Fratello

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Era passato qualche giorno dalla missione alla ex prigione imperiale e le giornate nell’accampamento dello Spiantato sembravano essere iniziate come al solito, ognuno dedito ai propri compiti sin da prima mattina… solo che non tutto andava come doveva.

Il pane di Lucius non lievitava e il forno lasciava i biscotti crudi o bruciati, facendo imprecare il fornaio sempre così preciso e puntuale.

Non andava meglio a Padre Lince: durante uno dei suoi sermoni con cui ispirava fede e speranza la bilancia usata nel rito non rimaneva in equilibrio, presagendo catastrofi e sciagure.

Sigrun cercava di istruire i Galeotti con il suo solito piglio, ma sembravano sempre più nervosi e scocciati, il che rendeva le missioni un vero inferno. Astra ed Estrella erano intente nel ricopiare tutti i documenti e le informazioni trovate nell’ultima missione, ma il pennino aveva colato inchiostro ovunque, rendendole illeggibili. Anche Filomena e Allan sembravano vittime della stessa sfortuna: alla prima si scioglievano tutti i fiocchetti durante l’allenamento, impacciandone i movimenti, mentre la lancia di Allan perdeva la punta senza motivo apparente. John aveva acquistato una nuova partita di Rum a ottimo prezzo che sembrava un vero affare, ma ogni bottiglia aperta aveva un forte sapore di muffa e aceto e ciò faceva disperare il pirata. Meglio non era andata a Hakim: era rimasto una notte intera nella foresta, terrorizzato perché nella raccolta di cibo si era impigliato in un cespuglio che secondo lui lo aveva “abbrancato”. Antares era presa da un tic per cui ogni volta che si nascondeva starnutiva rumorosamente e infine Ranjan stava subendo talmente tante perdite giocando d’azzardo che di lì a poco sarebbe stato costretto a scommettere anche le mutande o il Piccolo, nella mancanza di quest’ultime.

Le giornate erano accompagnate solo dal suono delle faccende e delle imprecazioni: al tramonto erano tutti talmente sfiniti che non vedevano l’ora di andare a dormire, nella speranza di riprendersi da questo periodo no che li aveva colpiti.

Arrivata la sera chi poté si ritirò da solo nella propria tenda, riscaldata dal braciere posto all’interno, mentre torce e falò illuminavano l’esterno. Oltre alle vedette, solo una figura imponente faceva il giro di ogni angolo del campo per vedere che fosse tutto in ordine e si fermò di fronte all’ultima tenda, tutta colorata e adornata da una miriade di oggetti strani. Balthazar si mise le mani sui fianchi e aggrottò la fronte per i suoni stonati che provenivano dall’interno e con un sospiro si decise ad entrare, spostando il pesante lembo d’entrata.

All’interno tutto era debolmente illuminato dalla calda luce delle lanterne, mentre da un lato un braciere con canna fumaria scaldava l’ambiente. Caldi tappeti isolavano il fondo della tenda e il giaciglio era coperto da leggeri tendaggi di ogni colore e provenienza. Su un tavolo stava una specie di mobiletto da cui spuntavano una parrucca e una barba finta, occhiali di varia foggia e colore, più polveri e creme cosmetiche. Su uno scranno vicino alla lanterna stava Cyra con sguardo concentrato che strimpellava la sua Liutarra nella vana speranza di accordarla. Non si era accorta della presenza del paladino e quest’ultimo si mise a osservare il suo solitamente ciarliero e attento Cadetto. Il variopinto cappello era posato sul tavolo e, dato il volto completamente scoperto, Balthazar poteva vedere che gli occhi arrossati erano circondati da profonde occhiaie, mentre l’espressione era ammantata da un velo di tristezza che ormai da un po’ di giorni l’accompagnava. Aveva cercato di darle più spazio possibile, poiché alla fine la donna portava comunque avanti i suoi compiti, ma senza gli schiamazzi e l’allegria che da sempre l’avevano contraddistinta. Si avvicinò a uno degli strani strumenti che pendevano dal soffitto, una serie di campanelle di varie dimensioni, e ne urtò una producendo un suono acuto, ridestando così la barda dai suoi pensieri. Vedendo Balthazar sorrise, ma non era uno dei suoi soliti sorrisi illuminanti e non raggiungeva gli occhi. Con cura posò il liuto per poi in tutta fretta prendere una tovaglia, avvicinare la brocca e bicchieri che erano sul tavolo, lasciando così intravedere un vassoio con arrosto e verdure cotte sotto la brace.

