Mordian. Mese di Elthrai. Notte fonda.

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– Scusatemi… non vorrei disturbarvi… avevate dimenticato il vostro velo…
Brucialo.
– Prego?
– Ho detto che devi bruciarlo! Cos’è, Syddin, sei diventato sordo?
– Ma dama Melisenda…
Mel’Ishnd.
– Come, scusate?
– Ho detto Mel’Ishnd. Melisenda è morta.
– C-come avete detto?
– È morta.
***
Hakù e Noirceur non avevano potuto ricevere la notizia che due giorni dopo il ritorno della mesta compagine presso il tempio di Sirio. I moli di Mordian avevano continuato a vomitare cadaveri anche dopo che i bàigh erano stati definitivamente annientati: in mezzo a ciò che rimaneva delle membra consumate dal mare dei non morti, i due devoti al divino Kainus Yano avevano rinvenuto i resti mortali di molti sventurati mercanti, magazzinieri e civili. Uno spettacolo tremendo, e le milizie cittadine a stento si trattenevano dal fuggire urlando dinanzi a tutto quell’orrore.
Ma loro erano ormai abituati a questo genere di scenario di disfacimento: infatti, avevano raccolto con deferenza ogni frammento di quei corpi straziati in decomposizione e avevano officiato delle rapide sepolture oltre i confini della città, lasciando alle autorità locali il compito gravoso (ma sicuramente meno sgradevole) di avvertire le famiglie, i compagni, gli amici di coloro che si era riusciti a riconoscere.

Quando finalmente si erano concessi di ritornare presso la biblioteca per aver un resoconto dettagliato dei fatti occorsi alla Rosa Nera (di cui avevano sentito versioni più o meno attendibili e confuse), sulla soglia del portone avevano incontrato Rosminta, una degli alchimisti considerati il fiore all’occhiello di Trelven, che era in procinto di accomiatarsi dai novizi i quali, evidentemente, l’avevano ospitata per qualche giorno.
Era stata lei a raccontare per filo e per segno ai suoi due compagni tutto l’accaduto, senza tralasciare nemmeno un particolare.
E fu quindi lei a informare Hakù del fatto che, in quel momento, Alehandro Maquin’Daar giaceva supino su uno dei letti smessi dell’ala est dei dormitori, in stato assolutamente catatonico ma di nuovo in vita.
– Quanto a Melisenda, mastro Hakù, – concluse Rosminta sistemando il suo laboratorio da viaggio e incamminandosi verso lo Chateau du Dragon d’Or – è meglio che la vediate con i vostri occhi per giudicare le sue condizioni.

Il samurai non aveva alcun dubbio che l’avrebbe trovata a vegliare il suo migliore amico, quindi si incamminò a passo deciso verso i dormitori. Ma, in cuor suo, non era del tutto sicuro di sapere cosa aspettarsi, e ebbe ulteriore conferma di questa sensazione quando Syddin, piuttosto trafelato, lo bloccò a metà del salone principale. Fra le mani stringeva il velo marrone che sua sorella non si toglieva mai.

***
Nella stanza c’erano solo Alehandro, disteso supino su un giaciglio, e Melisenda, seduta su una sedia al suo fianco. Su un basso tavolino accanto a lei giacevano abbandonate le lenti scure che le permettevano di vedere il mondo attorno a lei.
Alehandro aveva uno sguardo appannato, assente, ma indubbiamente vivo. Fissava il soffitto, immobile, come se fosse ancora immerso nel sonno più profondo. Non sembrava accorgersi di nulla attorno a lui: lo shock del ritorno alla vita doveva esser stato difficile da sopportare per la sua mente.
Sua sorella gli stava dando le spalle, pur tuttavia il samurai sentiva che c’era qualcosa di diverso nel suo silenzio. Dopo essersi portato accanto a lei, ne poté osservare le mani contratte sulla sponda del letto, le labbra strette e la postura rigida, fino a che la sua attenzione non si spostò allo sguardo che dominava il suo volto, incorniciato da lunghi capelli scuri che poche persone potevano dire di aver visto, e quasi nessuno aveva mai toccato.
Non era sicuramente dolore quello che colmava gli occhi di Melisenda. Era qualcosa che non aveva mai avuto modo di percepire in lei, nemmeno durante i suoi scatti d’ira più violenti, nemmeno quando era stata al colmo della disperazione, nemmeno quando fendeva le onde dell’oceano con tutta la rabbia folle che le avvelenava lo spirito e che lui, Hakù, non era mai riuscito a trovare il modo di arginare.
Era qualcosa di oscuro, di malato e di spietato al tempo stesso.

