Prima e dopo

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Aveva bussato alla porta già due volte: evidentemente fingere di non essere a casa non era servito a granché.

Ottavia, rassegnata, si risolse quindi ad aprire al vecchio amico, che per contro continuava a vociare oltre la porta: lo spettacolo che le si parò innanzi era esattamente quello che si aspettava e, soprattutto, che temeva.

Aldo se ne stava in piedi per miracolo, o meglio, per merito dello stipite al quale si era aggrappato con entrambe le mani: puzzava come un caprone della peggior stalla delle Piane, e Ottavia avrebbe scommesso che, nonostante l’ora, fosse ubriaco già da un po’. O magari lo era dalla sera precedente, altrettanto probabile: ogni volta si chiedeva quale demonio potesse indurlo a bere tanto.

– Aldo… ma che bella sorpresa… – non era brava a mentire, ma, in quelle condizioni, dubitava che l’uomo se ne sarebbe accorto.

Infatti Aldo varcò la soglia con entusiasmo e il suo solito passo barcollante.

– Ottavia! Mia adorata, vecchia amica! Come stai? – biascicò, facendo per abbracciarla, e fugando tutti i dubbi che Ottavia poteva nutrire sulle sue condizioni. –  Temevo non fossi a casa e invece, guarda che fortuna!

Lei resistette all’impulso di tirarsi indietro, di fronte a quella zaffata di alcol misto a sudore.

– In effetti stavo proprio uscendo… c’è molta legna da raccogliere quest’anno, l’inverno si avvicina a grandi passi…

Aldo non parve ascoltarla e anzi riuscì a insinuarsi in casa senza troppe cerimonie, sebbene Ottavia cercasse di trattenere la porta: non voleva che infastidisse anche…

– AMANITA! Per tutti gli Dei, sei bellissima, fatti guardare! La maternità ti ha resa ancora più bella!

Abbracciò la donna con un affetto forse esagerato dai fumi dell’alcol, ma Amanita, che di norma reagiva molto meglio di Ottavia alle effusioni, non se ne curò e rispose all’abbraccio con altrettanto affetto.

– Oh, Aldo, sei sempre così caro! Grazie per la visita. Ti unisci a noi per pranzo?

E con quelle parole, la speranza di Ottavia di congedare rapidamente il vecchio amico svanì dietro la porta accostata.

–Accidenti ad Amanita e al suo buon cuore…- brontolò tra i denti, ma con un lieve sorriso a incresparle le labbra. Nonostante le lamentele, al pensiero dell’adorabile compagna non poteva che gongolare.

Durante il pranzo ripercorsero alcuni tra i più spericolati momenti del passato di Aldo, sempre in bilico tra un’epica impresa e un colossale fallimento: appena la Ribellione aveva preso consistenza pochi anni prima, vi si era unito senza indugio. Era solo e incapace di badare a se stesso: l’incerta prospettiva di soverchiare un ormai castrante Impero millenario era quanto di meglio potesse riservargli il futuro.

Per questo già in passato aveva cercato di coinvolgere la sua vecchia – bigotta ma possente – amica Ottavia in quella battaglia: non poteva immaginare che qualcuno in quel mondo, con la prospettiva di una rivoluzione radicale, non fosse interessato a guerreggiare.

Nessuna delle due donne si stupì quindi al momento della nuova chiamata alle armi.

– Avete un figlio in arrivo… come potete pensare di farlo crescere in questo mondo? Non vorreste donargli un futuro migliore?

Il messaggio era anche degno di un pensiero, considerò Ottavia, ma il modo in cui l’uomo biascicava le parole tradiva qualcosa di più del mero altruismo: Aldo era quel tipo di persona che voleva veder bruciare il mondo, per torti subiti o anche solo immaginati. Adorava menare le mani e la polveriera nella quale si stava tramutando il Vecchio Mondo era semplicemente troppo allettante per non gettarvisi a capofitto. Altro che riservare un futuro migliore ai loro discendenti!

