Anno 2998 dell’Era dei Quattro- Campi di battaglia

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Danzano le ombre intorno al fuoco
Osserva, poiché altrove non vedrai
Le meraviglie, le grandi sorprese
Che serba la terra di Alemar.
 
Si consuma la serpe nella fiamma
E rinasce dalla cenere ancor calda
Cambi pelle, cambi carne, cambi vita
Se giungi nella terra di Alemar.

Il domani è domani, ieri è già passato
Per oggi mi preoccupo in giornata
Se sarà quiete, se sarà battaglia
Non lo sa nemmen la terra di Alemar.

Ti stupirai di mille e più prodigi
Nelle magiche notti, sotto le amiche stelle
Il diavolo ubriaco canta canzonacce
La Morte balla nel suo abito migliore

Solo qui, intorno ai fuochi di Alemar.

*    *    *

Un anno intero era passato, poi altri cinque, e mai Noctulis si era sentito così in salute, così pieno di energia, così vivo. Non era più “lo straniero”, ma un Alemarita perfettamente inserito all’interno della carovana di Rasho. Esteriormente era più robusto, leggermente più abbronzato, non era più un ragazzino acerbo, ma un uomo fatto e compiuto, magro e con le spalle larghe, e aveva lasciato crescere i capelli castani sino a quasi metà schiena. Era la sua testa, però, quella che era cambiata di più. Sei anni cambiano le persone; sei anni di viaggi tra le tormentate terre di meridione, poi, avevano fatto compiere una metamorfosi nel ragazzo, ormai ventitreenne.
Era tranquillo come mai era stato. La tensione che sempre aveva portato addosso era sparita, sostituita da una positiva carica costante. Non era capace di star fermo un secondo, Noctulis, desiderava rendersi utile, imparare, capire e vedere quanto fosse presente innanzi ai suoi occhi. Voleva vedere la vita e farne parte, per la prima volta. Non voleva più farsi trascinare dagli eventi, ma esserne il solo e unico artefice.
“ Se tu vuole fare qualcosa, allora no vedo perché no deve fare”, commentava laconico Rasho, durante i loro innumerevoli discorsi intorno ai falò serali.
“E se quello che faccio causa problemi a qualcun altro?”, osservava il ragazzo, curioso. Il capo carovana, a questo punto, si limitava a scrollare le spalle.
“Se ti crea problema recare danno a qualcun altro e già ti preoccupa, allora evidentemente non è quello che vuole fare”.
Dietro un atteggiamento spigliato, si celava in realtà un attento ragionamento, una costante preoccupazione. O forse l’agire d’impulso, d’istinto, seguendo il proprio carattere, era questo il segreto per sentirsi liberi nelle proprie scelte e prendere la strada giusta; era il pensarci troppo che creava problemi. Quando Noctulis si chiedeva quale fosse la verità, si accorgeva che in realtà ci stava già ponderando troppo, e si metteva a ridere da solo.
Sì, stava veramente bene. Merito di quella gente stupenda, in continuo movimento, irrequieta e piena di nuovi spunti. Gli Alemariti non erano fannulloni come pensava, anzi erano indefessi lavoratori, e tutto per il bene della carovana o perlomeno di se stessi; solo che lo facevano a modo loro, con i loro canti propiziatori, le loro scaramanzie, le loro manie, e infarcendo il tutto con quella vena artistica personale che contraddistingueva ognuno di loro. Quando venne a conoscenza delle antiche arti magiche Alemarite che tanto lo interessavano, scoprì di trovarsi di fronte a qualcosa di assolutamente particolare, così impregnato della cultura e della tradizione di quel popolo che, senza un maestro come Rasho che lo seguiva passo passo e senza possedere il loro punto di vista, ci avrebbe messo anni e anni solo a intenderne le basi. Una stregoneria indubbiamente potente, fatta di misteriose melodie, di caotiche energie incontrollabili; Noctulis la studiò coscienziosamente, solo per capire poi che in realtà non gliene fregava poi tanto. Basta, insensata sete di potere! Basta, inutile brama di conoscenza! Non era questo che gli interessava, adesso.
E poi c’era Kamilla. Amica, sorella, amante. I due continuavano a dividere insieme la stanza e il letto con il beneplacito del fratello della ragazza, ed erano diventati la barzelletta dell’intera carovana. Incompatibili, discordi su ogni punto, pronti ad attaccar briga tra loro fuori dal carrozzone quanto complici, teneri, focosi e appassionati una volta soli. Era incredibile; capaci di litigare violentemente fino a prendersi a schiaffi, e pochi giri di clessidra dopo a chiacchierare tranquillamente tra le lenzuola o a perdersi l’uno nell’altra. Chi diceva che era amore, chi diceva che erano giochi di ragazzi; Noctulis e Kamilla non avevano di questi pensieri e continuavano nel loro incessante rincorrersi. In sei anni, Rasho cercò di convincerli a costruire qualcosa, e che gli sarebbe piaciuto avere dei nipoti, ma i due negavano fortemente qualsiasi legame sentimentale. Nonostante questo, durante quegli anni, Kamilla rifiutò diverse vantaggiose offerte di matrimonio, nonostante fosse la sorella del capo carovana e sapeva che il futuro del gruppo nomade dipendesse da lei. Noctulis non riuscì a non essere felice di questo.
Poi, qualcosa iniziò a muoversi nel mondo. Qualcosa di grande. Una rivolta come mai viste prima contro il potere dei Quattro. Gli eserciti imperiali si stavano ritirando verso Falcon, lentamente, mentre i focolai di ribelli iniziavano ad organizzarsi in gruppi armati. Il vento portava voci di valorosi eroi, e la parola “libertà”, da un sussurro indistinto, iniziava a risuonare come un urlo rabbioso. Un urlo che arrivò anche alle orecchie di Noctulis.

