Scentiar. Anno VI del Regno Eterno. Prima dell’alba.

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Era stata una serata tranquilla, quella. Forse perché il mese di Alhazhar recava già con sé tutta la pesantezza dell’inverno gelido e impietoso che si sarebbe abbattuto anche sulle tegole tiepide dei tetti di Scentiar. A quell’ora, in una notte di tempesta come quella, nemmeno i marinai più irriducibili si sarebbero aggirati sui moli per bestemmiare contro il gelo che si ostinava ad attaccarsi alle chiglie. Gli aristocratici e i mercanti se ne stavano già da un pezzo al calduccio nelle loro dimore, decisi a evitare l’apertura di qualsiasi trattativa all’aria aperta finché non fosse tornata la bella stagione. Le merci giacevano da oltre due settimane al riparo nei magazzini, e la città, per quanto brulicante di vita in ogni periodo dell’anno, quella notte si sarebbe goduta tutto il torpore dovuto al rigore dell’inverno, premendosi il cuscino sulle orecchie per cercar di ignorare la bufera che da ore spazzava i moli.
Molte ragazze si erano già ritirate, alcune da sole, altre in compagnia di alcuni clienti irriducibili che non sarebbero stati scoraggiati nemmeno da una tempesta di fuoco e lava. Solo poche sedevano ancora fra i tavolini dell’ampio salone del bordello e si scambiavano pettegolezzi insonnoliti, arricciando distrattamente i capelli.
Hélène sedeva dietro il bancone, come al solito, e disponeva i bicchieri in buon ordine sulle mensole, dopo averli accuratamente lucidati. Quella sera non avrebbe pensato lei a fare i conti, così cercava di rendersi utile in altro modo.
Era passato più di un anno da quando si era presentata là, a chiedere lavoro a Madame Loupelee, e non rimpiangeva un secondo passato lì dentro. Anzi, mentre si assicurava che non vi fossero aloni residui sui calici con un movimento del polso ormai divenuto meccanico, si era trovata più volte a pensare che quel luogo era quanto di meglio potesse esistere su tutta Whanel. Sicuramente la divina Ellesham aveva messo una buona parola per lei, altrimenti non avrebbe mai potuto sperare di incappare in così tanta fortuna tutta insieme.
 
Non si spiegava come fosse accaduto, ma Madame ci aveva messo meno di un’ora a valutare le sue capacità. Le altre ragazze erano rimaste molto sorprese quando, la sera stessa del giorno in cui era arrivata, avevano ritrovato Hélène al bancone proprio a fianco della tenutaria, impacciata e tremante come una foglia, e si erano chieste se Madame non si fosse bevuta il cervello.
Invece, dopo lo sgomento iniziale, Hélène ci aveva messo pochissimo a trovarsi completamente a suo agio. Era dolce, affabile, e il suo grande e innocente sorriso aveva conquistato tutti gli avventori, i quali si erano lanciati nelle avances più bizzarre, da tenere dichiarazioni d’amore a bislacche battute di spirito che l’avevano fatta sorridere e arrossire. Non uno era stato volgare o scortese con lei: certo, si era resa conto che nessun cliente si permetteva mai di essere cafone o troppo scurrile nei confronti delle ragazze, sicuramente a causa della combinazione pugno di ferro – guanto di velluto che Madame usava nei confronti dei frequentatori, ma verso di lei in particolare sembravano gentili e zuccherosi, fin quasi a sembrare dei ragazzini alle prime armi.
C’era voluta qualche settimana, ma alla fine si era anche lasciata trascinare dall’atmosfera di calda lascivia che aleggiava intorno a lei e aveva accettato la corte di un giovane mercante dal fascino esotico e dalla pelle scura che non avrebbe rivisto tanto presto, forse mai più. Ma né il suo cuore si era spezzato al pensiero che le carezze sarebbero durate solo una notte, né si era sentita sporca e macchiata nell’onore come aveva sempre immaginato.
Dopotutto, si era detta, poteva esserci qualcosa di poetico anche in quel tipo di vita. E dopotutto là dentro aveva la facoltà di scegliere, di appagare i suoi desideri, di vivere nel lusso e di imparare un mestiere che, tutto sommato, svolto in quei termini poteva avere anche moltissimi lati piacevoli.