– Non venderla più nobile di quanto non sia… – replicò Ottavia, servendo Amanita, senza guardarlo – Senza contare che qua non arriva il volto peggiore dell’Impero: siamo un villaggio di boscaioli che non desta interesse per i grandi Signori della Capitale.

Ottavia non era come Aldo: aveva vissuto una vita semplice, tutto sommato serena, abbellita oltre ogni previsione dall’amore che aveva condiviso con Amanita. Non approvava la deriva dittatoriale che di recente avevano preso i grandi Signori della Capitale, come li chiamava lei, ma al contempo sperava con tutte le sue forze che, fintanto che fossero rimaste nel loro sperduto villaggetto, niente avrebbe turbato il loro futuro.

– Quindi mi stai dicendo che quello che ha subito qualche luna fa Amanita va bene?

Aldo fece uscire quelle parole quasi con noncuranza, ma evidentemente consapevole dell’effetto che avrebbero avuto su Ottavia.

Infatti lei si alzò così di scatto da far schiantare contro il pavimento la sedia dietro di sè. Per un attimo solo il fragore riempì la stanza, come un tuono improvviso a ciel sereno.

Fu Amanita però a parlare.

– Una lunga amicizia ti lega alla mia Ottavia, Aldo, ma non approfittartene – disse, poggiando una mano sopra il pugno serrato della compagna. Quel tocco gentile ebbe subito il potere di placarla e Ottavia tornò a sedersi, sebbene ancora adombrata.

– Quel che è successo sette lune fa è una ferita ancora aperta nei nostri cuori – continuò Amanita – Per quanto ne abbiamo accolto i frutti con rinnovato ottimismo – aggiunse, accarezzandosi il ventre rotondo.

– È stato un incidente isolato, – le fece eco Ottavia, sbrigativa – e quel maledetto ha avuto ciò che si meritava! Forse nemmeno tra le file della milizia imperiale sentono la sua mancanza…

Si erano raccontate quella balla così tante volte che ormai, a sette mesi di distanza da quell’incidente, pensavano di essersene convinte persino loro: la verità però era un’altra.

Ogni volta che bussavano alla porta, che al villaggio si accalcava una piccola folla o che un insolito rumore di cavalli irrompeva dalla finestra, il loro cuore perdeva un battito, mentre le teste, all’unisono, prendevano a organizzare il piano migliore per darsi alla fuga.

Ma non era necessario che Aldo conoscesse le loro paure, decise Ottavia: dopotutto, come aveva precisato Amanita, erano passate più di sette lune, e forse di quel bastardo, davvero, si erano dimenticati tutti quanti, soprattutto l’esercito imperiale…

Il pranzo continuò in silenzio, per l’imbarazzo di tutte le persone sobrie presenti: infine, dopo qualche altro bicchiere di vino offerto dalle sue ospiti, Aldo finalmente si congedò. Le salutò con baci e abbracci e Ottavia, accompagnandolo alla porta, si augurò che, sebbene Aldo non avesse ottenuto il supporto sperato, la sua visita fosse stata piacevole, in nome dei vecchi tempi.

– Sai, amica mia, forse hai ragione… – commentò Aldo, mentre si aggiustava in testa il cappello moscio e usciva di casa. Per una volta, il suo tono era serio, e il suo sguardo vagamente lucido. – Forse fai bene a tenerti lontana dalla violenza con la quale i focolai della Ribellione vengono spenti in ogni parte del Vecchio Mondo. Forse non è così male trovarsi una persona alla quale volere bene e sistemarsi, una volta per tutte…

– Dovresti pensarci anche tu – gli augurò Ottavia, con sincero affetto, mentre il suo tono si addolciva – Non puoi vivere solo per la violenza e l’odio.

Aldo ridacchiò e scrollò le spalle. – Oh, no, vecchia mia, io non sono te!

