IV – Mordian. Quinto giorno del mese di Alhazhar. Tarda serata.

Share Button

C’era un bel calduccio nella stanza. Le due donne sedevano l’una di fronte all’altra, con una tazza fumante di profumato infuso di gelsomino fra le dita. Sembravano tutte e due estremamente rilassate e tranquille, cosa rara per entrambe, di quei tempi.

– Non so come tu abbia fatto a convincermi a restare, Melisenda. Ma, a dire il vero, ammetto di non essermi pentita di esser rimasta per la notte.
– Piuttosto che lasciarti partire con questo tempaccio infame, avrei chiamato a raccolta tutti i novizi per rinchiuderti nella dispensa… no, via, goditi un po’ di tranquillità pure tu, Noirceur… dopotutto, ce la siamo ampiamente meritata.

La combattente del divino Kainus Yano, il dio della Morte, si sistemò meglio fra i cuscini di vecchia stoffa sparsi a terra, dinanzi a una bassissima tavola rudimentale, ottenuta con quattro pietre e qualche asse. Nonostante la stanza fosse piccola (un po’ più accogliente di un ripostiglio), spartana e arredata con materiali di recupero, la sua inquilina aveva cura di tenerlo pulito e piuttosto in ordine: aveva cercato di farlo rassomigliare il più possibile a quella che doveva esser stata la sua casa, o meglio, la sua tenda, all’epoca in cui viveva ancora nel Deserto Grigio, fra la sua gente. Noirceur ci mise un po’ per far abituare le sue gambe a starsene incrociate, ma senza armatura (diligentemente sistemata su un giaciglio vuoto) e senza il pesante mantello si sentiva decisamente più libera. Da molto tempo non si sentiva così a suo agio, e dovette convenire con se stessa che, per quanto osservasse con distacco le cose di questo mondo, tra cui i piccoli piaceri della vita, questa era una sensazione gradevole da provare.
In quel preciso istante si rese conto che anche la sua amica, ormai da molto tempo, non si concedeva nessun altro svago che quello: prendere un tè, in solitudine, chiudendo fuori dalla porta della sua stanza per qualche prezioso attimo tutte le preoccupazioni che la stavano rendendo sempre più insonne e inquieta.

Rimasero per qualche istante in silenzio. Melisenda era girata di tre quarti rispetto a Noirceur per consentire a quest’ultima di scoprirsi la bocca per bere senza esser vista: la sacerdotessa rispettava la scelta delle devote a Kainus Yano, ovvero quella di coprire il loro volto di fanciulle e mai esser vedute da altri che il proprio compagno, se mai ve ne fosse stato uno (e chi avrebbe mai potuto scegliere come sposa una donna che aveva rinunciato non solo alla sua femminilità, ma anche al conforto del calore della Vita?), e la comprendeva in parte perché anche lei, un tempo, si era ritrovata sulla testa un velo impenetrabile a difesa dei suoi lunghi capelli neri. Velo che si ostinava a portare, anche se in modo meno rigoroso, anche adesso che, fino a prova contraria, non poteva più considerarsi la giovane Prima Veggente della sua gente, poiché non aveva scoperto ancora nulla che le lasciasse sperare che la sua tribù non fosse stata completamente sterminata dai predoni, quel giorno di tanti anni prima.
Noirceur notò che Melisenda guardava avanti a sé, come concentrata su qualcosa di indefinibile. Non che l’avesse mai vista molto felice e chiassosa (forse per questo si trovava bene con lei), ma le sembrava che la situazione fosse anche peggio del solito. La conosceva soltanto da qualche luna, ma quel tempo le era stato sufficiente per comprendere quanto ancora l’anima della sacerdotessa fosse lacerata dallo stesso vuoto che un tempo aveva attanagliato anche lei.