E poi, là dentro c’era lei.
Anche adesso, Hélène si era ritrovata a sbirciare di sottecchi Loupelee, che contava le monete riposte in un lungo cassetto sotto al bancone, mormorando fra i denti una canzonetta allegra.
Aveva ascoltato ogni genere di commenti sulla sua signora: c’erano quelli che la apprezzavano, quelli che avevano semplicemente perso la testa per le sue forme generose, e anche quelli che avrebbe davvero voluto darle il fatto suo e farle abbassare la cresta… ma tutti erano sempre stati d’accordo su una cosa: che fosse dovuto alla stima, alla soggezione, al timore o persino all’antipatia, sicuramente una donna come Madame meritava rispetto.
Eppure nessuno sapeva granché su di lei, e Hélène era sempre stata troppo discreta e riservata per mettersi a fare domande. Ma avrebbe voluto sapere, e aveva capito che nessuno avrebbe potuto darle delle risposte. Nessuno sapeva un accidente. E, apparentemente, nessuno voleva nemmeno aver niente a che fare con il passato e i pensieri di quella donna diabolica.
A mezza voce, le avevano raccontato di quando, dieci anni prima, la giovanissima Loupelee aveva misteriosamente messo le mani su quell’edificio. Del suo precedente proprietario nessuno sapeva più nulla. Svanito. Circolavano le storie più inquietanti, ma non c’era nessuna certezza.
Inoltre, Hélène si era anche resa conto del fatto che nessuna delle ragazze si tratteneva per molto. Tutte si innamoravano, prima o poi, tutte decidevano di partire, tutte cedevano all’incontrastabile richiamo dell’amore, com’era naturale che accadesse. Nessuna di coloro che lavorava dal Galletto Sbronzo aveva e avrebbe mai avuto l’intenzione di rimanerci per tutta la vita.

Loupelee no. Sembrava che amasse profondamente e sopra ogni altra cosa proprio il luogo in cui era indubbiamente l’incontrastata regina. Per di più, nessuno l’aveva mai vista anche solo minimamente interessata a nessuno degli uomini che avevano perso la testa per il suo magnifico corpo e ai quali lei concedeva il privilegio di una notte in sua compagnia, ovviamente dietro cospicuo pagamento.
Sembrava che l’universo maschile rappresentasse per lei solo una miniera d’oro. Scherzava, li provocava, giocava con loro finché non li esasperava, finché non la desideravano talmente tanto che avrebbero pagato qualunque cifra per passare una notte con lei. E, quando questo accadeva, l’espressione che dopo si imprimeva sui loro volti ci rimaneva per molto, molto tempo.
Eppure, Hélène si era convinta che Madame non provasse alcun autentico piacere, a parte quello di divertirsi con i desideri degli uomini. Le dava sicuramente una soddisfazione indicibile vederli tutti lì, ai suoi piedi, a scherzare con le sue allieve e protette, a pagar oro sonante qualcosa che le loro mogli non potevano dar loro, né mai lo avrebbero fatto. Ma non sognava il grande amore. Non sognava di lasciare Scentiar, un giorno. Amava quel bordello. Amava la vita che faceva, era fuori discussione. Ma non amava nessuna creatura di sesso maschile. Anzi, forse non amava nessuna creatura al mondo. Provava certamente affetto per le sue ragazze e rispettava molti dei suoi clienti. Alcuni potevano anche dirsi suoi buoni amici. Ma amare o fidarsi ciecamente di qualcuno – no, questo no, mai e poi mai.

