Di Lacrime e Rabbia

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Dopo il caos di Soldraco, Odile poteva contare di trovare ordine lavorando nell’infermeria del campo delle masnade, appena ripartite dal villaggio. Nella tenda finalmente i feriti potevano riposare tranquilli, chi con qualche sutura, chi con una gamba steccata, ma finalmente sulla via della guarigione.

Odile si rivolse alla giovane cerusica seduta sulla sedia all’ingresso, con davanti una pesca piena di suture.

“Controlla che rimangano stabili e vienimi a cercare per qualsiasi cambiamento. Lasciamo riposare Cristilde, stanotte.”

Per quanto lei avesse passato solo il primo Campomagno nel campo del Crepuscolo, aveva visto subito come si stavano formando i gruppi, e soprattutto aveva visto con quanta ansia e dedizione Cristilde si impegnasse a tenerli tutti vivi.

Non sempre era possibile, le battaglie erano tante.

Ma che un membro dell’élite morisse per mano di Ottavia… no, non credeva se l’aspettasse nessuno.

Entrò nella propria tenda, togliendosi gli stivali prima di mettere piede sui tappeti rasi che ne coprivano il fondo. Non era molto grande, ma era confortevole per lei. Il suo giaciglio da una parte, con delle tende blu che poteva aprire o chiudere, specie quando non voleva vedere la luce. Le coperte non troppo pesanti ancora, anche se la notte iniziava a dare dei piccoli morsi di freddo. Dall’altra, le sue lanterne alchemiche, che davano luce senza scaldare troppo, e senza fare fumo. In quella zona c’era un altro tappeto, abbastanza grande, con motivi rossi, beige e blu, più spesso, con una stesa di cuscini azzurri sopra, come aveva imparato ad Alemar, e su un piccolo supporto, la sua teiera in caldo, con dentro un infuso che propiziasse il sonno. I suoi quaderni e i libri erano sul piccolo tavolo pieghevole che usava per riordinare gli appunti, fossero medici, alchemici, o sulle stranezze che incontrava in giro per la Scacchiera.

Ne aveva molti da riordinare.

Odile si cambiò l’abito, mettendosi i pantaloni larghi e morbidi e una blusa che prediligeva per dormire, e si gettò lo scialle sulle spalle. Si sedette a gambe incrociate sui cuscini, prendendo in mano la sacchetta color del mare, con quel ricamo tanto vecchio e tanto familiare…

Le sue riflessioni furono interrotte da un fruscio, giusto fuori dalla calata che faceva da porta alla tenda. Sembrava che qualcuno stesse cercando il lato dell’entrata… senza troppo successo. Odile osservò il pesante tessuto muoversi, gobbe formare pozze di ombra che si muovevano goffamente, fino a che non fece capolino una testa ormai conosciuta, lunghi capelli neri, e grandi occhi incorniciati di nero. Odile stava quasi per pronunciare il primo nome che associava a quel viso, Vidar, quando riconobbe lo smarrimento che aveva visto quella mattina.

Non era Vidar.

Non accadeva spesso che Cecily comparisse nel campo e ancora più raramente che venisse nella sua tenda.

Anzi, era la prima volta.

Anche Vidar veniva più spesso nella tenda infermeria, per lavoro e studio. Anche se Odile ancora non aveva capito la situazione tra le due, sapeva che Cecily era giovane. E insicura. E forse pericolosa? Ma in ogni caso, ora sembrava in cerca di conforto.

“Ehi, Cecily…” le disse, la voce bassa e calma.

“Eh… ehi… ciao…” le rispose la ragazzina, nascondendo mezzo viso nella tenda e sbucando solo con gli occhi.

“Entra, Cecily, ho della tisana di mela e cannella pronta… volevi qualcosa?”

La ragazza vestita di nero sparì dietro la calata, e poi riapparve tutta insieme, chiudendo il drappeggio alle sue spalle. Prima che potesse mettere un piede sul tappeto interno, Odile si schiarì la voce,

“Togliti gli stivali, per piacere, sui tappeti si sta scalzi.”

Vide Cecily guardarla perplessa, ma rispondere alla sua richiesta. Odile batté la mano sul cuscino più grande accanto a lei, mentre prendeva le due tazze in ghisa e iniziava a versarvi la tisana.

Cecily non disse una parola: si sedette, con le spalle curve in avanti come se volesse farsi più piccola. Giochicchiava con le mani, intrecciando le dita, e sembrava far di tutto per guardare ovunque tranne che Odile.

Odile tacque per qualche per qualche attimo, lasciando alla ragazza il tempo di elaborare i suoi pensieri. Probabilmente voleva farle una domanda. Non sapeva su cosa. Appoggiò la seconda tazza sul tavolino, ci mise accanto un cucchiaino e un vasetto ermetico con dentro dello zucchero ambrato.