Quindi si avviò barcollante lungo il sentiero. Ottavia rimase per un po’ sulla soglia a guardarlo mentre si allontanava.

A tradimento le sovvenne il pensiero di ciò che aveva fatto a quell’imperiale, sette lune prima, quando l’aveva sorpreso ad aggredire Amanita: la violenza che le aveva offuscato la vista, il sapore metallico del sangue.

Chiuse gli occhi. Li riaprì.

Riusciva ancora a vedere Aldo lungo il sentiero, era una bellissima giornata di sole.

Quell’imperiale era morto e loro erano felici. Nient’altro contava. Di certo non la maledetta guerra di Aldo.

No, non sono come lui, ripetè a se stessa.

***

Erano passate meno di due lune dall’ultima volta in cui Aldo l’aveva vista, eppure a stento era riuscito a riconoscerla quando gli avevano indicato dove trovarla: aveva saputo cos’era successo, e semplicemente non poteva non essere lì.

Ottavia era seduta sulla collinetta dove un tempo si stagliava il suo tranquillo villaggio, le gambe incrociate e un fagotto informe che accarezzava guardando persa l’orizzonte.

Quando Aldo si avvicinò, lo spettacolo fu anche peggiore di quel che gli avevano riferito: ad essere cullata, avvolta in un panno ormai sudicio, era la testa di Amanita, un tempo la dolce e graziosa compagna di Ottavia, divenuta uno dei poveri resti in decomposizione dell’eccidio di Querciarossa.

Alla fine i bastardi erano tornati a rivendicare il commilitone caduto: avevano stanato il villaggio e in un eccesso di perfidia avevano atteso che i suoi abitanti s’illudessero di poter tornare a una vita tranquilla. Poi avevano colpito, durissimo, come solo l’Impero sapeva fare, e il risultato gli era innanzi agli occhi in tutto il suo macabro splendore: un intero villaggio bruciato e un camposanto ricolmo di cadaveri orribilmente mutilati.

Gli unici superstiti? Il gruppo dei falegnami, tra i quali la stessa Ottavia.

Mentre Aldo le si avvicinava, Goffredo, un tempo la gioviale e saggia guida dei taglialegna, gli aveva raccontato qualche dettaglio: quel giorno orribile, sul far del crepuscolo, erano di ritorno al villaggio dopo un estenuante turno di lavoro.

Avevano capito che qualcosa di terribile era avvenuto a qualche miglio di distanza: i numerosi rivoli di fumo che si stagliavano contro il cielo erano tali da non poter far pensare a un semplice incendio…

– Abbiamo aumentato il passo, nonostante la paura di essere comunque in ritardo avesse già attanagliato i nostri cuori. Quando siamo arrivati in linea di vista con quello che era… era stato… il nostro villaggio, abbiamo capito che la nostra paura era fondata…

Hanno decapitato le donne e i bambini per mettere le loro teste sulle picche lungo la nostra palizzata: i loro corpi, i loro poveri corpi, li hanno gettati in una fossa comune, per poi dar loro fuoco. L’odore di carne bruciata si è sentito fin da in fondo alla valle anche il giorno successivo…

Goffredo era così pallido da sembrare un fantasma. Si era fermato e aveva tratto lunghi respiri prima di riprendere a parlare.

– Lei è lì da due giorni: non si è mossa nemmeno per cacare, sembra come morta, se non fosse… se non fosse per… Per tutti gli Dei: chi voglio prendere in giro? Giona, quello scansafatiche di mio figlio, per una volta ha deciso di venire con noi l’altro giorno, altrimenti… beh, sarei anche io a cullare i suoi resti se non fosse per un fortunato scherzo del destino… Amanita, povera Amanita! Era quasi al nono mese… come si fa a fare una cosa del genere a una donna in procinto di partorire?