– Te la sei cavata molto bene con quel grosso idiota d’un Cagnazzi, stasera. Sembrava stesse per piantare uno dei suoi soliti casini, e invece hai saputo prenderlo molto meglio di quanto avrei saputo fare io… brava la mia Hélène!
– Oh, Madame! – si schermì la fanciulla, arrossendo leggermente – Sto imparando tutto da voi!
– Macché, stellina, mi ci vuole proprio una ragazzina calma e con quel bel sorriso d’angelo qua dietro, a far ragionare tutti i matti che passano di qui… è un talento naturale, certe cose non si imparano!
Hélène rise a fior di labbra, lusingata, mentre Madame le strizzò l’occhio, allegra. Tuttavia, Hélène colse qualcosa di inedito nel suo sguardo. Non avrebbe saputo dire cosa, ma contemporaneamente si rese conto del fatto che le altre ragazze erano andate a coricarsi, ed erano rimaste loro due da sole.
– Madame… posso… posso chiedervi una cosa?
Loupelee richiuse il cassetto, e si appoggiò al bancone, stiracchiandosi. – Dipende. Prova.
– Ecco… – Non era sicura di cosa volesse davvero sapere. Ci pensò su ancora qualche istante, mordendosi le labbra. Poi si decise.
– Madame… voi… voi siete mai stata… voglio dire… con tutti gli uomini che passano di qui… siete mai stata…
– …innamorata, vuoi dire?
– Ecco… – la fanciulla abbassò gli occhi, imbarazzata. Era già pentita di quella domanda. – Ecco, sì… oh, perdonatemi, non volevo…
Ma Loupelee scosse la testa. Sul suo volto si era fatta avanti un’espressione che Hélène non aveva mai visto e che non avrebbe saputo definire in alcun modo.
– Non c’è niente di male a chiedere, Hélène. E comunque la risposta è che nessuno di questi maledetti porci mi interessa. Non c’è nessuno, nessuno che io abbia incontrato che non covi dentro di sé ciò che a mie spese ho imparato ad odiare nello sguardo di un uomo.
– Mi disp…
– Lascia perdere, – la interruppe nuovamente Loupelee – non devi dispiacerti. Dopotutto, non è nemmeno colpa loro se sono così deboli e meschini… però, che posso farci? Mi fanno proprio schifo, anche il più gentile e premuroso fra loro non fa altro che nascondere la sua vera essenza, anche senza rendersene conto…
– Ma, Madame, – tentò di controbattere Hélène – vi sono molti uomini di chiesa che non alzerebbero mai un dito su una donna, e che rispettano profondament…
– Ma figuriamoci! – sbottò a ridere sguaiatamente Loupelee, interrompendo la sua pupilla, disorientandola – Stai scherzando, Hélène? Sotto ad un cavaliere, a un arcipriore della malora o a qualsiasi altro individuo gonfio di santità palpita comunque l’anima nera di un UOMO, non lo capisci? Gente di quella risma predica amore e rispetto, o magari addirittura castità e astinenza, ma sono tutte pose, sono tutte vuote MASCHERE! Il giorno che non potessero più trattenerle su quello che è il loro vero volto, cosa credi che accadrebbe? Che ne sarebbe di tutte quelle belle parole?
– Ma… quando un uomo si innamora…
– Ah, Hélène, Hélène! – Loupelee scosse la testa, con tristezza. – Tu sei giovane e la tua testa è ancora piena di fantasticherie… l’amore va, viene, si trasforma e poi scompare, se mai c’è stato davvero… la verità è che tutto è un meraviglioso inganno al quale si finisce per credere… le ragazze che vanno e vengono qui al bordello e sognano il grande amore sono vittime della più grande fregatura escogitata dalla Natura per costringere le razze mortali a non estinguersi, come forse meriterebbero… cosa pensi che succederà loro, entro qualche anno? I loro mariti si dimostreranno degli idioti senza cervello e allora saranno costrette a cercar calore altrove, oppure loro stesse verranno messe da parte per donne più giovani e più belle… oppure finiranno per abituarsi all’idea di servire un marito, o di essere da esso accudite e protette… in tutti questi casi, sarà ancora amore? Sarà così bello, così meraviglioso, così grande? O solo deludente, deprimente e scontato?
Hélène rimase muta, con il cuore che batteva all’impazzata e gli occhi inumiditi di lacrime. Allora era questo che pensava Madame. E le sue parole… le sue parole erano terribili… ma vere. Quante volte lei stessa l’aveva visto succedere? Nel bordello, al mercato, lungo le vie della città… quanti volti di uomini e donne che narravano la stessa storia di stanchezza, delusione, abitudine o infelicità… quanti… eppure non poteva credere che… che l’amore… che i suoi sogni, le sue speranze…
Rimase come pietrificata per qualche istante, guardandosi i piedi, poi sentì il tocco della mano di Loupelee sulla spalla.
– Non far caso a quel che dico, passerottino… – la voce risuonò dolce e malinconica. – Tutti hanno il diritto di avere una possibilità e di sognare… la felicità è una cosa personale, no? Quello che vale per me non è detto valga anche per te, ricordatelo… è che ne ho viste e subite troppe per non poter pensare che un uomo è sempre marcio, da capo a piedi, anche se non lo sa o fa di tutto per migliorarsi o nasconderlo. Forse sento la puzza anche dove non c’è, forse la gente che passa di qui, anche se imbellettata e ben profumata, rappresenta solo la feccia della società… Fatto sta che in tutti questi anni nulla ha mai smentito la mia opinione in merito e dubito che possa esistere qualcosa o qualcuno che possa convincermi che ho torto…