Il samurai aggrottò le sopracciglia, indeciso sul da farsi.
Cercava di capire cosa passasse per la testa a sua sorella, e perché la morte di Alehandro l’avesse così trasformata. Rosminta gli aveva raccontato per filo e per segno come aveva reagito a caldo, e venire a sapere che aveva addirittura minacciato una sua consorella di passarla a fil di katana gli stava dando molto da pensare.
No, Melisenda  non era mai stata così. Non avrebbe mai fatto una cosa simile.
Però a pensarci bene c’era stato un precedente.
Era stato quando avevano convocato lo spirito del suo maestro, e lei aveva ritrovato la memoria.
Ricordava benissimo che, se non fosse stato per qualche misterioso motivo a trattenerla, sua sorella l’avrebbe ucciso su due piedi senza pensarci su.
Ma non l’aveva fatto. Ne aveva avuto il modo e l’occasione, ma si era fermata, rifiutandosi di portare a termine ciò per il quale, anni prima, avrebbe venduto l’anima pur di aver la possibilità di fare. Così come, nonostante fosse sconvolta, qualcosa dentro di lei le aveva fatto gettar via la spada prima di scagliarsi ad aggredire Miralys.

La chiave di tutto doveva essere Alehandro, comunque. Era stato lui a restituirle la gioia di vivere quando aveva perso la memoria, a occuparsi di lei, a difenderla a qualunque costo. Insieme a lui doveva esser tornata ad essere la fanciulla serena che era stata prima che Kasumoto l’abbandonasse.
Ecco quale poteva essere il senso delle parole che gli erano state riferite.
Già la morte di William si era portata via un bel pezzo delle sue speranze per una vita normale, tranquilla, come una qualsiasi altra donna. L’unica cosa che le rimaneva dei suoi giorni felici e spensierati era in mano ad Alehandro. La morte di quest’ultimo significava farla sprofondare nuovamente negli anni bui in cui pensava solo a come trovare e uccidere Kasumoto e il bambino che aveva preso il suo posto nella vita di suo padre. Significava vederla appassire, annegare nei suoi antichi propositi di insaziabile vendetta, sputare sopra tutto quel che aveva faticosamente fatto riemergere dalle ceneri di una vita che era stata così spietata con lei, lasciarla scivolare in un abisso dal quale non avrebbe mai più potuto tirarsi fuori.
E questo, no, Hakù non poteva permettere che accadesse. Non a sua sorella.
Inoltre, il Fato le aveva concesso di rifarsi daccapo. Di cambiare il suo destino. Di vedere le cose da altri punti di vista. Di imparare ad amare anche il suo fratellastro. E lui ormai per nulla al mondo avrebbe rinunciato al ruvido affetto che lei le mostrava, e per molti buoni motivi.
Non le avrebbe mai e poi mai permesso di allontanarlo da lei, né avrebbe mai tollerato che lei si perdesse nel vortice del suo odio.

– Mitzuko.
Nessuna risposta alle parole del Dragone di Giada.
– Solella mia.
Silenzio.
– So che mi senti.
Silenzio.
– Vollei che fosse ben chiala una cosa.
Silenzio.
– Io e te siamo una famiglia.
Silenzio.
– E non intendo accettale nessun tipo di obiezione su questo fatto.
Silenzio.
– Sul mio onole.
Ancora silenzio.
– Sappi che mai, mai e poi mai lascelei malcile la pelsona che pel mio padle ela la gioia più immensa.

A queste parole qualcosa in fondo agli occhi della veggente si trasformò. Fu come se l’oscuro sentimento che dominava il suo sguardo perdesse improvvisamente consistenza, appannandosi, lasciando spazio a un’espressione di smisurato (ma ben più naturale e comprensibile) dolore. Una lacrima sottile le rotolò giù da una guancia, perdendosi immediatamente fra le pieghe dell’abito spiegazzato che portava.

Dopo aver delicatamente appoggiato il velo sul tavolino accanto al letto, Hakù aveva fatto per andarsene, ma poi era tornato sui suoi passi, lentamente. C’era ancora qualcosa. Qualcosa che non poteva rimandare oltre.

