…dagli appunti del bardo: le sbronze di Gawain, parte II

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Non passarono nemmeno quattro anni da quella sera che mi capitò di aver la possibilità di invitare qualche vecchio amico presso la casa di Galenus per una grande serata dedicata all’arte. Avevo messo a punto alcuni nuovi strumenti, tra cui la primissima versione di quello che poi avrei trasformato in uno degli artefatti bardici più potenti, e desideravo condividere con gli amici che mi avevano aiutato a reperire il materiale il frutto delle mie fatiche. Questa però è un’altra storia.
Vi basti sapere che tra gli invitati c’era anche Gawain, insieme a parte dell’Ala Danzante, e tutti avevano passato una tranquilla giornata di riposo, una volta tanto lontani dalle battaglie e dai dispiaceri.

Eravamo così arrivati alla sera: vino elfico speziato e liquori di ogni qualità si erano avvicendati sulla lunga tavola imbandita mentre io, Gelwen e altri suoi compagni elfi ci esibivamo al meglio delle nostre possibilità, suscitando il plauso e l’approvazione generale di tutta la compagnia. Il risultato fu che, avendo mischiato sostanze alcoliche così diverse, anche il buon vecchio Gawain, che si scolava tre barili di birra senza accusare il colpo, dovette capitolare molto più velocemente del solito.

Si era appena sistemato in un angolo, al termine del concerto, fumando una lunga pipa d’avorio con decorazioni in ebano che chissà dove aveva trovato, quando dalla porta che dava sul giardino, quella proprio presso di lui, fece la sua comparsa una personcina che avrebbe dovuto esser stata spedita a dormire già molte ore prima. Non mi stupii: mia figlia Lyne non faceva mai una sola cosa di ciò che le veniva detto di fare.

Fu in quel momento che pensai per la prima volta che la mia progenie femminile e il mio amico si assomigliavano proprio tanto. Così, mi avvicinai distrattamente quel tanto che bastava per seguire tutta la scena.

Lyne, alta meno di una tavola da pranzo e con un grosso cesto di capelli crespi e candidi come la neve a incorniciarle il viso che non sorrideva mai, puntò i suoi occhioni verdi in quelli neri di Gawain. Si squadrarono entrambi con un’espressione indecifrabile. Non sapevo se si sarebbero azzannati a vicenda, ma iniziavo a temere che potesse succedere.
Invece, con mia sorpresa incredibile, la piccola incrociò le braccia con solennità e dichiarò, parlando forte e chiaro: “Tu mi piaci.”
Veder sgranare gli occhi a Gawain e aver la sensazione netta che ogni fibra del suo corpo si fosse irrigidita innaturalmente fu tutt’uno con il gesto fulmineo di mia figlia che, con scatto felino, si acciambellò letteralmente sul grembo del mio attonito amico. Lyne non aveva fatto mai una cosa simile nemmeno con sua madre. Non si faceva toccare nemmeno quando era ancora in fasce, gridava come un ossesso, era selvatica come una pantera infuriata. Ma questo colpo non era abbastanza: i miei nervi subirono un ulteriore scossone quando vidi Gawain sollevarla (senza provocare in lei alcuna reazione ostile) e sistemarsela meglio fra le braccia, con un savoir faire che non si poteva affatto sospettare in un tipo come lui. Ma io qualcosa sapevo, quindi rimasi lì a controllare cosa succedeva, spedendo (anche sfruttando impunemente le mie capacità di persuasione) i curiosi a fare qualcos’altro.

Lyne continuava a fissare il colosso che la coccolava (in modo un po’ ruvido, bisogna ammetterlo: probabilmente aveva perso la mano, o forse aveva capito che tipo era la mia rampolla), senza dire una sola parola. Fu lui, inspiegabilmente, forse spinto da quegli occhiacci verdi che non abbassavano il tiro, a iniziare un lungo monologo.