Loupelee scosse la testa e si versò una generosa porzione di pregiato rum bianco donatole da un suo devoto ammiratore. Schioccando la lingua contro il palato, lo assaporò lentamente, fissando un punto imprecisato dello spazio. Hélène rimase in silenzio, rimuginando fra sé ciò che aveva appena udito mordicchiandosi le labbra fin quasi a farle sanguinare. Erano dunque solo sogni, sciocchezze e frivole illusioni? Era come diceva la sua signora? Il mondo degli uomini era così crudele e prevedibile? L’amore dunque è solo un capestro nel quale s’infila la testa volontariamente, sperando che nessun boia apra la botola sotto i nostri piedi, quando invece già stiamo penzolando da un pezzo, e tutto il mondo ride di noi?
Era un pensiero così triste e affossante… sapeva bene che per Madame gli uomini contavano solo in funzione di quanto potevano sborsare e di quanto, attraverso di loro, potesse vendicarsi dei torti subiti in passato… ma tutto questo disprezzo, questo cinismo, questa disillusione… erano così profondamente radicati… facevano paura… chissà cosa doveva esserle successo, in passato, per arrivare a pensarla così… chi o che cosa le aveva gelato il cuore? Quante umiliazioni aveva dovuto subire? Cosa…

Hélène smise di farsi domande. Era evidente che non avrebbe avuto le risposte quella notte, e comunque forse per il momento aveva sentito abbastanza. Loupelee stava ancora sorseggiando il rhum.
– Nottataccia infame, – mormorò, assorta – sarà il caso di spegnere le luci esterne… con un tempo del genere, non credo che nessuno si farà vivo… tanto vale risparmiare olio…
– Vado io, Madame. –  Hélène si riscosse, alzando lo sguardo, poi si avvicinò all’anticamera e aprì il portone, imbacuccandosi ben bene in un ampio scialle di lana. Fuori la temperatura era davvero gelida, anche se la tempesta ormai stava brontolando l’ultimo saluto.
Ma, non appena i suoi occhi si abituarono all’oscurità, dalla soglia intravide qualcosa poco distante. Un fagotto di stracci, o un ubriaco, come tanti ne giravano per Scentiar a tutte le ore, un poveraccio che aveva perso a dadi con la sua sbronza e che era stato travolto dalla furia della bufera. Niente di cui curarsi, comunque: dopotutto non erano affari loro…
Eppure era freddo, troppo freddo per andare in giro a gingillarsi con una bottiglia in mano. E quella “cosa” non dava l’impressione di essere uno dei tanti poveracci che si trascinavano nei bassifondi di Scentiar, abbandonato là per chissà quale motivo. Inoltre, c’era qualcosa di strano in quella notte… qualcosa… qualcosa. La serata stranamente calma, la sua signora che si apriva a inquietanti confidenze, la tempesta che s’era spenta di botto… c’era un’insopportabile atmosfera d’attesa nell’aria. Come se la città stesse trattenendo il fiato.

Rimase sulla soglia. Chiamò Loupelee.
– Madame! C’è un uomo steso a terra a dieci passi dall’ingresso.
– Ubriaco? Morto?
– Secondo me, né l’uno né l’altro.

Ci fu un attimo di silenzio. Lunghissimo.

– Vengo a vedere.

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Commenti

commenti

6 comments

  1. letto, anzi, riletto 😉

    bellissimo come sempre lastrina!!
    Loupelee è un’altra donna che vorrei incontrare XD
    e ora..incominciano le danze!!!(sperando che non siano quelle di Nihal! O_O)

  2. *_*
    Che bello. Dopo lunga assenza trovo la mia sensei Loupelee, e come al solito sprofondo nel mare di idolatria. Adoro quella donna, è una grande!
    Sigh, i discorsi che ha fatto a Helene sono terribilmente simili a quelli che mi ronzano in testa

  3. Vabbeh, però ricordati che in dieci anni QUALCUNO è riuscito a farle cambiare idea senza nemmeno che nessuno dei due se ne rendesse conto…
    Mai dire mai, figliola, la vita è sempre pronta a stupirci!

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