Nata con la camicia

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L’anziano djed Berislav Goska tornava quella sera da un breve viaggio per andare a trovare certi suoi nipoti al krozan di Senjakov, quindici miglia più a est, ed era stanco morto. Rimpiangeva la decisione di percorrere le ultime tre miglia a piedi, lungo uno dei sentieri più suggestivi fra quelli che portavano a Corcovlad: dopotutto non era più un giovincello scapestrato ma un uomo con tanti, troppi anni sulle spalle e qualche acciacco sempre pronto a ricordargli la sua età. Tuttavia era quasi arrivato, il sole era già tramontato e le prime luci dei vagon pigramente acciambellati intorno alla collina si facevano sempre più vicine.
A mezzo miglio di distanza dai falò del campo si rese conto che c’era qualcosa nell’aria. Non sapeva perché, eppure si sentiva addosso decine di occhi che lo osservavano, presenze silenziose nell’oscurità… c’erano sempre stati raminghi che proteggevano quella zona di Corcovlad, ma in quel momento gli sembrò quasi di essere in mezzo a una folla di guardoni o di camminare nudo in mezzo a uno stuolo di fanciulle sghignazzanti.
Stava iniziando a preoccuparsi davvero per la sua incolumità quando, a qualche passo da lui, scorse una figura che riconobbe immediatamente come Ivan Tre Passi, appoggiato al tronco di un albero maestoso al confine con la radura, intento a fumare una corta pipa di radica.
Allora Berislav capì perché si era sentito tanto osservato e sorrise, affrettando leggermente il passo.
– Allora il giorno è questo, eh, vecchio mio? Non potevi mancare, immagino…
L’uomo si strinse nelle spalle, senza mutare espressione. – Ci stiamo solo assicurando che a nessuno venga in mente la bella idea di imbucarsi alla festa senza esser stato invitato, djed, tutto qui.
– Eh già, brat, speriamo proprio che lo sia! Dobardan, per adesso!
Ivan rispose con un lieve cenno della testa e poi scomparve: a Berislav sembrò di cogliere un lieve scalpiccio e svariati fruscii, segno che l’alfiere non era affatto venuto da solo per quella veglia così inusuale.

L’uomo proseguì il suo cammino oltrepassando la prima fila di vagon e il sorriso gli fiorì letteralmente sulle labbra quando vide la giovane baba Yelena tiranneggiare uno stuolo di giovanotti, costretti a recitare scongiuri complicatissimi e ad aiutarla a tracciare rune di buona sorte in ogni angolo del campo.
– Serata piena, sestra, eh?
– Uff, non dire niente, djed! Katrinalea aveva ragione, i suoi fratelli e i suoi cugini sono proprio negati per certe cose! Forza con quei rami di biancospino, Ilija! Li voglio sistemati lì, proprio lì!
– Ma baba Yelena, è proprio necessario che…
– CERTO CHE LO E’! – Una poderosa voce femminile tuonò alle spalle del povero ragazzo, che rotolò a terra per lo spavento. Yelena sorrise alla sorella, che era sbucata fuori dalle ombre all’improvviso, facendo prendere un colpo al povero malcapitato. Malusha sghignazzò facendo l’occhiolino.
– Non si è mai troppo prudenti, cari miei, mai abbassare la guardia! E comunque, Yelena, se a qualcuno venisse in mente di passare attraverso le ombre per darci fastidio, avrebbe una bella sorpresa… ora torno a controllare, tu continua con gli scongiuri che stai andando benissimo!
– Allora a dopo Malusha! Secondo me manca pochissimo! Mi raccomando, stai pronta!

