Saper dire Addio

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Tu vieni da me per guarirmi il cuore
ma siamo divisi, stelle traditrici
Apri il mio cuore, se questo è amor per te
Se questo è destino, la via giusta qual è

Canticchiò mentre il fuoco del campo scoppiettava. La luce delle fiamme trafiggeva il rubino di quell’anello che continuava a rigirarsi tra le mani, quasi stesse eseguendo un rituale mistico, con quell’ultimo ricordo che la legava ancora a Maksim.
Era ancora una notte fresca. Gli ultimi spiragli dell’estate stavano abbandonando la Scacchiera con poca solerzia, rendendo quei momenti privi di luce piacevolmente sereni per il corpo. Eppur per la mente era difficile godere di quegli attimi, soprattutto dopo quel baluginare di eventi, uno dietro l’altro, come un infido gruppo di sventure in processione.

Quella notte Astra non ce la faceva proprio a prendere sonno. Si era rigirata nella branda più volte, respirando affannosamente in preda a reiterati attacchi di panico. Non appena trovava la forza di calmarsi, stringendo a sè lo spadone, si agitava nuovamente. Indubbiamente quella cura, che aveva funzionato per così tanti lunghi anni, aveva perso gran parte del suo effetto.
“I raglioni di Balthazar…” mormorò Sigrun nel sonno. Per un attimo credette di averla svegliata, ma la paladina si girò dall’altra parte.
Abbandonò comunque la tenda, con il cuore tremante e la fronte impregnata di sudore. Non era voluta rimanere oltre neanche per procurarsi qualcosa da mettere sulle spalle. Aveva già fatto abbastanza rumore per infilarsi gli stivali da evocare i mormorii scocciati di Estrella.
Prima di chiudere il pesante tessuto cerato dietro di sé scorse il timido bagliore rossastro dello spadone. Era come un cucciolo di cane che domandava il perchè non potesse seguire il padrone. Era triste?
Le venne un groppo alla gola, pieno di parole non dette e di sensi di colpa.
“Stasera no…” mormorò con un fil di voce, mentre si allontanava nella notte.