– C’è un’altla cosa che devi sapele.
Silenzio.
– È ploplio come ti dicevo qualche luna fa: colui che segue il bushido ha delle pliolità, nella vita, ed esse sono disposte in oldine pirlamidale. La famiglia occupa semple e comunque il plimo posto, tlanne quando il samulai ha un signole. In quel caso, i suoi oldini vengono semple sopla ogni altla cosa.
Silenzio.
– Questo significa che nostlo padle non poteva abbandonale la sua famiglia pel nessun motivo se non voleva peldele l’onole, a meno che non fosse stato il suo signole a oldinalglielo.
Silenzio.
– E il suo signole ela per folza di cose qualcuno che viveva vicino a lui, nel Deselto.
Silenzio.
– Nostlo padle ela sincelo, quando ha detto che eli la sua gioia. Non ti avlebbe lasciata sola per nessun altlo motivo che non fosse stato un oldine indelogabile del suo signole.
Questa volta ottenne una reazione. Un filo di voce arrochito, a malapena udibile.
– Ne sei assolutamente certo?
– Sul mio onole, Mitzuko. Te lo giulo sul mio onole e su quello di tutta la nostla stilpe.
– Allora, – adesso la voce tremava – io so chi era il suo signore.

Melisenda si alzò dalla sedia, lentamente. – Ma è una verità… una consapevolezza… che è troppo grande da accettare, per me… troppo gr…

Non riuscì a terminare la frase. Improvvisamente si portò una mano alla tempia e una al basso ventre, soffocando a stento un grido. Si accasciò a terra, silenziosamente, come un fiore senza più radici.

***

La prima cosa che ad Alehandro parve di vedere attorno a lui quando finalmente riprese completamente coscienza di sé fu un uomo che gli sembrò essere Hakù Sushimada che raccoglieva da terra un grosso sacco di stoffa colorata e correva fuori dalla stanza, lasciandolo solo.
Lì per lì pensò di esserselo immaginato.
Di lì a poco, però, avrebbe avuto modo di cambiare idea.
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Commenti

commenti

7 comments

  1. oddio, mi fa troppo ridere Hakù che parla con la elle… non ci riesco, è più forte di me…
    comunque tutto bene? Il male di Mela non ha contagiato anche te, vero?

  2. oh miseria! Ho riletto gli alter ego e ho trovato Melisenda come la veggente cecata. Oh miseria! Se non si è capito mi sto preoccupando. Meno male che non partecipo al gioco di ruolo o sarei già morta…
    Ma Hakù è davvero obeso? E io che lo immaginavo quasi belloccio…

  3. Bello…che caro fratellino.. ma prima o poi si scoprirà cosa ha o avuto mela…sigh
    Comunque, Mira, la tua consorella, non se l’è presa troppo per la spada puntata alla gola…sai, oramai è abituata 😛

  4. anima: no, no, io sto bene! avevo un patema esamifero sullo stomaco, ma ora è passato…. evviva!!!
    in effetti la pora Mela (in via di cecamento, via, per il momento è solo mooooolto miope…) non se la passa bene, e fra tre settimane (anzi, meno) c’è un altro live, dove il Bota (il master supremo) mi ha intimato di giocare per forza… evidentemente qualcuno le vuol male, povera cocca…
    Per quel che concerne Hakù, in realtà non è obeso, però è il pg del mio omarino che non è proprio un fuscellino… tutte le descrizioni sono scherzose (anche se i pg hanno ben poco da scherzare!!!) e la sua viene dal fatto che qualche mese fa gli raccontavo le storielline prima di andare a letto che parlavano del Samurai Obeso e del suo spirito guida pinguino… e da lì… 😀

    Miralys: mi sa che lo scoprirò fin troppo presto… ma te quando posti qualcosa?

  5. sigh, dal Bota non ho avuto risposte per quanto riguarda la situazione politica di Arath nell’ultimo ventennio.
    Ma penso che temporalmente dovrebbe essere corretto, dato che Mira ha 21 anni e il regno eterno ne ha 20…in teoria sono tutti avvenimenti avvenuti durante il regno eterno 😛
    comunque presto, presto 😛

  6. Mira: sì, allora credo di sì; l’unica cosa che rimane da appurare è da quanto tempo il buon vecchio Lupo Nero è a capo di Arath… non è scritto nell’ambientazione, quindi deduco che, se non è fra il materiale scaricabile di inizio campagna, è tutto nella testa del Bot…

    Anima: e guarda, è stata una durissima lotta!!!

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