“Lo sai, piccoletta? Tu hai lo stesso sguardo che avevo io, ma non alla tua età. Eh, no, mi dispiace tanto vedertelo addosso… quanti anni hai, quattro, cinque? No, no, è presto per aver quel fuoco in fondo al cuore, dammi retta.”
Lyne non apriva bocca, ma Gawain evidentemente parlava la lingua del silenzio.
“Ma sì, ma sì, te lo dico io che me ne intendo di queste cose… senza niente togliere a te, eh, non è che ti sia andata poi tanto bene nemmeno a te, piccoletta. Però dammi retta… ti racconterò qualcosa, così magari ti fai un’idea, eh? Che ne pensi?”
Mia figlia non batteva ciglio. Si limitava a tenersi aggrappata a lui.
“Allora apri bene le orecchie. È successo molto tempo fa, ma me lo ricordo maledettamente bene.
Vedi, io stavo a pezzi, capisci? Ero completamente distrutto. Ancora non ero diventato angelo nero, no, e mi trascinavo appresso lo spadone di mio padre senza nemmeno rendermene conto… gridavo, gridavo come un pazzo, ho gridato ininterrottamente per una settimana, oddio, forse anche di più, non saprei dirtelo… giorno e notte non avevano più senso per me, il mondo intero si era spento e non c’era niente che potesse riaccenderlo… se tu mi avessi visto, piccoletta, non mi avresti mai riconosciuto. Ero finito, e avevo pianto così tanto che a un certo punto i miei occhi avevano finito le lacrime e avevano cominciato a versare sangue, che mi colava dappertutto… e le chiamavo, capisci? Le chiamavo e non potevano più rispondermi…”

Lyne era imperturbabile. Io stavo prendendo mentalmente tutti gli appunti che potevo. Non credevo alle mie orecchie.
“E camminavo, camminavo, chissà dove andavo… tanto niente per me aveva senso… mi trascinavo come un morto che non sa ancora di esserlo, cadevo e mi ferivo sulle rocce appuntite, mi laceravo le carni passando attraverso i peggiori roveti che si possano trovare al Sud, non sentivo né la pioggia né il vento né nient’altro… dopo tutti quei giorni ero lì lì per morire, e caddi a terra, a bocca aperta, ingoiando una grossa boccata di fango sporco e putrescente… ormai non riuscivo più a gridare, rantolavo e basta, ma non riuscivo a smettere di chiamarle, capisci?”
Lyne evidentemente capiva. Gawain continuò dopo aver cercato conferma negli occhi di ghiaccio della sua interlocutrice.
“È stato in quel momento che devo aver perduto i sensi. Ma non era finita, oh no. Dopo nemmeno un’oretta, mi risvegliai, e avvertii un teporino accanto a me. Nonostante fossi un uomo finito, dovevo ammettere con me stesso che era gradevole. Poi mi guardai intorno: le mie ferite erano state curate e non avevo più la terra in bocca, quindi pensai che ci fosse qualcun altro vicino a me. Non appena fui in grado di schiarirmi un po’ le idee, riuscii a vederlo. Era un uomo, credo, sulla cinquantina. Aveva la faccia smagrita, ma stranamente le sue guance erano simili a pomelli induriti, e a guardarlo bene sembrava magro, sì, ma muscolosissimo. Portava una tunica nera con qualche bordatura sdrucita candida come i tuoi capelli, piccoletta, solo molto, molto più sporca. Alla cintura, però ci feci caso dopo, c’era quello che aveva tutta l’aria di essere un simbolo sacro che ne aveva viste di tutti i colori. E lui stava lì, appollaiato a pochi passi da me su un ceppo mezzo piagato dalle termiti, e mi guardava in modo… non so come dirti… ecco, come tu mi stai guardando adesso, né più né meno.”

Non potei trattenere il brivido che mi correva lungo la schiena. Mia figlia guardava Gawain come se lui dovesse dargli tutte le spiegazioni del mondo, e contemporaneamente avesse pietà di lui, e allo stesso tempo fosse una severa esaminatrice, e al contempo tutto questo le fosse totalmente indifferente.
“In effetti, ad un certo punto parlò e mi disse ‘beh, uomo, che cosa credi di fare? Vuoi ingozzarti di terra finché non ti esplode lo stomaco?’. Io ero ancora scosso dai brividi, e farfugliai qualcosa in risposta del tipo ‘la mia vita è finita, io non sono più niente, non ho più niente’. Imbarazzante, vero? E sai che mi rispose, quel tipo? Disse ‘E allora, giovane caprone, se non sei più niente e non vuoi più niente, perché continui a stringere quello spadone in mano?’ e incrociò le braccia. Diavolo, aveva ragione lui. Lo sai, piccoletta? Non avevo smesso un attimo di stringerlo, quello spadone, da quando me n’ero andato di casa, folle di disperazione. Non l’avevo mollato nemmeno quando avevo perso i sensi, e il tizio non era riuscito a togliermelo nemmeno tirandolo via con tutte le sue forze.
Insomma pensai alle sue parole. Mi sa che devo averlo guardato con un’aria inebetita, perché lui si alzò in piedi e mi disse, solenne e deciso al tempo stesso ‘Dispiega le tue ali, adesso, mostra ciò che per tanto tempo è rimasto nascosto. Mostra la tua rabbia, ora è tempo per te di farlo senza indugio’. Tutto qua, potresti dire, e invece io sentii qualcosa dentro… come un fuoco, sai, che piano piano risorge dalle ceneri fumanti, e poi divampa se ci aggiungi la legna sopra… saliva piano piano, come se fosse partito a bruciarmi dall’interno dalla punta dei piedi, e poi fosse avvampato, violento e implacabile, fino alla punta dei capelli… ora capivo, sai, in quel momento mi è stato tutto chiaro…”

