Rewind – prima parte

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Il sole non era ancora sorto, ma un chiarore perlato stava già lambendo le dolci colline valdemarite, brillando lieve sul lago. Eliot era sveglia già da un po’ e rimirava distrattamente la bellezza dell’alba ancora incerta, stringendosi nello scialle.

“…Vivi mi dispiace, non ce l’ho certo con te… e in realtà non ce l’ho con nessuno, però penso sia la cosa giusta da fare…”

Gli altri viaggiatori intorno al bivacco dormivano della grossa, incuranti del fatto che presto la luce del sole li avrebbe travolti: erano una compagnia di caballeros in cerca di guadagni in terra valdemarita e la sera precedente avevano stretto un accordo che li avrebbe tenuti impegnati di lì a qualche giorno per almeno un anno, quindi avevano festeggiato ingozzandosi come oche all’ingrasso e bevendo tutto l’alcool che avevano con loro, e non era poco. Eliot aveva chiesto ospitalità presso il loro bivacco in cambio dei suoi servigi di cuoca ed era l’unica rimasta sobria.

“Voglio solo finire ciò che mi ero proposta di fare fin dall’inizio e avere un po’ di tempo per riflettere su quel che è successo…”

Era passato circa un mese da quando era ripartita da Fantasmagoria, stavolta non con una nave diretta a Port Anchor. Aveva salutato Vivi con un abbraccio, aveva rivolto un ultimo, eloquente sguardo ad Hari ed era salita su un brigantino diretto a Erigas. Durante il viaggio aveva parlato pochissimo e, quando non aveva dato una mano al cambusiere, era rimasta più che altro per conto suo a guardare l’immensità del mare che si stendeva dinanzi alla nave.

“Però sai quale sarà la meta, giusto? Quindi ci rivedremo presto…”

Una volta sbarcata aveva salutato tutti rapidamente e si era messa in viaggio, andando dove la portavano i piedi, visitando paesi e città da nord a sud e spingendosi gradualmente sempre verso est. Voleva imparare il più possibile, conoscere meglio il mondo, parlare con tutti quelli che avevano voglia di scambiare due chiacchiere, senza mai raccontare qualcosa di importante su se stessa.
Di sicuro non avrebbe mai parlato di ciò che l’aveva allontanata dalla casa di Hari e Vivi Von Khratos, che ora in teoria era anche casa sua.

***

Quando aveva capito di cosa stesse parlando la voce che aveva sentito in testa a Fantasmagoria, Eliot non si era nemmeno posta il problema di cosa fosse più prudente e sensato fare. Aveva agito come se il suo destino non la riguardasse, come se fosse la cosa più naturale al mondo. Aveva ceduto qualcosa di sé per le persone a cui voleva bene.
Era normale, no? Chiunque lo avrebbe fatto. Dopotutto, nella sua comunità era così che si faceva: aiutarsi l’un l’altro, mettere tutto in comune, prendersi cura gli uni degli altri fino ad annullare le proprie necessità.

Però la Madrepatria era diversa e Eliot lo sapeva. Se ne era resa conto fin dal primo momento in cui aveva messo piede nelle cosiddette “terre civilizzate”. Per questo si era ripromessa di esser poco più che un’osservatrice, di dare una mano senza farsi davvero coinvolgere in legami che non era certa di voler coltivare. Voleva osservare tutto con occhio il più possibile distaccato e imparziale e farsi le sue idee in merito alle questioni che le si presentavano davanti.
Ma poi Vivi era entrata nella sua vita come una ventata di brezza di primavera. Ad Hari aveva affidato confidenze difficili da gestire. Era stata “adottata” da Khartas, si era affezionata alle vicende dei suoi protagonisti, aveva cercato di fare la sua parte, soddisfatta e in certa misura orgogliosa di poter fare la differenza in qualche modo.
E all’improvviso, mentre stava pian piano trovando il suo posto nel quadro, le azioni di Hari l’avevano riportata alla realtà: i legami a cui lei era abituata non esistevano, non potevano esistere a Caponord.

