Gli artigli neri

Share Button

Julius arrancò lungo l’erto crinale che costeggiava la foresta. Al fianco portava la fida spada, perché non era saggio – per non dire completamente folle! – viaggiare per quelle lande disarmati. Teneva l’elsa bene in vista, perché qualche brigante di passaggio non pensasse di trovarsi davanti un inerme viaggiatore, e sotto al mantello portava una spessa cotta di maglia che lo avrebbe protetto da una freccia vagante. Erano precauzioni inutili, lo sapeva, nel caso avesse incontrato uno dei feroci abitanti della foresta. Troll, trent, mannari… bastava pensare a una qualsivoglia creatura vomitata dalla Piaga, ed ecco che si trovava nelle Lande Selvagge, oltre i confini occidentali del mondo conosciuto.

– Gran posto di merda – commentò tra sé, ma con un accenno di sorriso sulle labbra.

La Scacchiera era effettivamente un posto di merda, ma l’unico in cui un tipo come lui, ex bravo di un signorotto di Scentiar che aveva avuto la brutta idea di immischiarsi nell’affare sbagliato, poteva far fortuna.

E l’aveva fatta, per tutti gli dèi!

Lo dimostrava la scarsella che tintinnava appesa alla cintura. La cricca dei Lupi Bianchi – la sua cricca! – poteva vantare un altro successo, l’ennesimo nel corso dell’ultima luna, e le monete sonanti che aveva guadagnato significavano ingrandire la casetta che aveva costruito sul terreno conquistato con il Diritto della Prima Luna, calde pellicce per sua moglie e i suoi figli, cibo assicurato per i suoi uomini fino alla nuova stagione, armi e armature di miglior fattura, e persino l’acquisto di qualche buon cavallo.

Niente male, per una cricca fondata da meno di un anno, considerò mentre si faceva strada nel sentiero sassoso e costeggiato dai rovi. Aveva cominciato radunando intorno a sé gli amici fidati, e adesso i Lupi Bianchi annoveravano quasi quaranta elementi tra le loro fila. Contava di riuscire addirittura a trasformare la sua banda in una Masnada in piena regola, se la fortuna continuava ad assisterlo.

E soprattutto grazie all’aiuto del Profeta.

Da quando l’aveva incontrato, le cose avevano cominciato a girare davvero nel verso giusto. Le sue visioni si erano rivelate fondate in ogni occasione e gli avevano procurato i favori – e soprattutto gli ori – persino dell’Altomastro di Ramana.

Superò il crinale e prese a scendere con cautela, aguzzando la vista per seguire il sentiero invaso dalla vegetazione. Lo aveva scoperto per caso, inseguendo un grosso coniglio che sperava di trasformare nella sua cena. Il coniglio lo aveva beffato, scomparendo tra i rovi, ma in compenso aveva scoperto la radura con la tenda anonima, e colui che l’abitava.

Non ebbe difficoltà a trovarla, adesso che sapeva dove cercare.

Il Profeta lo aspettava all’interno, come a suo solito. Seduto a gambe incrociate su una semplice stuoia, se ne stava con gli occhi chiusi, avvolto da una tunica che un tempo doveva essere stata bianca e che aveva assunto il grigio informe di chi non vede del sapone da tempo. Una barba ispida gli incorniciava il volto pallido, dalla mascella pronunciata.

– Julius Temidori – lo chiamò per nome, spalancando gli occhi. Occhi di un nero impenetrabile come le profondità di un pozzo, nero che contrastava con il biancore giallastro e umido della sclera che li circondava.

Occhi che riuscivano sempre a metterlo a disagio.

– Sono io – confermò, anche se non ce n’era bisogno. Era ovvio che il Profeta lo aveva riconosciuto. A dire il vero, lo aveva chiamato per nome anche la prima volta che l’aveva incontrato, ben prima che lui si presentasse.

Si accovacciò e gettò sulla stuoia davanti al Profeta la scarsella. – Ecco la tua parte – sentenziò – Avevi ragione, in fondo a quel budello di caverna pullulante di inutili coboldi c’era davvero una miniera di stagno.

Il Profeta non mutò espressione. – Ne dubitavi?

Sì, avrebbe dovuto ammettere Julius, ma si limitò a una risatina nervosa. – Più che altro ne dubitava l’Altomastro di Ramana, all’inizio. Avresti dovuto vedere la sua faccia, quando l’Artefice che aveva mandato a controllare è tornato con la notizia!

– L’ho vista – affermò laconico il Profeta – Sai che vedo molte cose che accadono e che sono accadute. Ho visto la fortuna sorridere a te e ai tuoi uomini. Ma fa’ attenzione, perché la fortuna è come la luna, cresce e decresce. E adesso sta volgendo al tramonto.

Julius sbiancò. – Che vuoi dire?

– Ho visto una belva dagli artigli neri presso la tua casa, dilaniare la tua famiglia e i tuoi uomini. Accadrà a breve. E tu non potrai fare nulla per impedirlo!