Aldo aveva annuito. – Ho capito, ho capito, lascia che le parli…

Quando giunse da lei, però, non seppe cosa dirle: la donna sembrava sprofondata in un torpore vigile, nel quale era capace solo di respirare e accarezzare meccanicamente la testa dell’amata, resa terribile dalla decomposizione e dalla smorfia di dolore che le distorceva i lineamenti, un tempo delicati e gentili.

Era sicuro che, se avesse provato a toglierle quel macabro feticcio, Ottavia l’avrebbe aggredito e, per quanto semplici potessero essere i piani che la sua mente era in grado di partorire, un altro morto non sarebbe servito a nessuno.

Si limitò a sedersi accanto a lei e a osservarla qualche istante: i capelli, sudici e scompigliati, avevano perso il loro colore. Il viso, sporco di terra e sangue, era segnato da lacrime ormai inaridite dal sole: gli occhi erano consumati come la brace in procinto di spegnersi, lo sguardo correva già nella Spirale delle Anime.

Aldo appoggiò la sua mano su quella della donna, costringendola a interrompere l’unico movimento che tradisse una qualche vitalità: Ottavia si voltò, meccanicamente, come se il collo intorpidito opponesse un’ostinata resistenza.

Aldo doveva scegliere bene le sue parole.

– Ti porterò chi vi ha vendute, te lo giuro, Ottavia. Però devi lasciare che la seppellisca: non merita che il tempo infierisca ulteriormente sui suoi poveri resti.

Si fece coraggio e prese il fagotto. Al suo posto lasciò un piccolo oggetto di metallo. L’anello nuziale di Amanita era sporco di fuliggine ma lo stesso inconfondibile: aveva una piccola ape incisa sopra, il suo animale preferito.

La mia Ottavia, instancabile e operosa come un’ape, così la prendeva sempre in giro Amanita.

– L’ho trovato tra…- Aldo tossicchiò – Beh, l’ho trovato, e ti giuro che troverò anche il maledetto traditore che vi ha vendute. Fidati di me, amica mia!

Ottavia voleva piangere, era evidente: solo non aveva più lacrime da versare.

***

La ritrovò esattamente dove l’aveva lasciata, sette giorni dopo: Giona, il figlio del capo falegname, le aveva messo una coperta sopra le spalle.

– Le ho fatto bere dell’acqua, di quando in quando, niente di più… – sembrava mortificato, ma Aldo non poteva biasimarlo per quello. Quella testa dura di Ottavia non era ragionevole in condizioni normali, quando Amanita riusciva in qualche modo ad ammorbidirla, figurarsi dopo quello che era accaduto.

Aldo le sedette accanto e quando Giona fece per allontanarsi gli chiese di restare per assisterlo. Stupito, il ragazzotto si accovacciò a qualche passo di distanza, mentre Aldo cominciava a parlare.

– Sai, non è stato facile trovare la talpa – disse, mentre intanto aiutava Ottavia a bere da un bicchiere di terracotta – Mi chiedevo: chi avrebbe potuto? L’avevamo seppellito ben nascosto, quel figlio di puttana, il villaggio non è proprio una meta di passaggio usuale per i militi imperiali… Per andare così a colpo sicuro avrebbero dovuto indagare a fondo, oppure radere al suolo almeno un’altra mezza dozzina di villaggi della zona, e quando ho notato che solo il tuo era stato raso al suolo ho capito che quei bastardi dovevano aver avuto un’imbeccata.

Ottavia beveva, gli occhi che riprendevano vita: se fosse stata la bevanda o quelle informazioni, Aldo non poteva saperlo.

– Da brava, devi riprenderti… Dicevo, forse hanno fatto serpeggiare qua e là la notizia che ogni villaggio della zona sarebbe stato raso al suolo se non avessero trovato il vero colpevole. Minacce ben poco velate, sai come fanno loro… Magari qualcuno potrebbe aver pensato che fosse più giusto farla pagare solo a chi aveva commesso il “crimine”. Beh, forse è meglio non scomodare la giustizia: ho saputo che un tizio ha riscosso un bel gruzzolo da un graduato imperiale, tre lune fa, alla locanda del Cappellaio Matto, a Collemora. Lo stesso tizio ha incontrato di nuovo lo stesso graduato, sempre alla stessa locanda, due settimane fa, e quindi mi chiedo: credi al caso, amica mia?

