Promesse

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Era ormai il tramonto quando finalmente entrò nella tenda. In quanto Cadetto, aveva passato il pomeriggio a risolvere le normali incombenze della masnada – allestire il campo fuori dalla borgata di Soldraco, preparare i carri e le vettovaglie per la partenza – e quelle altrettanto normali, purtroppo, ma più dolorose: aggiornare il registro dei Ragazzi.
Alla sua richiesta, Xorba le aveva porto il tomo ed era rimasta in religioso silenzio mentre lei scriveva il vero nome di Vinicio, e poi vi apponeva una croce accanto, e cancellava quello di Gastone.
L’ape del giovane Cavaferro pesava come un macigno nella sua tasca.
Xorba aveva ripreso il registro senza fiatare, con l’elegante calma che la contraddistingueva, e Cristilde gliene era grata. Qualunque parola, in quel momento, rischiava di mandare in pezzi il suo autocontrollo, e lei non poteva permetterselo.
Si sfilò la cintura con la scarsella da cerusico e andò a lavarsi le mani nella bacinella sul tavolinetto vicino al giaciglio. Il suo riflesso la scrutava nel piccolo specchio di fronte. Cristilde incontrò il suo sguardo stanco.
L’unica cosa che avrebbe voluto fare davvero, durante la giornata, era dare l’estremo saluto a Vinicio. Eppure non aveva potuto. Quando si era avvicinata al corpo martoriato, Ciri lo aveva afferrato da sotto le ascelle e l’aveva trascinato via da lei.
– Cristilde, tu non hai fatto nulla! – le aveva sibilato caustica allontanandosi.
Il pugno colpì il vetro con violenza. Lo specchio andò in frantumi, al pari di tutti quelli della borgata per colpa del maledetto Redivivo, e le tagliò la carne. Cristilde accolse quel dolore nella speranza che fosse in qualche modo catartico.
– Che accidenti potevo fare? Ho cercato di tenerlo vivo per più di un anno. Ottavia l’avrebbe ammazzato a Magnirocca, quando quel fottuto collaboratore imperiale l’ha additato come gregario dell’Immacolato. Gli ho concesso tempo e gli ho permesso di arrivare a provare di dimostrarsi innocente. E lui cosa fa? Quando ha scoperto il suo passato, poteva darsi alla macchia, dannazione, come gli avevo pure consigliato, tentare qualche espediente, sopravvivere e lottare ogni giorno per rimediare ai propri errori. E invece è andato dritto per la sua strada, sbattendo la verità in faccia a Ottavia, senza pensare a ciò che comportava anche per coloro che gli erano vicini. Pazzo, cosa credeva? Se ti getti contro un uragano, non puoi stupirti se ti fa a pezzi. Ottavia è Ottavia e una promessa è una promessa, e qualcosa di più di scarabocchiare il proprio nome su un libraccio sgualcito!
Il sangue gocciolava lungo le nocche sul tavolinetto. Cristilde lo tamponò alla meglio con una garza e uscì dalla tenda prima di soffocarvi. Attraversò il campo in cui cominciavano ad accendersi i fuochi e, dopo aver scrutato il terreno, si inoltrò nella boscaglia circostante.
Non dovette camminare a lungo prima che Francisco e Sirius le si parassero davanti.
Si scrutarono per un lungo attimo, tra di loro l’eco della loro ultima discussione.
– Gli imperiali devono morire tutti quanti – aveva sentenziato Francisco quella mattina, poco prima che la sentenza di Vinicio venisse eseguita – Quante persone hanno ucciso e quante famiglie hanno distrutto durante la guerra?
– Che ti piaccia o no, i ribelli hanno fatto esattamente lo stesso – aveva risposto lei, altrettanto truce. Detestava nascondersi dietro le ideologie: la guerra era stata uno schifo per tutti e basta.
Infine Francisco si scostò per lasciarla passare. – Di là – disse, con un cenno del mento.
Ottavia era seduta a gambe incrociate davanti a un piccolo fuoco, il cui fumo veniva nascosto dalle fitte fronde. Al suo fianco, Aldo stava riempiendo i boccali di entrambi spillando due enormi barilotti e biascicando cose senza senso, segno che era già ben oltre l’ubriachezza non molesta.
– Credo che tu debba andare a lavarti – lo apostrofò Cristilde – Hai l’aspetto di un bastone da pollaio e un odore ben peggiore. È un miracolo che tu non abbia fatto scappare i cavalli e ogni creatura dotata di olfatto nel raggio di un miglio.
Aldo le lanciò un’occhiata tra il confuso e lo stizzito e sollevò un braccio per annusarsi l’ascella. – Dici? Eppure mi pare di essermi gettato in un torrente un paio di settimane fa… o forse erano tre?
La smorfia successiva diede ragione a Cristilde.
– Forse una sciacquata non è una cattiva idea – borbottò il veterano del Crepuscolo, alzandosi barcollante. Quando le passò accanto, la cerusica fu avvolta da una zaffata di alcol così intensa da far girare la testa. – Mi raccomando, non vi scolate il resto del barilotto senza di me…
Cristilde attese che se ne andasse prima di sedersi accanto a Ottavia. Solo allora l’Alfiere si staccò dal boccale di corno e si voltò a guardarla.
– Come sapevi che ero qui?