Julius impiegò qualche istante a processare quelle parole. Un attimo prima, stava gioendo per la sua buona sorte e adesso… adesso questo! Gli sembrava impossibile. Eppure, le dritte del Profeta fino a quel momento erano state affidabili, quindi non aveva motivo di dubitare delle sue parole.

Aveva parlato di una belva. Doveva trattarsi di qualcosa di grosso e pericoloso, forse un mannaro o qualche creatura controllata dai druidi… per tutti i troll, con tutta la fatica che aveva fatto per costruire una sua cricca, per arrivare fino a lì, non avrebbe permesso a nessun mostro del cazzo di toccare la sua famiglia e i suoi ragazzi!

– Cosa devo fare? – domandò.

Il Profeta gli lanciò una lunga occhiata. – Cerca l’eremita che abita questa foresta – sentenziò infine – Dirigiti a ovest. Segui il corso del fiume, nella direzione da cui nasce, e al vecchio ponte diroccato volta a est. Lo troverai sotto l’albero morto.

Julius si risollevò, spazzolandosi la terra dalle brache. – Grazie dell’ennesimo consiglio. Se avrai ragione, come al solito, sarai ricompensato.

Un sorriso stento curvò le labbra sottili del Profeta, mente Julius si affrettava fuori dalla tenda. – La mia ricompensa sarà continuare la nostra collaborazione.

Seguendo le indicazioni del Profeta, non fu difficile trovare l’eremita.

La foresta era più rada in quel punto, gli alti fusti lasciavano il posto a roveti secchi e spinosi, l’erba aveva assunto un giallo malsano come durante il più gelido degli inverni. Eppure l’aria era fastidiosamente calda e umida, colava in gola a sorsate e lasciava il sudore appiccicato sulla pelle.

Julius si fece largo tra le spine che gli strappavano il mantello, imprecando tra i denti, fino a trovarsi davanti un enorme tronco. L’albero che era stato un tempo sembrava essersi contorto e raggrinzito, e rampicanti di un verde marcio lo avevano avviluppato come un sudario. Nella corteccia si apriva un enorme squarcio nero, una voragine da cui emergeva un odore di putrefazione che stringeva la gola.

In un lampo, Julius seppe che non avrebbe avuto mai il coraggio di entrare lì dentro. Era un istinto atavico, come la paura del buio, come il chiudere gli occhi durante lo starnuto.

Si schiarì la gola, più volte.

– C’è nessuno? – chiamò.

Silenzio, un silenzio umido e soffocante, poi gli parve di udire un trapestio da sotto il tronco. Oltre quella soglia buia riecheggiò una voce gracchiante.

– Chi mi cerca?

– Mi chiamo Julius. Mi ha mandato un Profeta. Ha detto che solo tu potrai darmi la forza di sconfiggere la creatura dagli artigli neri che vuole fare a pezzi i miei uomini.

Aveva parlato tutto d’un fiato, e alla fine del discorso dovette inspirare a fondo. Prima avesse risolto quella storia, prima avrebbe potuto lasciare quel luogo inquietante e tornare a casa, davanti al focolare, a farsi una bella pinta di birra per sollevarsi il morale. – Posso pagarti – aggiunse, subito dopo. Sapeva che nella Scacchiera nessuno dava niente per niente.

Un sibilo rantolante. Per un attimo Julius pensò che l’uomo all’interno del tronco stesse soffocando. Poi si accorse che si trattava di una risata.

– Tu vuoi la forza – gracchiò l’eremita – Bene, te la darò. Ma ogni dono ha un prezzo.

– Ho detto che posso pagarti… – ribadì Julius, ma l’altro lo interruppe e continuò a parlare come se non l’avesse neppure sentito.

– Ti darò il potere di sconfiggere chiunque. Ma in cambio, dopo averlo usato, sarai il mio servitore. Accetti?

Julius considerò le alternative. Non ce n’erano, a quanto diceva il Profeta, se voleva salvare le persone che amava.

In fin dei conti, una volta scongiurato il pericolo della profezia, poteva sempre mandare i suoi uomini a stanare l’eremita dal tronco, e fargli tagliare la gola. Era difficile essere il servitore di un cadavere, giusto?

– D’accordo – rispose – Accetto lo scambio.

Un oggetto emerse lanciato dalle squarcio nel tronco e atterrò ai suoi piedi. Julius si chinò per raccoglierlo. Era un boccetta di vetro, con all’interno un liquido grumoso e nerastro.

– Quando sarà il momento, bevilo – ordinò l’eremita.

– Cos’è questo intruglio? – si azzardò a domandare Julius, anche se in cuor suo preferiva non saperlo.

– Il viatico per il potere – fu la risposta – Adesso va’. Ci rivedremo presto.

Te lo sogni, vecchio pazzo!, pensò Julius, ma si limitò a risollevarsi e riporre la boccetta nella scarsella. Attese qualche istante, per esser sicuro che l’eremita non avesse altro da dirgli, quindi tornò sui suoi passi. Solo quando fu lontano, sulla via di casa, si permise una risata liberatoria.

Di posti di merda ne aveva visitati tanti, ma quello li batteva tutti.