Berislav ridacchiò fra sé e sé osservando tutto quel parapiglia e non poté fare a meno di rallegrarsi nel vedere che le due sorelle avevano ritrovato armonia ed equilibrio nel loro rapporto. Erano proprio una bella coppia, quelle due, era proprio un piacere vederle gironzolare insieme… I suoi pensieri vennero però interrotti da una scena ancor più bizzarra che stava avendo luogo proprio davanti al vagon più grande dell’enkureja Goska: Corcoran stava letteralmente stordendo di chiacchiere una donna mastodontica, che a malapena cercava di sovrastare con la sua voce tonante quella squillante e inarrestabile dell’arcibardo.
– Leljamira, come mai qui fuori dal vagon?
– CI CREDI BERISLAV? CI CREDI CHE MIA FIGLIA NON MI CI VUOLE DENTRO?
– Ehhh, mia cara, le figlie sono così…
– DICE CHE LA METTO IN AGITAZIONE E MI VUOLE FUORI DAI PIEDI! LA MIA BAMBINA! E’ TUTTA COLPA DI QUEL TRIPPONE PRESUNTUOSO SE ORA MI TRATTA COSI’!!! MA APPENA TORNA IO LO SMONTO, LO MASSACRO, LO…
– Ahi ahi, djed, – interloquì rapido come un fulmine Corcoran – ti conviene girare al largo… a lei ci penso io! E come potrei non pensarci? Ma lo sai Leljamira che ogni uomo dovrebbe poter pensare a te notte e giorno e anche poi di mattina sera metà pomeriggio ora del tè spuntino di mezzanotte corte le mutande e sgarella di botte?
– C-COSA?
– AH-HA! Allora mi ascolti! Allora ti stavo dicendo che… – e quel che seguì fu pronunciato ad una velocità tale che l’anziano alemarita smise di ascoltare soffocando una risata e si avviò verso la porta del vagon, che era stranamente ricoperto di tralci rigogliosi dalle foglie rosso fuoco leggermente luccicanti: non avrebbe saputo dire se si trattasse di una delle bizzarre forme di Deanna, ma sicuramente percepiva una forza magica naturale di grande rilievo provenire da tutti quei viticci. Di certo, se qualche sprovveduto folletto della stirpe malik si fosse trovato a passare di lì casualmente proprio quella notte, avrebbe sicuramente serbato un ricordo orribile di quel che gli sarebbe successo, ammesso che potesse ancora essere in grado di ricordare. Berislav accarezzò lievemente uno dei tralci, che sembrò stringersi leggermente intorno al suo dito per poi lasciarlo immediatamente.

Ma le sorprese non erano finite: sulla soglia dell’ingresso stazionava la novella leggenda di Alemar, il giovane Shillark, con un’espressione tesa sul viso e un sigarello acceso fra le labbra. Sotto alle scalette del vagon c’erano almeno una quarantina di cicche spente o in via di spegnimento e, nonostante la primavera ancora non fosse arrivata, l’alfiere sudava come se stesse attraversando il Deserto Grigio in piena estate.
– Suvvia Shillark, ragazzo mio, non è mica figlio tuo, dopotutto!
– COME NO? – replicò nervosamente l’alfiere – Guarda che è tutto merito MIO se nasce! Guarda che l’ho tirata via IO sua madre dal quell’isola infernale! Ho piegato lo spazio e il tempo per portarli in salvo tutti e due e ora sono pronto a litigare anche con Urama stesso se ha qualcosa da ridire sul fatto che DEVE nascere! Certo che è come se fosse figlio mio, CAZZO!
– SMETTELA DI FARE CASINO LI’ FUORI O GIOCO A GOBBLAST CON LE VOSTRE TESTE!

Berislav rise, sbirciando la scena all’interno. Conosceva quella voce e non aveva dubbi che l’avrebbe sentita proprio quella sera… L’interno del vagon sembrava una pittura surreale partorita dall’ingegno di qualche Mevtimov ubriaco: il futon era stato rialzato in modo innaturale ed era quasi tutto coperto da tre figure che si affannavano intorno ad esso.
C’era Viosana, una delle sorelle di Ullian, che svolazzava da una parte all’altra del vagon portando con sé strumenti e pezze umide, mormorando a bassa voce parole di conforto che sembravano cadere nel vuoto. C’era Ste, che pazientemente sterilizzava ferri e tergeva fronti, sorridente e solare come sempre. E c’era Izzie, seriamente indaffarata a cercare di tener ferma la partoriente, i capelli tirati su da decine di mollette e grondante sudore, impegnata a svolgere al meglio il suo compito di ljekarna nonostante la paziente fosse proprio difficile, quella sera…

– Non spingere di testa, Velik Baba! Non spingere di testa!
– SPINGO CON QUEL CHE CAZZO MI PARE!!! E NON CHIAMARMI VELIK BABA!!! ARGHHHHHMMMMHHH!!!

L’anziano alemarita faticava a vedere al di là di Izzie, ma sicuramente distingueva senza ombra di dubbio l’alta figura dell’affascinante Maeve Volokson, che stringeva, o meglio, si faceva stringere le mani da quella della paziente (per così dire) e cercava di incoraggiarla al meglio delle sue possibilità.