La donna scrollò la testa, gli occhi iniettati di sangue: Aldo vide contrarsi ogni muscolo del suo corpo, lentamente, segno che il tonico che le aveva somministrato stava facendo effetto.

– Ebbene, ti chiederai: chi è la spregevole testa di cazzo che può aver causato la distruzione del vostro villaggio? Qualcuno che sapeva, quindi di qui, ma che a te non era legato da una solida amicizia, dal momento che coloro che erano presenti alla sepoltura dell’imperiale avevano giurato innanzi a tutti gli dèi che MAI avrebbero parlato… Magari un loro congiunto forse?

Ottavia era ancora troppo confusa, o si sarebbe accorta che Aldo, per la prima volta da molti anni, le si era presentato sobrio.

Per questo, quando Giona balzò in piedi e tentò di scappare, per lui fu un gioco da ragazzi agguantarlo: lo prese alle caviglie e lo fece cadere rovinosamente a faccia in giù nel terreno.

Il giovanotto provò a gridare, disperato, ma quando sollevò la testa vide già l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo: suo padre era dritto di fronte a lui, le mani conserte e l’espressione rassegnata e mesta di chi è in procinto di perdere un figlio.

– Padre… tu non capisci – gracchiò – Hanno detto che avrebbero massacrato tutti quanti, ogni villaggio nel raggio di chilometri… io… IO HO DOVUTO!

–Ah si? E il denaro? Com’è che ti sei fatto pagare per un gesto così nobile?

Giona farfugliò una serie di scuse inconcludenti.

– Hai venduto i tuoi amici, tua madre… per cosa? La mia Anna… sono contento che lei non abbia dovuto assistere a tutto questo. Dovevo capirlo fin da subito che quel giorno non ti sei unito a noi perché finalmente eri cresciuto: tutto quel sangue è sulle tue mani…

Una lacrima solitaria rigò il volto polveroso del vecchio taglialegna: in vita sua era la seconda volta che piangeva ed accadeva solo a pochi giorni di distanza dalla prima. Cercò lo sguardo di Ottavia, in un misto tra vergogna e disperazione: negli occhi di lei scorse una rabbia che non ammetteva pietà.

Si allontanò senza voltarsi. Molte ore dopo trovarono il suo corpo appeso a una robusta quercia secolare.

Ottavia si alzò, rigida. Arrancò fino al giovanotto, che giaceva ancora supino, in lacrime, balbettando scuse. Quando gli fu sopra, cominciò a picchiarlo, selvaggiamente, come se le poche energie che aveva recuperato servissero solo e soltanto per quei pugni brutali.

Aldo distolse lo sguardo da quella scena: Ottavia urlava in preda al dolore, sbavava come un cane rabbioso, mentre massacrava di botte quel ragazzo poco più giovane di lei, col quale era cresciuta e che non sarebbe mai diventato un uomo.

La vendetta non era quello spettacolo liberatorio che si aspettava, pensò mestamente tra sé Aldo.

Intervennero alla fine, quando Giona aveva smesso di urlare già da tempo. Mentre altri taglialegna si occupavano del corpo sfigurato del ragazzo, Aldo prese Ottavia per le spalle e l’abbracciò, come il fratello ed il vecchio amico che era.

– Adesso penserò io a te, Ottavia. Conosco un posto dove potrai sfogare ogni briciola della tua rabbia, fino a quando non te ne sarà rimasta nemmeno un grammo in corpo: il Fanciullo Guerriero ti piacerà… – accennò un sorriso tirato – E se così non fosse, sono sicuro che comunque tu piacerai a lui…

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