Genesi di un Thersiano di confine.

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La Felicità è un attimo fuggevole, un’immagine, una voce in mezzo a mille altre. La Felicità è un istante prezioso, specialmente per uno Schwartzrose.
Questo pensava la donna appoggiata sulla soglia di pietra della sua finestra, e per lei era già molto che quella mattina d’autunno il cielo apparisse terso: forse le piogge avrebbero risparmiato il suo abito da sposa.
Veder sbucare il piccolo corteo nuziale dal vicolo che conduceva al suo piccolo maniero, la riscosse dai suoi pensieri, Ebert lo capeggiava con il suo faccione barbuto e sorridente. Lei raccolse le ampie gonne color avorio e scese velocemente dabbasso con il volto illuminato dal sorriso e le gote accese dall’emozione.
Sua madre l’attendeva commossa, elegantemente impaludata nel suo austero abito nero. L’anziana donna iniziava a disperare che Urania potesse trovar marito dopo la morte del padre: Gustav era caduto in battaglia, in circostanze non chiare, fuori dai confini di Thersa e questo aveva causato il declino della loro famiglia. Le autorità non avevano fornito nessuna spiegazione, restituendo loro solamente le sue vestigia di guerra, che ora giacevano dimenticate nel suo baule d’arme.
Tutte seppellite in memorie dolorose, tranne quella maledetta ascia.
La vedova ora la brandiva mollemente, come un cupo stendardo, per donarlo come da tradizione al genero, il nuovo uomo di casa. Il rampollo dei Von Goldhor, Ebert, si sarebbe occupato di loro, adesso, avrebbe restituito lustro al piccolo borgo di Neu Hugelturm dopo la decadenza causata dalla morte del suo signore, e avrebbe garantito un futuro anche al suo piccolo Kilian, che a 12 anni non aveva neanche conosciuto suo padre. Quel figlio amatissimo era stato per la madre di Urania l’ultimo inaspettato dono, lasciato dall’integerrimo Templare di Aldebaran Gustav Schwartzrose.
Il tempio degli Astri si ergeva nell’angusta piazza del borgo, accanto al campanile, e gli sposi vi si recarono a piedi, acclamati dai paesani. Urania si sporgeva dal piccolo corteo nuziale, per stringere le mani degli abitanti, in gran parte donne e anziani che la risacca delle scorrerie Hobgoblin aveva depositato all’interno del malandato steccato difensivo di Neu Hugelturm (Nuova Torre del Colle n.d.r.).
Gente coraggiosa e provata, che Urania ammirava e desiderava ardentemente aiutare. In fondo era per questo che aveva accettato la corte di Ebert, per lui aveva domato il suo carattere indocile, accantonato la sua passione per le armi e abbandonato il sogno di calcare le orme del padre sulla via Equestre. Era suo dovere sacrificare quello che aveva in favore della sua gente, questo le aveva insegnato il padre. L’amore poi sarebbe arrivato, l’aveva rassicurata sua madre, Ebert non era certo un virgulto, ma era un uomo onesto e gioviale, era una questione di tempo e pazienza ed in fondo si era già affezionata; nel frattempo poteva gioire vedendo tutti quei sorrisi stanchi e quelle mani callose, che, dall’alto della torre campanaria, ora lanciavano festanti manciate di petali rossastri, strappati dagli ultimi fiori selvatici dell’avara luna di Kaynus Yano.
Tra le acclamazioni della piccola folla la sua attenzione si focalizzò sull’agile arrampicarsi di Hans il maniscalco su per le scale della torre, tra i molti sorrisi distinse chiaramente la paura sul suo volto, lo seguì con lo sguardo stranito da un terribile presentimento e lo vide farsi largo a spintoni tra la gente assiepata attorno alla campana di coscrizione.
Un rintocco…
Due rintocchi…
Tre rintocchi…
L’inconfutabile e temuto allarme di un attacco fece calare un sudario silenzioso, congelando tutto e tutti, fino a quando la prima freccia sibilò. La prima di molte.
***
Nelle orecchie un terribile ronzio, era a terra con lo sguardo spaesato, non sapeva cosa fosse accaduto, vedeva solo fumo levarsi dai tetti di paglia, e  feriti gementi, cadaveri trafitti sul selciato in una cacofonia di orrori, poi, all’improvviso, la vide.
La macchia di sangue si allargava a vista d’occhio sulla delicata seta bianca del suo vestito, come se una diga purpurea avesse tracimato invadendo le pieghe della stoffa, inghiottendo i ricami raffinati, invischiando pizzi e trine. A monte di quel torrente scarlatto, tra le sue braccia, gli occhi verdi si Ebert la fissavano assenti, la sua barba bionda era completamente inzuppata di sangue ed Urania non riusciva a distogliere lo sguardo dalle piume nere della cocca piantata nella gola dell’uomo.
Qualcuno la chiamava, si voltò verso la voce, il viso lunare di sua cugina Cordelia le sorrideva mesta, leggeva una comprensione profonda nei suoi occhi scuri e la piega dolce delle sue labbra l’introduceva nell’ombroso vestibolo del lutto. Vedova ancor prima di essere sposa.
“Alzati adesso, andiamo a casa, è tutto finito, le Sorelle si occuperanno dei caduti …”
La mano candida che le tendeva era un’ancora di salvezza, l’unica consolazione in una vertigine di dolore. Urania voleva afferrare quella mano, e con essa il destino del nero culto della morte e della celebrazione del ricordo. Fece per alzarsi e dalle braccia esanimi di Ebert l’ascia bipenne di suo padre scivolò, cozzando sul selciato vicino ai suoi piedi.
Il piccolo Kilian, con il volto rigato di lacrime, allungò la mano per afferrarla, ma in quell’istante Urania comprese.
Non poteva essere lui ad accollarsi il compito di proteggere la gente che ora la guardava, di nuovo  attonita e senza speranza, già lo vedeva marciare incontro alla morte con la spalle incurvate dall’eccessivo peso di quell’alabarda poderosa, mentre lei sopravviveva in un angolo oscuro di qualche convento ad impregnare di lacrime fazzoletti ricamati.
No.
Afferrò il braccio di Kilian ed abbracciò il bambino con affetto, poi prese la mano di Cordelia, ma invece di accettarne l’aiuto, ne baciò il dorso, in segno di profondo rispetto.
Prese la lunga ascia bipenne, ne puntellò il manico al suolo e si sollevò in piedi.
Sotto l’occhio cieco inciso su di essa, Urania Schwartzrose levò il capo.
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