Io non lo sapevo cosa ci fosse di chiaro in tutto quel discorso, ma evidentemente mia figlia era più brillante di me. Gawain proseguì, sempre più accorato, nel suo monologo. Anche se io sospettavo fortemente che fosse un dialogo in piena regola.
“Però, sai, quando si rinasce a nuova vita, si è sempre un po’ confusi: l’uomo deve aver capito che io avevo capito, ma forse si era anche reso conto che non sapevo materialmente come usare il fuoco che ormai mi ardeva dentro – e che non mi avrebbe mai più abbandonato – quindi si avvicinò a me e mi disse ‘vieni con me, giovane amico. Ti insegnerò ciò che so, e saremo compagni d’arme finché Alhazhar non ci accoglierà entrambi fra le sue piume nere… e intanto dammi quello spadone, o ti arrugginirà fra le mani. Da’ qua, te lo rimetto in sesto io. Ora dormi: non si va in battaglia da morti, giusto? Da domani inizierai la tua nuova vita.’ E io ho fatto come diceva, mi son disteso e mi sono addormentato. Però, da quella notte in poi, tutte le volte che dormo senza essere sbronzo ho sempre la stessa identica visione: sogno un uomo incatenato a una roccia, che scuote inutilmente le possenti ali nere, e il suo urlo mi squassa la testa e rinvigorisce, quando mi sveglio, il fuoco che mi divora.”
Sarebbe stato commovente se poi Gawain non avesse aggiunto altre essenziali rivelazioni.
“Poi, che c’entra, quando sono sbronzo mica me lo ricordo cosa sogno… a parte certi grossi castori rosa con delle piccole ruote che… no, beh, meglio non ti dica cosa fanno, non mi crederesti.”
Stavo cominciando a chiedermi che razza di conversazione si stesse consumando davanti ai miei occhi e, soprattutto, che genere di risposte riceveva Gawain da mia figlia, che continuava a non battere ciglio. Comunque facevano anche gli spiritosi, evidentemente.

“Ma, con questo, piccoletta, cosa voglio dire…?”
Già, era ora che arrivasse al punto. Ormai ero curioso. Ma i due sembravano esser sospesi in una sorta di stasi temporale: nessuno diceva nulla né si muoveva. Gawain era rimasto con il braccio alzato come a illustrare una certa teoria, ma niente di più. Si fissavano intensamente e basta. Per un paio di giri di clessidra almeno. Finché, Gawain non esplose in un gesto di profonda soddisfazione per l’esito della conversazione.
“Ecco, preciso! Esattamente questo!”
Ero troppo occupato a sgranare gli occhi e a malapena mi accorsi di un ulteriore miracolo che si stava consumando proprio lì, a pochi passi da me: Lyne annuì leggermente con la testa, come se fosse un maestro che si congratula con il suo allievo, e poi si sollevò per scoccare un bacio (un bacio, capite! Mia figlia sentimentalmente stitica!) sulla guancia ruvida di Gawain. Poi, la visione si dissolse. Lyne balzò giù e uscì da dove era entrata, silenziosa e tranquilla come al solito.

Appena fu scomparsa, Gawain si voltò dalla mia parte (mi assottigliai contro una colonna per evitare che individuasse la mia posizione alquanto compromettente, ammesso che si ricordasse di aver vuotato il sacco davanti a una bambina di cinque anni) e tuonò, con il tono di voce che tutti noi conoscevamo e che avevamo imparato ad amare:
“FENDER! Brutta pecora di un elfo brutto e peloso che non sei altro! Quella bottiglia è MIA! Tiramela un po’ qua, sennò tiro via te!”

Eh, sì, sembrava proprio non si ricordasse di niente… eeeeh. Meglio così.

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3 comments

  1. Beh, sì… più o meno! Gawain è un pg del Menco della campagna live prima di questa… Lypsak è un mio pg della campagna ufficiale da tavolo, ma lo vedremo in tutto il suo splendore (ovvero bardo coi controcazzi) solo dall’anno 26 in poi… Presto narreremo nuove sconcertanti vicende… chissà!

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