Ouroboros.

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Il turbante scarlatto si sciolse, ed un nastro di garza finì sul naso del bimbo. Infastidito tentò frettolosamente di sistemarlo, senza emettere un suono, nel timore di perdersi anche solo una parola di quella strana donna dall’accento straniero.

“Non è vero! Non può esistere un muro tanto grande!” Si lamentò la bambina accanto a lui, con una striminzita camicina damascata, mentre incrociava le braccia sul petto, in segno di protesta per quell’attentato alla sua intelligenza.

“Shhh!” Protestò il bambino che lottava con la garza del suo turbante “Lasciala finire, no?” A lui piacevano le storie, e voleva sentire il resto.

“Un muro del genere affonderebbe nella sabbia, razza di credulone!” Ribattè con saccenza un altro ragazzino, che con la sua tunichina scura, seduto un po’ in disparte, sfoggiava con orgoglio un cappello a tesa larga, di un paio di misure più grande del suo cranio irto di capelli castani.

Urania rise, seduta all’ombra della palma, mentre il brusio nel gruppo di bambini assiepati sulle stuoie cresceva. Sir Vael, seduto poco distante, assaporò così la prima risata sincera dopo due giorni.
Dopo che la sera precedente, alla locanda, l’aveva vista mangiare in punta di forchetta lo stretto necessario per non apparire scortese. Sempre per lo stesso motivo l’aveva vista titubante allungare le dita nella grande ciotola comune, dove i commensali si servivano con le mani di piccole polpette di cereali cotti.
Aveva provato a rifiutare, ma Vael aveva fatto leva sullo scambio di tradizioni, quarto cardine equestre, e nello stesso modo l’aveva convinta a saggiare il liquore di latte di cammello, e persino a battere le mani ai ritmi liquidi dell’esotica musica Athariana.
Urania era stata un’ospite cortese, aveva sorriso quando era il caso, mostrato interesse e rispetto per ogni peculiarità di quell’angolo di Athar che Sir Vael, con
orgoglio, le illustrava. Mai una parola fuori posto, mai un gesto sopra le righe.

Ma ora se la rideva di gusto, davanti a quei bambini.
“Ma no! Non esiste la sabbia a Thersa!” disse la donna, divertita.
Immediatamente cadde il silenzio tra i fanciulli, persino quello più piccolo, che sinora era sembrato concentrato solo sui biscotti portati dalla donna, smise di masticare e la fissò incredulo con i grandi occhi blu, sotto una zazzera di capelli color miele. Il biscotto gli cadde dalle labbra socchiuse di stupore, spargendone il ripieno di marmellata alle mele sulla tunica azzurra.

Diverse paia di occhi sgranati si fissarono allora su Sir Vael, in cerca di una smentita autorevole a quella che appariva una fandonia bell’e buona.
“E’ vero!” Confermò invece l’errante “Non c’è la sabbia a Thersa, io ci sono stato.”

“Va bene, va bene” interloquì sbrigativo un tipetto biondo e dal colorito poco sano, che cadeva letteralmente dentro ai suoi pantaloni di cotone nero “Dicevi di questo muro, no?”

“Si” riprese la donna “Si chiama Est-val-lo” scandì bene, soprattutto a beneficio di una bimba dal folto caschetto nero e dagli occhi intelligenti, che parevano fatti di cioccolato fuso, che se la rideva di gusto al suono di ogni parola straniera, pronunciata nell’idioma severo della Torre Scarlatta.

“Bè, tutta qui la grande potenza thersiana? Un muro di sassi?” la sfidò un fanciullo dinoccolato e dalla voce sottile, che pareva non separarsi mai da un ramo ripulito che fungeva da spada, e con il quale tracciava disegni sulla terra, in foggia di … galline? Tacchini? Difficile da dire.

Urania rispose con pazienza “Certamente! Anche perchè quel colossale muro è il terreno di battaglia dei più grandi eroi delle nostre terre.”

“Ioioioio lo so chi sono!” alzò la mano un bimbo vivacissimo, il volto tondo illuminato dai grandi occhi dorati e da un sorriso contagioso, sotto il turbante candido.
Ottenuta l’attenzione generale il bimbo, forte della sua passione per le storie dei cavalieri dell’Orifiamma, enunciò “Allora, per primo c’è di sicuro il vostro Duca, giusto? Gaspar, no Kaspar Vionessel, che ha un occhio solo, e uno scudo graaaande come quella porta!”

Urania applaudì all’entusiasmo del bimbo “Bravissimo! Sua Grazia Kaspar Von Hassel è un grande eroe di Thersa, noi lo chiamiamo Oberstfurer”.
Una risatina argentea si levò dalla bimba dai capelli scuri, Urania le strizzò l’occhio e proseguì “Ma non è lui il valoroso di cui volevo parlarvi”

A quel punto i bimbi lo presero per un indovinello, alzò la mano il fanciullo che litigava ancora con il suo turbante rosso, e che, nel tanto che ascoltava, tentava di piantarvi in cima una piccola piuma rossa. “Il capo dei Cavalieri Templari allora, Lady! Si dev’essere Guiglielmina della Rosa Nera! Si dice che sia forte quanto bella e che abbia lunghi capelli color del sole!”