Malenki forse aveva visto giusto in questo: le persone sono sacchi di carne, a volte abbastanza sgradevoli da avere intorno. Mantenere le distanze era una forma di sopravvivenza.

E adesso non sapeva più cosa pensare. Si era obbligata ad azzerare i suoi pensieri, a non ripensare a niente di quello che era accaduto nell’ultimo anno e a ricominciare il suo viaggio come aveva pensato di affrontarlo fin da principio. Così, sperava, avrebbe sgombrato la mente dalle emozioni violente che le si agitavano dentro e che non voleva riconoscere come proprie. Ma si rendeva conto che era un espediente a scadenza molto breve.

Tuttavia, che non si potesse tornare indietro le era già palese: aveva provato a riporre tutto ciò che le poteva ricordare i suoi amici dentro la sacca da viaggio per tenere a distanza il ricordo dei loro volti e delle loro voci, ma non era riuscita a metter via anche il dono fattole dall’Arconte Aleksej. Aveva quindi deciso di indossarlo sopra la camicia, in modo che la superficie levigata del ghiaccio non fosse a contatto con la pelle, ma ogni tanto si sentiva stringere in un brivido freddo e caldo insieme che la faceva sussultare all’improvviso. Il respiro di Shiva non l’avrebbe mollata tanto facilmente. E ogni tanto le pareva di sentire anche l’alito bollente di Krasni Volk che le soffiava sul collo. No, decisamente non era una situazione che potesse durare a lungo.

Nonostante tutto, aveva resistito quasi un mese alla tentazione. Adesso però non c’era altro da fare.
Sospirando, Eliot tirò fuori il ciondolo fatto di ghiaccio purissimo che portava al collo e lo guardò attraverso il sole nascente del mattino. Lo rigirò con delicatezza fra le dita, trattenendo il fiato, come maneggiando una reliquia preziosa. Per un attimo le parve di scorgere una sottile crepa in esso, ma era solo un’ombra che le giocava un brutto scherzo. Non poté fare a meno di notare che quella svista fugace le aveva causato un batticuore da cavallo terrorizzato inseguito da un branco di lupi famelici.
Poteva combattere l’idea quanto voleva, ma era indiscutibile: i sentimenti che provava per le persone che aveva conosciuto nell’ultimo anno erano ancora tutti lì, intatti nel profondo della sua anima. A vedere una crepa peraltro inesistente le era letteralmente esplosa la testa: era quindi successo qualcosa a Lucien? Ilay? Aleksej? (E, soprattutto, Aleksej?) (Ma perché poi soprattutto Aleksej? Non le era chiaro.)
Adesso sentiva il bisogno di scrivere a Vivi e assicurarsi che stesse bene, spremere le biblioteche di Caponord in cerca di qualche straccio di idea per liberare l’Arconte Vassilj e la Gospodin Zoya dalla prigionia dello zverinet, parlare con Malenki, sapere se Hari…

No. Per la miseria, così non va bene.

Hari l’aveva ferita e anche questo era un fatto. La faceva stare male. Aver fiducia e sentirsi traditi erano due facce della stessa medaglia e non si potevano separare in nessun modo. Quindi meglio non avere legami, no? Com’era la cosa dei vasi preziosi… meglio tenere il vaso chiuso in un armadio piuttosto che appoggiarlo su un tavolino alla portata di scrolloni malevoli o maldestri. O meglio non avere nessun vaso da far rompere al primo arrivato.

Strinse forte la scheggia di ghiaccio fra le mani e inaspettatamente un freddo penetrante la pervase in tutto il corpo.
Vaso dentro l’armadio… vaso sul tavolino… nessun vaso… che cosa avrebbe dovuto fare?
Se decido che mi importa davvero di lui, di tutti loro…

Rimase così finché il sole non si innalzò al di sopra della linea dell’orizzonte, brillando intensamente sullo specchio d’acqua.

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