Gettò un ramoscello nel fuoco.
I suoi pensieri vagavano alla sera precedente e alla mattina di quel giorno. Così freschi, ancora così vividi, da perdersi in essi esattamente come faceva con i suoi vecchi ricordi.
Pensò alla morte di Filomena. Le parole di Skag erano state un fulmine a ciel sereno ed ella dovette lottare con tutte le sue forze per non piangere. Uno sforzo inutile, poiché quando la vide camminare fuori dalla stanza di Mordecai, si gettò su di lei in lacrime.
Mosse piano le braci incandescenti con la punta di uno stecco.
Pensò alla morte di Allan. Ancora una volta i mezzi dello Spiantato si erano rivelati limitati nel soccorrere chi rimaneva a terra. Non avevano modo di curare il veleno se non con pochi mezzucci, o tenere in vita qualcuno aspettando che l’effetto mefitico terminasse. Così il suo novello maestro aveva guadagnato un’altra cicatrice, la terza. Non che lei si fosse mai impegnata per imparare le arti mediche.
“Non ci ho neanche mai provato…” pensò. Eppure un suo compagno era rimasto indietro. La colpa era di tutto lo Spiantato, quindi anche sua.
Pensò alla morte di Katrina. Una lotta selvaggia contro quel demone che alla fine l’aveva fatta franca, mandando a monte ogni piano di mondarlo per sempre. Cercò di non cedere, anche se non era facile con le lacrime e i pianti di Anastasia a riempire l’aria. Ci si era messa pure Sigrun a cantarle quello che sembrava un lamento funebre, mentre lei? Aveva guardato la scena col cuore in gola senza proferir parola.
Ho avuto paura…” ma era vero solo in parte. Aveva trovato uno strano impulso dentro di sè quando era accorsa, a spada sguainata, per salvare Allan. Lo stesso impulso di necessità che era sopraggiunta quando Ranjan l’aveva chiamata in aiuto. In entrambe le occasioni, erano gli imperiali i nemici.
Che cosa diamine fosse successo, non lo sapeva neanche lei. Era rimasta lì, a fissare il buio sul campo di battaglia, con niente in mente se non quello che era accaduto. Tremante come una foglia, mentre faceva di tutto per non piangere.
La sensazione era la stessa che si prova quando si è aracnofobici, e si scopriva che qualcuno nel giro di clessidra precedente aveva fatto il favore di rimuovere un ragno gigantesco dai capelli. L’orrore, la realizzazione, i brividi, e il rischio svenimento, erano i medesimi.
Aveva lasciato andare il suo spadone a terra. Gli era sembrato così pesante per un momento da non riuscire più a tenerlo. Aveva sentito le lacrime scendere sulle sue guance come quando era bambina, vittima di qualche scherzo assurdo di Vensen.
Si susseguirono a sincerarsi delle sue condizioni, Ranjan, Allan, Estrella… la sua famiglia. E alla fine venne da lei persino Xorba.
“Xorba…” era la primissima volta che parlava così con lei. Si erano aperte sui reciproci passati, avevano mostrato le proprie ferite l’un l’altra e i propri sogni.
Non avrebbe mai pensato che anche lei avesse avuto un passato così tremendo, abbandonata dalla persona amata, tradita da chi si fidava. Lasciata da sola.
In qualche modo la vedeva molto simile a sè stessa. Anche lei era fragile e vulnerabile, dietro quello scudo. Forse era venuta da lei proprio perché aveva sentito un dolore simile al suo. Di questo Astra non era certa, ma preferiva pensare che fosse così.
Si erano scambiate un abbraccio di sostegno, infine, assieme a una promessa. Non buttare via la propria vita.
“La nostra vita.” un breve sorriso mentre attizzava il fuoco, prima di incupirsi di nuovo.
Pensò alla morte di Ester. Dopo la scoperta che il reale flagello era lei e che aveva montato su tutto quel teatrino, le masnade avevano trovato il sistema di metterla alle strette e indebolirla. Alla fine avevano fatto in modo che ad ucciderla fosse il Bizzarro, il figlio che aveva gettato nel pozzo, facendo ricadere la colpa su Rufus.
Astra aveva pianto, sia per tutto il male che ella aveva fatto, sia per tutto il dolore che aveva condotto quella donna a percorrere tale strada.
Una duplice sofferenza. Un mare di lacrime. Il suo cuore pareva scoppiare.
“Morire nell’odio… è questa la sorte che spetta ai flagelli?”
Non poteva fare a meno di pensare alle parole di Alexa, secondo la quale Ester stava cercando di ingannare tutti ancora una volta, ponendosi come chi non aveva avuto altra scelta. Alle parole di Balthazar che asserivano che possiamo sempre scegliere chi essere indipendentemente dal nostro passato. Allora perché non riusciva a togliersi dalla testa le parole che Ester le ha sussurrato, da sola, prima di morire?
“E’ questo che si prova ad essere normali?”
Che senso avrebbe avuto mentire anche mentre l’ultimo soffio di vita usciva dal suo corpo? Aveva seriamente avuto scelta?
Balthazar aveva detto che Lucius è vissuto solo 15 anni in cerca di sua madre e che poteva unirsi a lei, ma che aveva scelto loro. Era un bene da una parte che l’Alfiere non sapesse tutto, ma era anche triste. Non aveva idea che l’intenzione del pasticcere fosse inizialmente quella di tradirli, che aveva chiesto più volte a Katarina di portarlo con sé, ma che questa aveva sempre rifiutato. Alla fine era stato corretto solo dai membri dello Spiantato. Loro avevano fatto la differenza. Erano diventati la sua famiglia, gli volevano bene davvero… così scelse di rimanere dalla loro parte e difenderli da sua madre. L’amore aveva fatto prendere a Lucius quella strada. Ed era facil perché Lucius non era un flagello…
Ester invece era stata sopraffatta dall’odio e dalla solitudine, oltre che dalla caccia spietata che i Druidi perpetuano nei confronti dei Flagelli. Di chi poteva fidarsi? Dei primi forestieri venuti da fuori che le promettono protezione? I primi a credere che i mostri debbano morire tutti? Gli stessi che hanno attaccato il bizzarro appena uscito dal pozzo senza che avesse ancora torto un capello a nessuno?
Gli stessi che rubano, ingannano e uccidono?
Ester era sola. In un mondo di persone che caccia i diversi come lei. E tutto quell’odio, quel rancore, quel disprezzo ricevuto l’avevano trasformata in un mostro. A quel punto perché sarebbe dovuto importargli degli altri?
“La Scacchiera sarà la terra dei mostri” aveva detto una volta. Sebbene avesse cercato di prenderselo con le cattive, alla fine voleva solo un posto dove poter vivere senza scappare e nascondersi ogni giorno. Lo stesso desiderio che aveva Katarina. Chissà che cosa aveva passato per rimanere nascosta e crescere Lucius.
Fu a quel pensiero che Astra provò un’infinita tristezza e compassione.
“E se fosse successo a me 15 anni fa? Se fossi stata un Flagello… Se tutto quell’odio e disprezzo avessi dovuto sorreggerlo da sola… che strada avrei preso?”
Eppure Lucius era stato cresciuto con amore. Alla fine lo aveva dovuto lasciare da solo… forse non era più al sicuro con lei?
Pensò alla morte di Vinicio. L’esempio perfetto per dimostrare che sono le personali esperienze a render gli individui buoni o malvagi. Nessuna persona nasce malvagia, difatti. Egli non ricordava nulla del suo passato, ma aveva affrontato i perigli della Scacchiera con coraggio, dando notevole sfoggio di onore, rispetto e amicizia, condendo le giornate da benevolo guascone. Quello che tutti avevano conosciuto era una brava persona.
Eppur davanti alle prove su chi era realmente nel suo passato, aveva deciso di affrontare l’esecuzione di Ottavia. Non come l’imperiale che era stato, ma come l’uomo, il guerriero, con cui avevano condiviso gioie e dolori. Non era scappato, seppur gli fosse stata data occasione. Era rimasto stoico sotto la lama dell’Alfiere, forse conscio di non poter rimediare ai propri errori. Disposto, dunque, a pagarne il prezzo.
Tutti coloro che piansero, quella mattina, levarono la spada un’ultima volta dinnazi lui per salutarlo.
“Voglio credere che su avessi ricordato tutto… ti saresti redento.” sospirò asciugandosi le lacrime “Vorrei pensare che domani al sorgere del sole tu possa essere con noi Artefici a lamentarti di quanto è tirchio Ermete. Costruirei volentieri un altro dado di legno con te, solo per sentirti imprecare e ridere con noi. Vorrei ancora che tu mi facessi una lezione morale sulla fiducia e la parola data… e avrei voluto che tu ricordassi, per poter scegliere di essere consapevolmente l’uomo che eri per tutti noi.”
Una fitta al petto la pervase così forte che fu costretta a piegarsi tanto era forte quel dolore.