Forse questo dipendeva in parte da Hakù e dalla sua scelta: nemmeno due giorni prima, insieme a Marek, il migliore amico del samurai, le due ragazze avevano contribuito a siglare il rito per la rifondazione di un antichissimo ordine, i Custodi del Crepuscolo (del quale Hakù era per l’appunto diventato il Tatsujin, ovvero il Gran Maestro) e Noirceur stessa era interessata a entrare a farne parte al più presto. Non che fosse qualcosa da augurare ai propri cari, la ragazza se ne rendeva ben conto: se già la sua vita e quella di Hakù erano votate al sacrificio e alla strenua lotta per la pace dei defunti, abbracciando questa via le loro esistenze sarebbero state definitivamente senza luce né conforto, e ogni loro sforzo, finché avessero avuto un alito di vita, sarebbe stato diretto alla custodia degli oggetti maledetti, la difesa e l’esorcismo dei luoghi infestati, la distruzione delle anime non morte corrotte dal Male. No, non erano cose da augurarsi a una persona cara, decisamente.
Per questo aveva avuto l’impressione che Melisenda avesse fatto di tutto sia per aiutare che per dissuadere il fratello dal suo proposito, e in questo secondo intento ovviamente aveva fallito. Nonostante fosse dichiaratamente contraria, aveva svolto il suo ruolo di ricercatrice e di codificatrice con la solita efficienza e cura dei dettagli; ma era evidente che, questa volta, doveva aver sofferto molto nel farlo.
Mentre viaggiavano verso Mordian, le due donne avevano discusso e formulato ipotesi sugli argomenti più disparati, ma non una parola era stata fatta né su Hakù né sul destino che d’ora innanzi lo avrebbe atteso. Ogni volta che si riavvicinavano all’argomento, Noirceur notava un’ombra velare il volto della compagna, e si affrettava a cambiare discorso.

All’improvviso, la sacerdotessa dell’Occhio di Sirio ruppe il silenzio.

– Noirceur… posso chiederti una cosa?
– Ma certo, dimmi pure.
– Perché sei diventata ciò che sei adesso?

La fanciulla smise di sorseggiare il suo tè per osservare l’amica. Non le stava ponendo quella domanda per soddisfare la sua curiosità, certo. C’era qualcos’altro che la tormentava, anche se Noirceur non avrebbe saputo dire cosa fosse di preciso.
La paladina aprì la bocca per iniziare a parlare con il suo strano accento: con sua sorpresa, nonostante fosse una persona molto, molto riservata, si accorse che non le sarebbe stato difficile, questa volta, raccontare un pezzo della sua dolorosa storia. Vuoi per la compagnia, vuoi per il luogo, si sentiva stranamente ben disposta d’animo per aprirsi.

– Purtroppo, non posso raccontarti tutto filo per segno… nemmeno io ricordo bene ciò che mi è successo, e nulla so di ciò che era prima la mia vita… suppongo di aver avuto un’esistenza tranquilla, come tutte le ragazze della mia età, e di aver vissuto felicemente nel villaggio dove sono nata. Sì, credo che fosse proprio così…
 
Sorseggiò di nuovo il tè. Intanto che parlava, si accorse del distacco incredibile che si era creato tra se stessa e quegli eventi. Niente riusciva più a ferirla, nemmeno la consapevolezza di aver perso i propri ricordi felici. Erano andati, persi, e non desiderava ritrovarli. Il vuoto che avevano lasciato apparteneva al passato.
Le venne in mente che, per qualche anno, anche Melisenda era stata vittima di una forte amnesia, ma al contrario aveva tentato di tutto per riprendersi tutti i suoi ricordi, uno per uno, e quando c’era riuscita (Noirceur ricordava benissimo quando era stato: c’era anche lei, quel giorno, a Pian Moresco…) nello scrigno della sua memoria aveva ritrovato soprattutto oscurità, odio antico e indomabile e, amara come il fiele, l’ombra della Morte. E distaccarsi da tutto ciò le era ormai impossibile.
Pensando a tutto ciò, Noirceur non sapeva quindi se considerarsi fortunata o meno.

– … fatto sta che un giorno ero andata al fiume, non ricordo per quale motivo… a lavare dei panni, a prender l’acqua, non so dirti… in quel momento, il villaggio venne attaccato da un’orda incredibile di creature mostruose, deturpate da ferite antiche e dagli effetti della decomposizione avanzata, che sembravano morte in tutto e per tutto ma ancora si muovevano… non morti, certo, anche se lo scoprii solo dopo… erano stati risvegliati alla non-vita dai Serpens tramite i crani dei corvi crociati… immagino ricorderai che li abbiamo visti anche di recente…
La sacerdotessa sorseggiò il tè ad occhi chiusi, annuendo silenziosamente.

– E non si salvò nessuno, tranne me. Mi gettai involontariamente da una rupe, inseguita da uno di quegli abomini, e in fondo ad essa fortunatamente scorreva il fiume Kiren… Quando riaprii gli occhi, ero distesa su un giaciglio al tempio di Norrock, bendata come una mummia, e i sacerdoti del divino Yano si stavano prendendo cura di me… ci ho messo un bel po’ di giorni per riprendermi, però appena riuscii a reggermi in piedi decisi di… voglio dire, presi coraggio e…