*    *    *

Erano passati sei anni in viaggio, ed adesso si ritrovava a pochi giorni di cammino dal suo villaggio natale. “Strano, il destino” si ritrovò a meditare Noctulis. Osservava le foreste verdeggianti intorno a lui, nella calda e soleggiata estate, beandosi della frescura del fitto sottobosco, mentre distrattamente raccoglieva alcune erbe officinali chiestegli da Rasho. Si ricordò della lunga veste con cui era scappato dal suo villaggio, sei anni addietro, benedicendo la praticità dei pantaloni e delle camicie alemarite per camminare nella boscaglia. Era già pronto per tornare indietro, la sporta carica, quando qualcosa attirò la sua attenzione; un rumore lontano, una sorta di sorda deflagrazione che riecheggiò facendo scappare numerosi volatili. Poi, voci concitate, passi di corsa, rami che si spezzavano, clangore di armi. Sarebbe stato facile, andarsene a questo punto infischiandosene bellamente, ma la curiosità fu forte.
Li vide da lontano, e sentì come qualcosa che gli si lacerava dentro. Due uomini in fuga nella boscaglia, come fece lui a suo tempo, con una decina di soldati alle calcagna. Si acquattò dietro un tronco, sperando di decifrare meglio la situazione, fino a quando il gruppo non arrivò in vista. Il primo dei fuggitivi era una figura esile e snella, dai tratti delicati tipici della stirpe elfica, con lunghi capelli biondi legati in numerose piccole trecce, con addosso una camicia ormai scarlatta per il sangue e pantaloni ugualmente intrisi, con in pugno una corta lama ricurva e un grosso zaino sulle spalle. L’altro, invece, ben più robusto, dai tratti duri e squadrati, la corta barba e i capelli scuri ormai ispidi, vestiva una pesante corazza d’acciaio che lo ricopriva interamente, mentre impugnava una grossa ascia incrostata di sangue in una mano e un rozzo scudo nell’altra. Gli inseguitori, invece, parevano più una muta di cani selvaggi che persone, tanto ansavano e urlavano; addosso portavano tutti corazze leggere recanti gli inequivocabili simboli dell’impero falconita. Noctulis non ci mise molto a comprendere la situazione, e prese la giusta decisione. Fuggire. Via, veloce, e senza immischiarsi.
Le sue gambe iniziarono a correre rapidamente tra le piante, schivando gli ostacoli, più velocemente possibile lontano da quella battaglia. Non sapeva cosa avevano fatto quei due, né gli interessava, e sua unica preoccupazione era quella di mettersi in salvo. Eppure, quelle figure sembravano sempre più vicine. “Forse perché stai correndo verso di loro”, gli fece gentilmente notare il cervello. Gli stava andando incontro, e stava recitando pure un sortilegio sotto lo sguardo allibito di tutti, e con suo stesso massimo stupore. Stava aiutando i fuggitivi, e a malapena se ne rendeva conto, quasi il suo corpo si muovesse da solo. Un lampo scaturì dalla punta delle sue dita, percorrendo lo spazio che li separava e colpendo in pieno petto tre degli inseguitori e scagliandoli al suolo con le carni ustionate e fumenti. L’uomo e il mezz’elfo si voltarono verso quel misterioso giovane, e parvero subito acquistare in sicurezza e decisione; il primo si gettò in mezzo agli inseguitori prendendoli in controtempo e menando poderosi fendenti d’ascia, capaci di staccare teste e braccia, mentre l’altro iniziò a cantare una delicata nenia che misteriosamente fece cadere all’improvviso a terra almeno tre imperiali.
E la battaglia proseguiva, mentre Noctulis si guardava le mani. Cosa aveva fatto? Perché non aveva dato retta al cervello e si era buttato in quel pericolo mortale? “Andava fatto e basta”, echeggiò una voce in lui, la sua voce. Strano, non l’aveva mai sentita così distintamente.
In poco tempo fu fatta piazza pulita, e i due fuggitivi gli si avvicinarono. L’uomo, con una risata sguaiata, gli diede una pacca sulla spalla facendolo tremare da capo a piedi, apostrofandolo poi con voce rude e  decisa.
– Ragazzo, così un giorno ti farai ammazzare! Sei bravo, però… Ah, sì, grazie mille!
Il mezz’elfo, all’apparenza più provato, cercò di salutarlo solo per cadere a terra con il respiro spezzato. Noctulis provò a sorreggerlo, mentre l’uomo, improvvisamente preoccupato, cercava di farlo rinvenire con piccoli schiaffetti.
– Franklin! Franklin! Ah, dannazione, maledetti imperiali cani bastardi…
– Sto bene… sto bene…- riuscì a borbottare il ferito, abbozzando un mezzo sorriso
L’uomo riprese un po’ di baldanza, mentre se lo issava sulla spalla.
– Ragazzo, scusa se te lo chiedo, ma mica avresti un posto dove farci riposare? Il mio amico sta piuttosto male…
Noctulis non ci capiva più niente. Il suo cervello gli dava reazioni discorsi. Voleva fregarsene di una battaglia non sua, di una guerra di cui non sapeva niente e di cui non voleva far parte. D’altra parte, si ritrovò nuovamente a annuire energicamente col capo. L’uomo parve molto soddisfatto.
– Ottimo, ragazzo, te ne sono grato… com’è che ti chiami?
– Noctulis Desmortes, signore- rispose la sua bocca rapida, con voce decisa. Perché aveva usato ancora quel nome, a distanza di tanto tempo? Cos’è che gli girava dentro, per farlo comportare così?
– Allora, Noctulis, facci strada. Io sono Uther, e questo è Franklin, colui che un giorno canterà le battaglie di questi giorni di ferro e sangue!
Si incamminarono, Noctulis davanti a tutti e gli altri due dietro. Il ragazzo era troppo perso nei suoi pensieri per badar loro, che borbottavano tra loro come vecchi amici, mentre il sole iniziava a calare sulla foresta.
– Io un grande cantastorie?- ridacchiava il mezz’elfo. – Se sopravvivo mi va bene…
– Non fare lo stupido, vecchia volpe – lo rimproverava l’altro. – Se muori, a mio figlio chi glielo dice che lo zio Franklin non torna a casa?
– Hai ragione tu, Uther. – sussurrò Franklin prima di svenire. – Questa gliela racconterò, ad Alehandro…