Urania, per par condicio, rivolse un applauso anche a lui “Bravo! Lady Wilhelmina Schwartzrose …” La piccola bimba mora ormai si rotolava reggendosi la pancia “… è
di sicuro una delle lame più formidabili, nonchè una delle donne più belle del nostro Ducato, e su di lei ci sarebbero mille venture da raccontare, ma non è neanche di lei che vi voglio narrare oggi.”

Urania non aveva i capelli color del sole, come la sua augusta parente, erano piuttosto di un indefinito color biondo cenere e persino Sir Vael, non avvezzo a notare
cose del genere, si era accorto di come la Lady avesse imbrigliato ogni forma di femminilità di quei boccoli in una lunga ed austera treccia.
Inoltre, ligia alla tradizione equestre, dopo la sua investitura si era cinta la fronte, ed aveva scelto un semplice cerchio di ottone, stretto come l’anello di una catena, che pareva volerne contenere ogni singolo stato d’animo.
Il Cavaliere non sembrava apprezzare tali cambiamenti, ma per rispetto non aveva commentato.

Di nuovo una voce infantile si levò sopra le altre “Forse lo so io allora …” Urania quasi sobbalzò, perché le parole provenivano da dietro il tronco su cui era poggiata. Fece capolino un bimbo magrissimo, dal naso appuntito e dallo sguardo castano. Aveva un fare quasi insinuante e la donna avrebbe giurato di fronte agli Astri di non averlo mai visto dal suo arrivo all’Orfanotrofio. “Ti riferisci a Lady Logan la Rossa, non è vero?”

Prima che Urania potesse replicare sbottò spazientito il bimbo ombroso dal cappello a tese larghe “Gardan, santo cielo! Gardan! Lady Logan è la duchessa di Gardan, non
è di Thersa …” concluse chiudendosi nel suo rammarico per l’altrui ignoranza e voltò le spalle alla donna e al suo racconto, ma ascoltava ugualmente.

“E’ vero, e neanche di Lady Logan parleremo oggi, ma di eroi che per la nostra terra sono altrettanto grandi, nobili ed importanti.”

I bimbi si zittirono nell’attesa, non avevano mai sentito di eroi più importanti di quelli, e anche Sir Vael inclinò la testa, curioso di capire dove Lady Urania volesse andare a parare.

“I più intrepidi e valorosi sono quelli come voi, si chiamano infatti Legione degli Orfani. Tra di loro vi sono cavalieri erranti, ma soprattutto uomini e donne talmente preparati e coraggiosi, da essere gli unici in grado di sopravvivere e combattere dietro le linee nemiche, oltre le mura dell’Estvallo, nelle lande desolate della Terra di Nessuno.
Essi non hanno grandi scudi e panoplie luccicanti, ma solo medaglie di ferro al collo, con una singola parola thersiana che diventa il loro nome ed il loro unico usbergo.
Non hanno capitani, non hanno marescialli o generali, ma sono tutti fratelli tra loro.
Non hanno statue nelle piazze, od onorificenze appuntate al petto, ma ogni thersiano sa bene che se di notte può riposare sotto il proprio tetto, sulla sacra terra della Torre Scarlatta, lo deve alla Legione degli Orfani, che di quella stessa notte è composta, che da quella stessa notte è protetta e che in quella stessa notte farà scempio dei malvagi che premono sui nostri confini.
Sacrificano tutto per la loro battaglia, financo i loro ricordi più cari, se necessario, senza bardi che ne cantano le gesta, o parenti che ne attendano il ritorno.
Dunque non solo nobili Cavalieri, splendenti di fama, ma questi, bambini miei, sono i più grandi eroi thersiani, nei cuori della gente luccicano le loro medaglie d’oro, in ogni cittadino di Thersa hanno genitori o figli, ed in ogni prece agli Astri vengono ricordati. A tutti noi, nobili o plebei, loro insegnano il vero Coraggio.”

Il giovane auditorio taceva, la donna straniera si alzò puntellandosi sulla sua alabarda e li lasciò ai loro pensieri.

Si diresse verso la volenterosa rettrice di quell’opera pia, Safyia, di cui Sir Vael le aveva parlato. Incontrò i suoi occhi scuri, che ora la squadravano con una curiosità assai diversa, dalla gentile ospitalità con cui l’aveva accolta quella mattina al suo arrivo con Vael.

Le porse la mano, Urania la prese per salutarla e Safyia le disse “Vael non faceva ritorno qui da quando Sir Ahmed non lo trascinò via in lacrime, tanto tempo fa. Tra i singhiozzi mi promise che sarebbe tornato, un giorno, accompagnato da un vero Cavaliere e …”
Urania la interruppe con un sorriso “Ha mantenuto la sua promessa, e sono onorata di aver scortato quel ‘vero Cavaliere’ qui oggi.”
Indicò con lo sguardo Vael che, attorniato dai bambini di nuovo vivaci e turbolenti, mostrava loro mosse e contromosse sfidandoli con ramoscelli di ginestra.

Urania non potè non pensare al giorno in cui lo conobbe, ormai anni prima, quando, durante la veglia di Lady Karoline, raccontò di un pomeriggio felice della sua infanzia, in cui lui e i suoi compagni, in quello stesso orfanotrofio, ascoltarono storie di cavalieri e mangiarono biscotti. La donna, guardando quella scena, ricordò le esatte parole e la voce un po’ commossa, con cui, quella notte, concluse il suo racconto: ‘… e quel giorno ci siamo proprio divertiti’.

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