Il crepuscolo era passato quando giunse in vista della fattoria. Si accorse subito che qualcosa non andava, ben prima di udire le grida: fiaccole si muovevano di qua e di là e sagome scure avevano invaso lo spiazzo tra la casa e i recinti degli animali.

Un agguato.

Impiegò un istante a riaversi dalla sorpresa. Sguainò la spada e corse verso la fattoria. Scavalcò il recinto sul retro in un balzo e per poco non si trovò decapitato dalla lama di un guerriero emerso dall’ombra. Guidato dall’istinto, si abbassò all’ultimo momento e udì la lama fischiare a pochi pollici dalla sua testa. Tese la spada in un affondo e trapassò da parte a parte il nemico, che si accasciò al suolo.

Scosso, Julius liberò l’arma con uno strattone dal corpo. Al chiarore dell’incendio che stava avvampando, vide che il suo assalitore aveva oscurato la lama della sua spada con il fumo, per non farsi individuare nella notte, e indossava un mantello scuro con ricamato lo stemma della cricca delle Lame Nere.

La cricca che aveva lavorato per l’Altomastro di Ramana prima di loro. E che evidentemente intendeva vendicarsi per essere stata sostituita.

– Merda! – imprecò Julius, guardandosi intorno. I suoi uomini si erano schierati a difesa della casa, ma erano stati colti di sorpresa, alcuni di loro non indossavano neppure l’armatura. I nemici invece erano ben organizzati: avevano già appiccato il fuoco alla stalla e lanciavano torce contro il tetto di legno dell’abitazione principale. Evidentemente si erano avvicinati con il favore delle tenebre, ed erano molto più numerosi dei difensori.

Dannatamente troppi.

Julius abbassò lo sguardo sulla lama del nemico abbattuto. Nera come la notte. I bastardi avevano oscurato le lame con il fumo per non farsi individuare dalle sentinelle.

… belve dagli artigli neri…

Ecco a cosa si riferiva la profezia, pensò Julius, fissando la sua casa in fiamme e le sagome che combattevano selvaggiamente nella notte. Stava già avvenendo.

Ma lui aveva il potere di cambiarla.

Frugò nella scarsella e la sua mano si strinse intorno alla boccetta di vetro. La stappò e la portò alle labbra, lieto che l’oscurità nascondesse ai suoi occhi quel liquido nerastro. Poi lo bevve tutto d’un fiato.

All’inizio non sentì nulla, se non un sapore di cimici morte in bocca, e pensò che l’eremita l’avesse preso in giro. Si preparò quindi a vendere cara la pelle, e morire insieme ai suoi uomini e alla sua famiglia.

Poi giunse. La sensazione di crescere a dismisura, fino a strappare i vestiti e persino la cotta di maglia che indossava. La sensazione che il sangue pompasse più veloce nelle sue vene, che la vista si facesse più acuta, gli odori più pungenti. Con un ringhio, caricò i membri della cricca rivale con disperata ferocia, menando colpi a destra e a manca. Erano tanti, eppure le loro lame non lo scalfivano, mentre la sua spada prima, e poi i suoi artigli, si bagnavano rapidamente di sangue.

Quando si fermò, ansimando, era circondato dai corpi di decine di nemici uccisi. I superstiti si erano dati alla fuga, in preda al terrore.

Si volse. Dei suoi uomini, una decina era sopravvissuta all’incursione delle Lame Nere. Lo fissavano, lo stupore dipinto in volto. Alle loro spalle, sua moglie, il volto cosparso di cenere, una coperta gettata sulle spalle, stringeva a sé i figlioletti terrorizzati.

E poi, dalle ombre della notte, emersero due figure incappucciate.

Julius si voltò per fronteggiarle, pensando che fossero altri guerrieri delle Lame Nere. Al chiarore dei fuochi, riconobbe il Profeta. Al suo fianco, un uomo curvo, dai capelli radi, con una maschera demoniaca di legno sul volto.

– Hai ciò che ho promesso – gracchiò, e Julius riconobbe la voce dell’eremita – Adesso tocca a te rispettare la tua parte dell’accordo – di nuovo quella risata rantolante – Non che tu abbia scelta…

Julius provò a rispondere, ma solo un ringhio cupo gli emerse dalle labbra.

– La Profezia deve compiersi – affermò il Profeta – La belva con gli artigli neri è giunta.

L’eremita annuì, poi allungò un braccio nodoso a indicare i Lupi Bianchi superstiti e la sua famiglia. – Uccidili! – sancì.

Julius non si accorse di aver spiccato il balzo fin quando non atterrò davanti a Terenzio, il suo luogotenente, il suo migliore amico.

Con una zampata gli staccò la testa dal collo.

Inorridito, fissò la propria mano, e gli artigli neri luccicanti di sangue che si allungavano dalle sue dita.

– Uccidili – ripetè l’eremita, con voce trionfante – Uccidili tutti!

Julius non voleva, eppure obbedì.

La Profezia si era compiuta.

Share Button

Commenti

commenti

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.