Illusioni

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La sto perdendo.
È iniziato tutto quando a Nebin, in occasione dell’ultimo Campomagno, si è gettata nel pozzo ingannata dal falso spirito di Amanita. Da quando è stato ritrovato il ciondolo della sua amata, finito in qualche modo misterioso dentro un vaso portato dagli sgherri dell’Immacolato.
Come quando un sassolino rotola sul pendio, e pian piano trascina massi sempre più grandi nella sua caduta, fino a provocare una frana.
La sua partenza – no, la sua fuga – dal Crepuscolo al sopraggiungere dell’estate. È stata sola con Aldo per almeno oltre due lune, e non ho idea di dove sia stata e cosa abbia fatto.
Per tornare a Velathri, dove la morte di Vinicio ha spezzato il cuore del Crepuscolo come credo neppure l’Immacolato potrebbe mai fare. Di certo ha spezzato il mio cuore e, temo, anche quello di Ottavia, ben più di quanto lei voglia ammettere.
Da allora vaga nel campo del Crepuscolo come un fantasma. A volte mi pare di veder più vita negli occhi degli zombie di Mordecai. È qui con noi, e allo stesso tempo non c’è. Combatte al nostro fianco, ma è persa in battaglie passate e proiettata in quelle future. Ha raddoppiato gli sforzi per scovare l’Immacolato, ricorrendo a ogni mezzo e sotterfugio. È come se davvero non le restasse più altro, se la sua vita fosse di nuovo ridotta a questa caccia spietata che la consuma come un fuoco interno.
C’è stato un tempo in cui ho creduto che l’affetto che nutre per i suoi Ragazzi sarebbe riuscito a restituirle almeno una stilla di ciò che aveva perduto, acquietando la sua angoscia. Addirittura, avrei voluto posseder io tale potere.
Mi sbagliavo.
Ovviamente, questo è ciò che vedo studiando le sue azioni, le sue parole e soprattutto i suoi silenzi. Lei non me ne parla. Non parliamo più molto, e comunque non parliamo davvero. I nostri discorsi si limitano a questioni organizzative della masnada o a piani per acciuffare finalmente l’Immacolato. All’inizio ho provato ad affrontare la situazione, a tirarle fuori come si sente davvero nella speranza che ciò riuscisse a smuovere il macigno che la opprime, e invece come unico risultato l’ha fatta chiudere ancora di più nel suo bozzolo. Alla fine mi sono arresa: le reco maggior sofferenza costringendola a dimenarsi per uscire dalla palude in cui si è infilata, piuttosto che lasciandola galleggiare come si è abituata.
Con Amanita invece parla. Sempre più spesso, ed è una pugnalata al cuore. A volte anche con Vinicio. Fingo di ignorare i suoi lunghi monologhi con i fantasmi del passato, e rimango impotente a osservarla mentre scivola via da tutti e da me, poiché è inutile stringere l’acqua in pugno: filtra via fra le dita, lasciando solo qualche ruvido granello di sabbia a graffiare la pelle.
La sto perdendo.
O forse mi illudo.
Forse non posso perdere ciò che non ho mai avuto.

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