 – Oh ciao Balthy, non ti avevo sentito, scusami! Vieni vieni, accomodati pure, mi hanno appena consegnato la cena, hai mangiato?

 – No, ancora no.

  – Allora mangiamo assieme, alla fine ne hanno portata più del solito! Vieni accomodati.

L’Alfiere si sedette vicino al Cadetto e cenarono in un silenzio rilassato. Tra un boccone e l’altro Balthazar continuava a osservare i cambiamenti nella piccoletta: notava come più che mangiare spostava il cibo nel piatto, prendendo solo piccole forchettate. Tirando giù l’ultimo boccone dell’arrosto bruciacchiato (anche quello…) e bevendo un lungo sorso d’acqua, il paladino si avvicinò con lo scranno.

 – Cyra, penso di averti lasciato cuocere nel tuo brodo per abbastanza tempo, ma sono preoccupato per te. Vuoi parlarne?

La barda spalancò leggermente gli occhi e, distogliendo lo sguardo dal piatto, lo alzò sul suo Alfiere. 

Lo guardò con gli occhi lucidi e il labbro tremulo.

 – Ti chiedo scusa Balthazar, non volevo farti preoccupare, mi scuso tanto se ho mancato ad alcuni dei miei ruoli nella Masnada…

L’Alfiere alzò la mano per interromperla. 

 – Sappi che non ho rimostranze da farti sul tuo lavoro o altro, lo stai facendo sempre in maniera impeccabile, ma mi manca la solita Cyra casinista e combinaguai… 

Cyra annuì, cercando di trattenere le lacrime.

 –  Per quanto io sia duro come il sasso spicco di Ramana penso che tutti abbiamo notato che sei estremamente turbata. Ormai ci conosciamo da un bel po’ di anni, no? Lo sai che con me puoi parlare?

La barda annui vistosamente, ma cominciò a singhiozzare rumorosamente mettendosi le mani sul viso per coprirsi, mentre l’Alfiere la prese in un mezzo abbraccio posando la testa sul lato della fronte.

  – E’ difficile Balthazar, è così difficile… sono una stupida stupida stupida, una perfetta e grandiosa stupida. Il mondo è uno schifo, ma perché continuo affezionarmi alle persone? Perché? Ormai alla mia età dovrei aver imparato, sono vecchia per queste cose. Non affezionarsi, non creare cose troppo profonde, tanto poi le cose vanno tutte a puttane o comunque alla gente non gliene frega un cazzo, no??? 

 – Cara Cyra, purtroppo non sempre si riesce a controllare i sentimenti… Guarda me, vedo quel viscido e altezzoso pallone gonfiato e mi metto a fare… a fare…
La barda tirò su col naso, facendo un mezzo sorriso.

 – … il Cazzone?

 – … Si, il cazzone. E lavati la bocca, imprechi troppo, frequenti troppi brutti ceffi… per quanto tutto possa andare male sappi che se hai bisogno sono qua, lo sai ormai, no?

 – Va bene, ma non è colpa mia se impreco, ormai vivo da cinque anni nella colonia penale! Comunque grazie… Fratellone…

 – Di niente sorellina fastidiosa. Va un pochino meglio?

  – Così e così, ma andrà sempre meglio… però rimani un altro po’ con me che se no mi ripiglia male e ripenso ai deficienti… Giochiamo a dama?

 – Ma la dama fa schifo! Gli scacchi?

 – Mica li abbiamo tutti i pezzi di quello, non ti ricordi che appena notasti che stavo barando ribaltasti il tavolo con la scacchiera?

  – Ma anche te barare con me! Cosa ti aspettavi? 

 – Aspetta aspetta… ho un gioco che è un pezzo che non facciamo, quello che viene dai ducati del Nord, ho i Fati!

 – E Fati siano!

I due rimasero tutta la sera a giocare, tra una risata e un’imprecazione trattenuta, cercando di far passare i cattivi pensieri. 

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