*    *    *

– Partiamo subito.
Da quando Noctulis era tornato poco prima con i due feriti, Rasho era diventato di un umore nerissimo, quasi intrattabile. Aveva ricucito le ferite del mezz’elfo e lasciato l’altro di guardia al letto, ma sembrava che qualcosa lo preoccupasse; un’ombra scura in viso che mai Noctulis gli aveva visto addosso. Il capo carovana camminava a passi lunghi e nervosi per l’accampamento, tuonando ordini nella sua lingua natale ai compagni, che si erano già messi all’opera nello smantellamento; nessuno che osasse fiatare, né alcun dubbio negli occhi degli Alemariti. “Quello che Rasho dice è legge, e Rasho ha ragione”, questo si leggeva nei loro sguardi risoluti. Una decisione che il ragazzo non si sentiva di condividere.
– Partiamo? Ma… per dove… perché?- cercò di dire con voce affannata e preoccupata, mentre cercava di tenere il passo del capo carovana. Questi non si degnò neanche di voltarsi, e lo apostrofò aspramente.
– Tu ha controllato che quei due non erano seguiti? Io l’ho fatto con te, anni fa. Tu fatto con loro, giovane imprudente?
Un brivido nella schiena. Non ci aveva neanche pensato che magari un secondo gruppo li seguiva da presso e che li aveva pedinati; tanto meno, aveva immaginato che uno come Rasho fosse capace di accortezze del genere. Era stato stupido, irruente e impulsivo, e questo avrebbe potuto mettere in grave pericolo l’intera carovana; eppure non se la sentiva di ritirarsi. Qualcosa lo spingeva a rimanere in quelle terre.
– Restiamo qui, Rasho! Se verrà qualcuno, combatteremo!
A quel punto l’Alemarita si girò. I baffi scuri erano mossi da un tremito d’ira che negli occhi diventava un furibondo incendio; con i capelli sciolti nel vento serale, emanava un’aura di incontenibile furore. La voce era incrinata da una nota di duro rimprovero.
– Da quando tu decide a posto mio? Io sa cosa è  bene per mia gente, e loro non rimarrà qui a combattere.
Noctulis fu travolto dalla rabbia contenuta dell’amico, la fece sua, e cominciò a urlare di pura collera. Non capiva, non capiva perché non volessero affrontare il rischio.
– Non possiamo scappare per sempre, Rasho! Rimaniamo qui, e facciamo vedere a quei bastardi di cosa siamo capaci!
Lo schiaffo arrivò violento e improvviso, e il ragazzo non lo vide neanche partire. Per un istante vide solo buio, poi una miriade di fiori gialli presero a sbocciare davanti ai suoi occhi. Era intontito, e le parole di Rasho gli giunsero lontane, perse nella nebbia.
– Se tu vuole rimanere qui a morire, fa pure. Per mia gente decido io, e questa terra non sarà loro tomba.
Poi, si allontanò continuando a tuonare imperioso i comandi al resto della carovana. Da qualche parte, qualcuno cantava malinconico.

*    *    *

La porta del carrozzone si aprì di schianto, tanto che Kamilla e Uther sobbalzarono, mentre Franklin dal letto si voltò verso l’ingresso. La luce di tutte le lampade tremolò per l’urto, accogliendo Noctulis in un sudario di ombre danzanti.