Noirceur si interruppe. Avrebbe voluto proseguire, ma qualcosa la bloccava. Ricordare ciò che era successo dopo le provocava ancora dolore, inspiegabile per lei che credeva di esser riuscita a distaccarsi da tutto. Abbassò lo sguardo da dietro la maschera e le parole le morirono in bocca senza che lei potesse evitarlo.
Non voleva ricordare dove era andata, e cosa aveva visto. Non voleva ricordare la tremenda sensazione che l’aveva travolta, quando davanti a sé non vide nulla, assolutamente nulla: dove prima c’era stato un villaggio piccolo ma pieno di vita, adesso non c’erano neppure più i cadaveri. Nessun volto a cui dare un nome, nessuna tomba su cui posare un fiore. Solo polvere, rovine e il silenzio. Pensare a quel sorte fosse toccata ai corpi senza vita dei suoi genitori, amici, parenti ancora le stringeva il cuore. Avrebbero ingrossato le fila delle marionette non morte dei Serpens… avrebbero ucciso, distrutto, razziato finché il feticcio che li teneva in vita non fosse stato fatto a pezzi…

– Ho capito. Non dire altro.

Noirceur si riscosse e annuì, stringendo leggermente le labbra e terminò la sua porzione di infuso, riponendo poi la tazza sul rozzo tavolo. Si chiese se la sua amica l’avesse interrotta per delicatezza nei suoi confronti o avesse davvero capito cosa era successo in seguito. Dopotutto, si disse, Melisenda era davvero una veggente coi fiocchi, quando voleva. E questo era particolarmente vero quando i soggetti delle sue divinazioni erano persone a lei care.

– Prendi anche un paio di quei biscotti, Noirceur.
– Non so se è il caso… forse dovrei…

La veggente si voltò verso di lei, sorridendo. Sembrava divertita, o piuttosto materna: la ragazza non avrebbe saputo dirlo con certezza.

– Forse dovresti pensare, ogni tanto, che sotto a quell’ammasso di stoffa che ti ricopre c’è comunque una creatura di sesso femminile che ha tutto il diritto di esistere… o sbaglio? Beh… che tu vi abbia rinunciato o no, ogni tanto qualche soddisfazione concedigliela, poveretta…

Noirceur non poté trattenere un sorriso. Dopotutto, la sua compagna le piaceva anche quando tirava fuori il retaggio che sette anni di vita circense le avevano lasciato. Era fievole, ma c’era. Autoironia. Sarcasmo. Un certo gusto per la punzecchiatura. Ma la paladina si rendeva ben conto che la sua amica viveva una vita non meno difficile della sua: quelle parole erano rivolte a tutte e due. Per questo si ritrovò a poterne ridere.
Rigirandosi la tazza fra le mani, con aria assorta e un sorriso amaro stampato sulle labbra, la sacerdotessa contemplò per qualche istante l’ultimo sorso di infuso, dal quale ancora saliva un refolo tiepido e profumato.

– Pensa che fra qualche minuto saremo costrette a rimetterci a pensare a come segare le gambe dei maledetti quattro re del Sole Nero… pensa a quanti libri dovremo consultare… e pensa che io dovrò ricominciare a scervellarmi su come liberare quel… sì, insomma, mio padre dalla sua prigionia… e che stanotte mi tornerà alla mente che il mio compagno ha scelto di morire… che mio fratello avrebbe bisogno di una balia ovunque vada che lo riempie di scappellotti ogni volta che apre bocca… che dopo due mesi non ho avuto ancora niente che possa rinfocolare la speranza che la mia gente sia scampata al massacro, sette anni fa… che l’unico che… insomma, che Alehandro sarà sicuramente in collera con me… che fra brevissimo la porta si aprirà e comparirà Syddin con un problema da risolvere… pensaci su: se ogni tanto non ci fermassimo a goderci la vita, dove troveremmo la forza di resistere e sopravvivere?

Noirceur stava per dire qualcosa, ma qualcuno bussò alla porta. Al di là di essa, una voce maschile, giovanile e gradevole benché evidentemente imbarazzata, pronunciò alcune parole incerte.

“Dama Melisenda, abbiamo un problemino… metà dello scaffale dei libri di contabilità è crollato… c’era un nido di tarli che non avevamo visto, prima… ehm… potreste…”

Melisenda alzò le spalle, prevenendo un gesto di stupore di Noirceur. Le due donne si sorrisero a vicenda.

– Finisco il té e arrivo, Syddin.

Share Button

Commenti

commenti

4 comments

  1. Ciao Lypsak, ti ringrazio del consiglio. Ho subito scaricato Autorealm. Peccato ci sia solo in inglese, ma va bene lo stesso. E’ fatto parecchio bene ed era da un sacco di tempo che cercavo un editor di mappe carino. Hai mica anche un buon generatore casuale di dungeons?

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.