– Immaginavo tu fossi ancora nei dintorni. Ci conosciamo da quasi sei anni, ricordi? Quanto al luogo preciso, oltre a seguire la puzza di Aldo… – indicò i solchi nel terreno lasciati dai barilotti – So abbastanza della vita d’armi per riconoscere le tracce di chi trascina via dal campo di nascosto le scorte di alcol.
Una parvenza di sorriso curvò le labbra di Ottavia. Un attimo soltanto, prima di lasciare il posto alla solita smorfia rabbiosa, ma abbastanza per illuminare il cuore di Cristilde con la fierezza di chi ha compiuto un mezzo miracolo.
– Che hai fatto alla mano?
Lei abbassò lo sguardo sulla benda chiazzata di sangue. Se ne era accorta. Nonostante la penombra, nonostante fosse palesemente ubriaca, Ottavia se n’era accorta. Perché teneva a lei. Forse sarebbe stato tutto più facile se non le fosse importato niente.
– Ho avuto uno scontro con uno specchio.
– Ha vinto lui, mi pare.
– Sì. E io ho vinto sette anni di guai, se ascolti le leggende alemarite.
Ottavia rispose con uno sbuffo e svuotò rumorosamente il boccale. Anche lei aveva le nocche della mano destra scorticate, e abbastanza gonfie da suggerire qualche ossicino rotto sottostante.
La corazza di Vinicio era dura da prendere a pugni.
– Fa’ vedere!
Cristilde le prese la mano e tastò leggermente. Il sussulto di Ottavia le confermò i suoi timori.
– Dammi un attimo.
Nella fretta aveva lasciato la scarsella da cerusico nella tenda, ma in tasca aveva un potente unguento lenitivo e rigenerante. Lo applicò sulle nocche doloranti, muovendole piano per rimettere le ossa a posto, quindi le fasciò con la benda che teneva nel suo bracciale di cuoio. – Domattina sarà come nuova.
Indugiò, trattenendo la mano di Ottavia tra le sue. Temeva che lei la strattonasse via, ma invece rimase immobile, rigida come una statua, a fissare il vuoto tra di loro.
– Non potevo fare altrimenti – disse.
Cristilde annuì tristemente.
– Avevo promesso, cazzo, e una persona, soprattutto un Alfiere, vale quanto la sua parola. Non posso permettermi di fermarmi se voglio arrivare fino all’Immacolato tutta d’un pezzo! Fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo imperiale! Credimi, Cris, una parte di me avrebbe voluto… ma hai letto quel maledetto documento, no? Se almeno quello stupido si fosse strappato quella fottuta maschera imperiale per sua scelta, invece che per un caso fortuito…
La cerusica percepiva il dolore di Ottavia nel petto come se fosse proprio. Se solo prenderlo su di sé avesse potuto togliere all’altra quel fardello…
Fu con una fatica immane che chiese: – Se avesse scelto consapevolmente di redimersi, l’avresti perdonato?
– Tu credi davvero nella possibilità di cambiare?
– Sì – rispose Cristilde – E vorrei tanto che ci credessi anche tu.
Ottavia scrollò le spalle con uno sbuffo, e la cerusica sentì la sua mano scivolare via. La osservò mentre si riempiva di nuovo il corno fino all’orlo, bevendo un lungo sorso, e desiderò di essere quel liquore per poter sfiorare le sue labbra ancora una volta.
– Tornerai al campo?
– Bah – Ottavia si pulì la bocca con la manica della camicia – Forse dovrei aspettarmi qualche coltellata a tradimento in mezzo alle costole. Tipo da Greg, da Gastone o da Ciri. Che ci provino, fanculo anche loro! Non ho bisogno di gente che non crede nei nostri capisaldi!
Cristilde sospirò. Era facile giurare di uccidere l’idea di un mostro: il problema era quando quel mostro diventava una persona.
– Non alzeranno le lame contro di te – affermò – E comunque non permetterò a nessuno di farti del male.
Suonava un po’ ridicolo anche a lei, in effetti, dato che era una cerusica più che una guerriera, e accanto alla figura imponente del suo Alfiere sembrava, appunto, “un’intrecciatrice di cestelli”.
Ottavia però non rise. Si chinò verso di lei e le sfiorò la guancia con la punta delle dita.
– Quando parli così, mi sembra quasi che sia possibile…
Non terminò il discorso. Ritirò la mano prima che l’altra potesse ribattere e tornò a fissare le fiamme. – Non so ancora se tornerò al campo.
Cristilde dovette ritrovare la voce, finita da qualche parte tra lo stomaco e la gola, insieme al suo respiro spezzato. – Va bene – riuscì infine a pronunciare – Quello che sceglierai andrà bene. Tanto non credo ci tornerò neanch’io stanotte.
– Guarda che lo so che neanche a te piacciono i capisaldi del Crepuscolo.
Cristilde non aveva intenzione di negare l’evidenza. – Ottavia, una promessa è una promessa. Che l’abbia fatta per amore o per qualsiasi altra ragione, non cambia niente. Il mio nome è scritto nel registro insieme al tuo. Tu sei il mio Alfiere e io il tuo Cadetto. Penserò alla masnada in tua assenza, e rimarrò al tuo fianco sino alla fine.
– La fine mi pare un traguardo troppo lontano per perdere tempo a pensarci adesso – Ottavia finì di scolare il suo boccale e si gettò indietro sul giaciglio, le braccia incrociate sotto la testa. – Accontentiamoci per ora di questa notte…

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