– Dai, dai che ce la fai, fa’ come dice Izzie, sai che ha ragione… forza, forza! Spingo anche io con te, senti, senti, così!

La voce di Maeve sembrava avere il potere di farsi ascoltare e la mano che stringeva le sue sembrava allentare leggermente la presa… a differenza dell’altra mano della partoriente, che stava letteralmente martoriando quelle di Zadnjia, il Demone di Ferro, evidentemente del tutto fuori posto in quella situazione: Berislav era certo che il povero alfiere avrebbe preferito mille battaglie contro i nemici più potenti piuttosto che star lì, impotente, a farsi conficcare le unghie nella carne da quell’ossesso. Eppure stava lì, impacciato, deciso a incoraggiare l’amica sul futon come meglio poteva.

– Resisti… fai come dice Maeve… lo so che fa male, ma…
– MA MI SPIEGHI COME FAI A SAPERLO CHE NON HAI NEANCHE UN UTERAAAAAAAAAAAAARGH!!!!

Poi, Berislav intravide anche la partoriente: Katrinalea Goska era fradicia come un pulcino e si dimenava come un ossesso nonostante cercasse di tenersi ancorata alle braccia di Maeve e Zadnjia. Sembrava diventata cinque volte più forte, probabilmente un effetto collaterale del parto, e gridava con quanto fiato aveva in gola ora in comune ora in alemarita stretto, alternando le imprecazioni con i tentativi di respirare e spingere correttamente come le imploravano di fare. Probabilmente erano diverse ore che la cosa andava avanti… ma ormai la faccenda era agli sgoccioli…
Una spinta, e poi un’altra, e un’altra ancora… alla fine Izzie sollevò qualcosa sopra la sua testa in modo trionfale, gridando di gioia e di sollievo, mentre Katrinalea si accasciava esausta fra i cuscini e fra le braccia poderose e premurose dei suoi amici.

– E’ NATA!!! E’ NATA!!! E’ UNA BELLISSIMA BAMBINA!!!

Nel giro di un battito di ciglia alle finestre del vagon si affacciarono decine e decine di volti curiosi e ansiosi, tanto che Shillark dovette ricacciarne alcuni in malo modo. Malusha riapparì direttamente dalle ombre nel bel mezzo del vagon, mentre Yelena sgusciò sotto le braccia dell’alfiere, tuffandosi fra le braccia della sorella, eccitata. La trombetta dell’Arcibardo iniziò a suonare nel giro di due secondi e risuonò per tutta la foresta tanto era potente.

Berislav si fece piccolo piccolo in un angolo, osservando la nuova arrivata: era minutissima, ancora interamente avvolta nella placenta, ma si era già esibita in uno strillo così poderoso da poter liberare diverse paia di piccoli polmoni. Quando Ste l’ebbe lavata con cura, l’anziano notò una spavalda zazzera di capelli chiari ritta sulla sua testolina e un’espressione curiosa sul suo viso di porcellana, quasi per nulla contratto dal pianto e dalla sofferenza del parto. Era davvero una splendida figlia di Alemar.

– Come la vuoi chiamare questa meraviglia? – sussurrò Maeve all’orecchio dell’amica, che tendeva esausta le braccia verso il fagottino custodito da Izzie.
– Luaxana… ti piace il nome, Maeve? E a voi?
Mormorii di assenso e di commozione provennero da tutte le parti, mentre un sottile tralcio rossastro si arrotolava intorno alla testiera del futon.
– E allora Luaxana sia… – Katrinalea strinse la bambina al petto, socchiudendo gli occhi, mentre le donne presenti le sistemavano i cuscini e le accarezzavano i capelli.

– Certo però… – notò ad un certo punto Izzie – certo che la bimba ha questi capelli biondi…
– Ed è pure nata con la placenta attaccata… – confermò titubante Viosana.
– E sembrerebbe avere gli occhi chiari! – incalzò allegra Ste.
– Ha tanta gente intorno che le vuole già bene… – soggiunse commossa Yelena.
– Ed è stata protetta in tutti i modi possibili e immaginabili! – annuì orgogliosa Maeve.
– E’ veramente una creaturina strafortunata… – sussurrò intenerito Shillark.
– Insomma – concluse avanzando il vecchio Berislav – ha preso anche dal buon vecchio Ullian Goska, eh?
– Quel maledetto figlio di putt… – commentò Katrinalea.
E poi svenne.

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