Due forti respiri e tutto cambiò per un solo attimo.
C’era Maksim dinnazi a lei, con quei folti capelli corvini e gli occhi dello stesso colore di un cielo invernale. La fissava con un sorriso rassegnato e divertito, mentre scuoteva la testa. Sullo sfondo un bellissimo prato di papaveri e i gelsi in fiore.
“Troppo emotiva, troppo Empatica, troppo buona. Sei senza speranza…”
Astra avrebbe voluto sorridergli, come ricordava di aver fatto quel giorno, mano nella mano con lui, ma un battito di ciglia e tutto divenne fuoco.
Uno scoppio nelle orecchie, il fragore.
I campi arsi, gli alberi gigantesche colonne di fuoco. Polvere. Fumo. Odore di sangue. Urla. Il bagliore di una lama imperiale che su volto di Maksim. Effluvi di luce. Sangue che scorre. Il suono di una spada che taglia la carne. Ossa che si rompono. Grida. Il pianto di un bambino. Capelli che si strappano. Preghiere. Le stelle attraverso un soffitto divelto. Risate. Sangue.
Fiamme.

Sbattè gli occhi in preda all’orrore ed era di nuovo al campo, davanti al focolare. Si tappò la bocca e rimase lì, come paralizzata, fissando le lingue di fuoco danzare davanti a lei imperiture.
Le malattie della mente sono difficile da curare, le aveva detto Cristilde, consigliandole di parlarne con i compagni per “esorcizzare”. Secondo lei condividere poteva farla stare meglio, ed effettivamente, lì per lì si sentiva più sicura, più forte?
Fin ora aveva raccontato del suo passato solo ad Antares, Cristilde, Lucius, Ranjan, Xorba e in parte a Filomena e Ottavia. Solo perché l’argomento era saltato fuori o era necessario venisse alla luce.
Non aveva ancora detto niente a Sigrun, Estrella, ad Allan, nè a tutti gli altri. Persino Balthazar era all’oscuro degli eventi che l’avevano portata lì. Egli sapeva solo della sua stirpe e che veniva dalla Tabula, in cerca di risposte sul suo strano spadone
Ogni volta che dalle sue labbra uscivano frasi come “tu sei forte” o “tu non hai paura”, l’unica cosa che Astra riusciva a pensare era che Balthazar fosse un pessimo motivatore. Un buon padre amorevole con i suoi, ma le sue parole non erano così efficaci nel far sentire meglio qualcuno. Almeno non lei.
Non poteva biasimarlo neanche così tanto, infondo. Era lei che non si era mai aperta con lui ed egli non aveva neanche così tanto tempo da dedicare a tutti singolarmente.
Forse l’unica soluzione per non spezzarsi, era provare il secondo rimedio di Cristilde, lo stesso che aveva provato Ottavia. E se doveva smettere di provare emozioni, poco male. A ora non c’era alcuna emozione per Astra che valesse la pena salvare.
Fissò l’anello tra le proprie mani, asciugandosi le lacrime.
Avrebbe dovuto disfarsene anni fa, ma non c’era riuscita. Non sapeva disfarsi dell’anello di fidanzamento che le aveva regalato Maksim. Un gioiello vinto da un acceso duello.
Pensò a lui, alla crudele ironia della sorte. Al fatto che non aveva mai effettivamente svolto una funzione funebre per i suoi cari, ma non vi era rimasto nulla di loro, se non le ceneri sparse nel vento. I loro fantasmi che ogni tanto la tormentavano.
“Non gli hai mai detto addio” suonarono in ricordo le parole di Cristilde.
Accarezzò l’anello prima di infilarlo nuovamente all’indice della mano sinistra, troppo grande per calzare alla perfezione.
“Magari un giorno saprò come…”
Rimase davanti al focolare per tutta la notte a osservare quella fiamma spegnersi al giungere del mattino. Per la prima volta senza il suo spadone.

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