– Ah, sei tu. Ho già organizzato la tua roba nei bauli, siamo pronti a partire…- disse Kamilla alzandosi e facendosi incontro al ragazzo. Non l’aveva mai visto con un tale cipiglio severo, irato, tenebroso. La voce con cui rispose era una lama di ghiaccio.
– Non io. Me ne vado.
Silenzio. Kamilla era troppo stupita per dire alcunché, e si limitò a balbettare poche parole incoerenti. Noctulis stava accatastando le sue cose alla rinfusa, cercando di stipare quanto possibile dentro un vecchio sacco. Era rosso in viso, le vene del collo tese allo spasmo e iniziò a urlare, come se stesse parlando con qualcuno di lontano e molto, molto sordo.
– Ah, certo, arrivano gli imperiali e noi via, con la coda tra le gambe! C’è gente che muore, c’è gente che combatte, e noi siamo capaci solo di darcela a gambe! Per quanto pensate che potrà andare avanti così, eh? All’infinito? Chinerete il capo per sempre? Non è più tempo di ridere, ora si combatte!
– Chi l’ha deciso?- lo interruppe rudemente Kamilla. Ance lei era alterata in volto, adesso, ed emanava la stessa regalità del fratello. Noctulis non credeva alle sue orecchie.
– Ma… cosa? Sono i tempi maturi per una rivolta, è tempo per alzare la testa, per toglierci questo giogo dal collo! La ruota è in moto e non può essere fermata!
Adesso si guardavano, sfidandosi con lo sguardo. Fissi, uno a scrutare la profondità degli occhi dell’altro, quasi per trovare un punto debole nel ragionamento dell’avversario, una falla, oppure solo una stilla di calore, di affetto. Fu Kamilla che si mise a sorridere per prima, con quel suo sorriso genuino, giovane, splendido.
– Hai scelto la tua guerra, Noctulis, una guerra a cui mio fratello ti sottrasse sei anni fa. Oggi tu hai voluto tornarci, e mio fratello ti ha restituito ad essa. Lo sapeva, sai, – aggiunse abbassando gli occhi a terra – che un giorno te ne saresti andato. Ognuno sceglie il suo cammino. Rasho non può decidere per tutti noi, e cerca di salvarci. Questa è la sua via. La tua è quella di combattere. Comunque sia, qualunque cosa decidiamo, non ci aspetta che un altro campo di battaglia.
Ora era Noctulis a ricambiare il sorriso. La ragazza che sei anni fa aveva conosciuto ora era una donna fatta, e bellissima, e matura. Estremamente intelligente. Più di lui, testone caparbio e cocciuto, di sicuro.
– Grazie, Kamilla.
Un colpettino di tosse imbarazzato li interruppe. Uther, dal fondo, li stava guardando, mentre il mezz’elfo li osservava divertito.
– Se non ti scoccia, giovane, faremmo un pezzo di strada insieme a te. Anche noi non possiamo rimanere qui, ma tornare a combattere, ora che per Franklin il peggio sembra passato. Sai dove andare?
Una luce gli si accese in testa. Noctulis non ci credeva, ma la risposta era una sola.
– Ho una mezza idea, sì, ma è solo per me.
L’uomo alzò le spalle, abbozzando una risata. I tre si misero così a preparare freneticamente il loro bagaglio con l’aiuto di Kamilla, sistemando quanto possibile. Tutti i ricordi di quei sei anni, impacchettati e catalogati, tutto insieme, adesso pronti ad andarsene.

