ordini.

Ogni tanto. Cristilde sospirò. Non era da stupirsi che Ottavia fosse stata allontanata dall’elite della Regia Milizia e spedita all’Ovestvallo. Pochi dei militanti di stanza al vallo l’avevano scelto. Lei era una di quei pochi.

– A me hai obbedito.

– Perché mi piaceva il tuo piano. E poi, non sei male come ufficiale. Altrimenti non ti avrei portata a letto.

– Tu non… – Cristilde si morse la lingua. No, non doveva continuare su quella conversazione, poteva soltanto finire male. – Stringi le gambe e tieniti a me, e ce la caveremo bene anche senza sella – si limitò a replicare, con voce neutra.

Ottavia ebbe il buon gusto di non continuare a punzecchiarla. Forse doversi tenere in groppa a un cavallo lanciato al folle galoppo consumava buona parte delle sue energie. Tanto meglio. Cristilde cercò di concentrarsi sul sentiero, scegliendo il terreno ed evitando con attenzione gli ostacoli. Ci mancava soltanto di azzoppare il cavallo, e sarebbero state perdute.

Lo saremo comunque se ci raggiungono.

E una parte di lei sapeva che sarebbe successo. Una volta che i nemici fossero riusciti a riorganizzarsi e recuperare i cavalli, si sarebbero gettati all’inseguimento. Loro avevano un buon vantaggio, ma erano in due sopra un cavallo che, per quanto robusto, avrebbe dovuto rallentare presto l’andatura per il troppo peso.

L’unica speranza era che sull’Ovestvallo avessero scorto i loro segnali.

Proseguirono in silenzio. La stretta di Ottavia si era fatta più serrata e la guerriera adesso teneva il mento poggiato contro la sua spalla. Cristilde aveva difficoltà a ignorare la sua fisicità possente, i capelli di lei che si mischiavano ai suoi nel vento, le braccia che le cingevano il petto subito sotto il seno. Né Ottavia, ne era sicura, faceva nessuno sforzo per farsi ignorare.

Cominciava a sentirsi stanca. Aveva all’attivo poche ore di sonno, era ancora dolorante dalle ferite del giorno precedente e l’adrenalina cominciava a fluire via, lasciandole le membra pesanti e goffe. Sapeva che non sarebbe riuscita a reggere un altro scontro.

Alle loro spalle, in lontananza, si levava una nube di polvere.

La scorse con la coda dell’occhio, la indicò a Ottavia, che sbuffò. – Stanno arrivando, che palle!

Cristilde incitò il cavallo, che accelerò di nuovo l’andatura. Una brusca svolta del sentiero, e gli alti torrioni dell’Ovestvallo furono in vista: una linea continua di mura e fortilizi che percorreva tutto il confine occidentale del novello Regno. Una volta raggiunte le sue porte sarebbero state al sicuro.

Peccato che ancora distasse un paio di miglia, e che i nemici fossero alle loro costole.

– Non puoi convincere questa bestia a muovere di più le chiappe? – sbottò Ottavia.

– Sta già facendo tutto il possibile – rispose Cristilde – Pesiamo troppo in due.

– Stai dicendo che sono grassa?

– Che?!?

– Voglio dire, non mi sembra carino parlare di peso con una donna, sai?

– Donna quando ti pare – borbottò Cristilde, troppo stanca per mettersi a battibeccare. Il cavallo aveva attaccato la spianata che portava diritta ai bastioni. Così vicini, eppure così irraggiungibili.

Una freccia sibilò sopra le loro teste, mancandole di un soffio. I nemici alle spalle erano ormai a distanza di tiro. Cristilde spostò il peso e diede uno strattone alla redine, facendo scartare lo stallone di lato per far sì che fossero un bersaglio più difficile. Ma questo significava anche rallentare l’andatura.

– Mi sa che noi due non ce la facciamo, eh? – commentò Ottavia, quasi allegramente.

Cristilde sospirò. Cosa c’era da dire? – Mi sa di no.

– Ma forse una delle due sì…

Prima che la cerusica riuscisse a cogliere appieno il senso di quell’affermazione, Ottavia si era già lasciata scivolare dalla groppa dello stallone.

Sorpresa e confusa, Cristilde si voltò. – Che cazzo…?

Ottavia le rivolse un sorrisone. – Mi raccomando, trombati anche qualcun altro – le gridò, agitando la mano in cenno di saluto, per poi voltarle le spalle e piazzarsi a gambe larghe, lo spadone in guardia, per affrontare gli orchi.

Cristilde sospirò. Aveva già preso la sua decisione.

Sono stata una vigliacca troppe volte.

Tirò le redini, facendo quasi ruotare il cavallo su se stesso, per costringerlo a tornare indietro. Quindi si lasciò scivolare a sua volta a terra accanto a Ottavia.

– Tu sei completamente matta! – la apostrofò, scandendo ogni fottuta parola e puntandole l’indice contro.

La guerriera sogghignò, anche se nel suo sguardo brillava una punta di stupore. Non si aspettava di essere seguita in quel suicidio. – Continui a dirmelo. Ma se sei qui, sei matta quanto me!

– Non ho la minima intenzione di lasciarti fare l’eroina del cazzo da sola!

– Se è così… – Ottavia tornò a fissare l’orda dei nemici, che ormai gli era addosso – Stammi dietro e tienimi in piedi quanto più possibile, va bene?

Impugnò lo spadone con entrambe le mani, Cristilde estrasse le sue ultime siringhe. Fanculo alle eroine, pensò fissando la fiumana di nemici che stava per travolgerle. Aveva una paura fottuta, e le eroine non l’avevano, giusto?

Oh, beh, per dirlo in gergo medico, in fondo la vita è una malattia sessualmente trasmessa con letalità cento per cento…

Poi un nugolo di frecce calò dall’alto. Cristilde deglutì e attese il dolore della punta che si conficca nella carne.

Le frecce scesero in picchiata come uno stormo di corvi contro le schiere dei barbari.

Solo allora la cerusica si rese conto che provenivano dalle loro spalle. Quando si voltò, scorse un plotone di soldati della guarnigione che era fuoriuscito dalle porte del vallo per giungere in loro soccorso.

– Per il Regno! – gridò il comandante al vertice di quella formazione a triangolo.

Il cuneo dei veterani sfondò come burro le file dei barbari. Il combattimento fu feroce ma breve, e i nemici, dopo aver subito ingenti perdite, furono costretti a ritirarsi oltre i pendii e nelle foreste per leccarsi le ferite.

Cristilde e Ottavia furono raggiunti dai loro commilitoni. – Venite, è bene tornare alle mura. Quei bastardi potrebbero tornare.

La cerusica accettò con gratitudine le braccia che venivano offerte, i sorrisi amichevoli di quei volti familiari. – Grazie, ci avete salvate.

– Vi abbiamo visto arrivare dagli spalti, ed eravamo già in allarme per i segnali di pericolo giunti da ovest. Avete acceso voi i fuochi?

– Sì.

– E gli altri che erano con voi?

Cristilde abbassò lo sguardo, e fu sufficiente. Non ci furono altre domande, mentre rientravano in silenzio tra le mura del vallo, e la porta si richiudeva alle loro spalle.

Una volta nel cortile interno, gli altri soldati si congedarono, ognuno doveva tornare alle sue occupazioni, nel caso i nemici avessero cercato di organizzare un nuovo attacco. Prima di andarsene, però, parecchi salutarono Cristilde con affetto: una pacca sul braccio, una stretta sulla spalla, un semplice sorriso. Aster, uno dei ragazzi più giovani, rivolse un’occhiata di rispetto e gratitudine anche verso Ottavia, che se ne stava taciturna in disparte.

– Grazie per averci riportata sana e salva la nostra migliore cerusica.

Ottavia scrollò le spalle, come se non avesse fatto niente di che, e li guardò allontanarsi con la fronte aggrottata. – Penseranno pure che sei frigida, però ti amano – commentò.

Cristilde non aveva abbastanza forza per rimproverarla di averla chiamata ancora in quel modo fastidioso. – Più che altro hanno bisogno di me – ribattè, dato che solo un imbecille non sarebbe stato felice di aver di nuovo nelle vicinanze un buon guaritore, poi aggiunse, addolcendo il tono: – Ameranno anche te, Ottavia. Sei arrivata da poco, da’ loro un po’ di tempo.

Lei storse il naso, come se non le importasse un accidente. – Dici? Perché dovrebbero?

– Perché guarderanno dentro di te, e scopriranno che sei molto più della pazza ubriacona che vuoi apparire. Che non è possibile non amarti – si morse le labbra, rimpiangendo di essersi lasciata sfuggire quell’ultima frase. Attese che Ottavia replicasse, ma lei tacque, per una volta, e distolse lo guardo.

Sì, pensò Cristilde, erano entrambe esauste.

La cerusica sospirò, stropicciandosi gli occhi. – Ora devo riportare l’accaduto agli altri ufficiali, e far organizzare quanto prima una nuova spedizione di recupero.

Aveva ancora parecchio da fare, prima di potersi concedere un po’ di riposo.

– Fottuti ufficiali… – masticò Ottavia tra i denti.

– Sì, proprio loro.

Ottavia fece un gesto vago del braccio. – Bene, come vuoi, vai pure ad annoiarti alle loro riunioni. Io me la svigno in refettorio. Il barile di birra che mi spetta, ricordi?

Cristilde annuì. – Direi che te lo sei meritato.

Ottavia sorrise. Stavolta un vero sorriso, invece della solita smorfia sprezzante di tutto e di tutti. Prima di dirigersi in refettorio, le passò accanto per sussurrarle all’orecchio:

– Ci vediamo sulla tua branda, stasera?

Share Button

Commenti

commenti

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.