*    *    *

La carovana era ormai pronta a partire, mentre Uther e Franklin si erano già messi in cammino, poche decine di metri innanzi a Noctulis. Nella buia notte, sotto la scarsa luce della luna, il ragazzo e Kamilla si guardavano, uno in piedi innanzi all’altra, a qualche passo di distanza. Non si erano toccati, né sfiorati. Neanche un abbraccio. Noctulis avrebbe considerato qualsiasi gesto un incentivo a rimanere; e lui non voleva rimanere. La voce di Kamilla si sentiva appena sopra il vento.
– Stammi bene.
– Anche tu.
Noctulis si girò e si incamminò nel buio. Fece una brevissima distanza quando la ragazza lo richiamò.
– Aspetto un bambino.
Il ragazzo si voltò a guardarla. Nei suoi occhi leggeva una tristezza che non voleva considerare, l’amarezza di un addio che non voleva dire. Quello che sarebbe successo adesso avrebbe deciso il suo futuro. Rimase immobile, senza fare alcun movimento, né per andarsene né per tornare. Kamilla fece un cenno di diniego con la mano e una piccola risatina dolorosa.
– Scherzavo. Vedo che non è servito neanche questo per convincerti…
Noctulis annuì con la testa, mestamente, poi si voltò verso la foresta buia.
– Sii felice.
Un altro viaggio iniziava, nella notte. I fuochi delle genti di Alemar, alle sue spalle, si spegnevano uno dopo l’altro, ed il cigolio delle ruote dei carri innalzava il suo lamentoso saluto.

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Commenti

commenti

9 comments

  1. Splendido.
    Ne gaudo immensamente.
    E la finestrella aperta sulla storia di Alehandro è deliziosa.
    Meravigliosa, anche.

    Ma lo zio Franklin è mezz’elfo?

  2. Sì, ed è zio solamente d’appellativo, non intercorrono legami di sangue tra Franklin e Alehandro… Solo una figura importante nella vita del circense… e anche in quella dello stregone bastardo ha avuto la sua importanza!

  3. Direi che il viziaccio di intrecciare le vite dei personaggi fra loro è un’usanza diffusa nelle TdA…

    Che aspetti a scrivere la presentazioncina di Alehandro da mettere a lato?

  4. La faccio stamattina… dovrei affrontare l’argomento “potenziale eccitatorio post-sinaptico”, ma penso che scriverò d’altro…

  5. Bello….il Piccolo Alheandro!!! Che carino!!!
    L’ora di lottare è giunta per Noctulis…:P

  6. Finalmente, il mio computer, il mio schermo, Mozilla… Ora posso leggere!!!! Noctulis sei un mago (con le parole. Se poi sei proprio come Desmortes non lo so)

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