“Ti sconsiglio di aggiungere del limone, non lega molto bene con la cannella della tisana. Lo zucchero, se ti piace, invece ci sta bene. Cecily annuì, aggiunse tre cucchiaini di zucchero, e poi prese la tazza senza mescolare. Odile attese paziente che decidesse di parlare, ma sapeva quanto aiutava avere qualcosa da fare con le mani. Odile sorseggiò in silenzio, stranamente per lei, aspettando che l’altra si sentisse pronta a parlare.

Si rendeva conto che Cecily poteva essere sua figlia… se ne avesse voluti. La ragazza bevve un paio di piccoli sorsi, e poi si schiarì la voce.

La differenza tra la voce di Vidar e quella di Cecily era così evidente. Vidar usava il suo registro medio e basso, aveva la voce dell’età adulta. Cecily saliva di mezza ottava, a volte una intera, con l’incertezza che forse era ancora più giovane dei sedici anni che diceva di avere…

Odile fu strappata alle sue riflessioni dal rumore della tazza poggiata sul tavolino. Fece lo stesso, voltandosi mentre Cecily prendeva un gran respiro,

“Cos’è che stavi dicendo quando eravamo a Velathri? Sul fatto che io non capisco perché loro lo piangano? Lui è un imperiale, lui era malvagio, faceva male alle persone!”, la voce si alzò di volume, il respiro si fece affannato come dopo una corsa, e Odile posò una mano leggera sulla punta delle dita di Cecily, perché sapeva che lei non amava il contatto.

“Shh… respira, non è qui. Non c’è nessuno che ti voglia fare del male, qui, respira.” Odile le diede qualche attimo per calmarsi, mentre pensava a come risponderle, lasciando che Cecily giocasse con la sua mano. “Non è facile spiegarlo… Le persone sono esseri complicati. E tu, tu sei stata ferita, molto giovane, da persone molto cattive. Ed è normale che tu veda le persone che sono, diciamo, dalla stessa ‘parte’ di quelle che ti hanno ferito e abbia paura. A parte i bambini molto piccoli, tutti noi che siamo vivi ora abbiamo visto cose orribili, compiute dalle loro mani.”

Cecily afferrò la mano di Odile e la strinse forte, chiudendo per un attimo gli occhi. Odile le accarezzò la testa con l’altra mano, cercando di tirarla fuori dai brutti ricordi. Quando il viso della ragazza si distese, riprese,

“Però… detto questo… chi è triste perché Vinicio è morto non sta piangendo l’imperiale che ha fatto del male a tanta gente. Loro stanno piangendo l’uomo che hanno conosciuto da un anno e mezzo a questa parte. Per loro non è stata la morte di un nemico imperiale, ma dell’amico che li aiutava, li difendeva, che parlava con loro, che beveva con loro e con cui hanno superato dei momenti difficili, certo, ma anche con cui hanno passato bei momenti, con cui facevano cose interessanti. Si era formato un legame forte, come succede quando persone condividono pericoli e difficoltà quotidiane aiutandosi. Ed è normale, gli esseri umani non sono fatti per essere isole, ma arcipelaghi.”

Cecily non sembrò convinta, ma Odile continuò,

“Io non ti so dire perché Vinicio avesse fatto certe scelte prima di perdere la memoria. Prima di ieri, neanche lui sapeva di averle fatte. E credo, credo eh, che avrebbe potuto mentire. Avrebbe potuto nascondere la verità, propinare a tutti una bugia, dire che era stato costretto… sapeva a cosa andava incontro dicendo il vero. Ma questo Vinicio, quello che abbiamo conosciuto dal primo Campomagno, ha scelto di dire la verità. E ha scelto di farlo sapendo che Ottavia non sarebbe venuta meno alla sua promessa. Non era una questione di se, ma di come l’avrebbe fatto.”

Odile prese la tazza con la mano libera, e ne bevve qualche sorso.

“Nonostante tutto quello che è successo, nonostante tutto quello che ho visto negli ultimi vent’anni… mi rimangono in mente le parole di Nonna Elke… A volte, anche in persone che compiono scelte sbagliate, permane una briciola di bontà. Non in tutte. In Ester non ce n’era neanche l’ombra, per dire. Ma ecco, alla luce degli atti che Vinicio ha compiuto, io so che sapeva esattamente cosa sarebbe successo e credo, o forse me ne sono convinta, che in qualche modo volesse espiare quel passato, quelle scelte che lui aveva fatto prima di perdere la memoria, quando era un uomo diverso, con un passato diverso. Avrebbe potuto diventare un Chierico di Nhea, andarsene dal Crepuscolo, che, so, unirsi allo Spiantato per riscattare quella seconda possibilità… anche se avrebbe avuto sempre la spada di Ottavia a fargli ombra sul collo.”

Odile sospirò, una piccola pausa, per raccogliere ancora i pensieri, cercando di tirarli fuori in un ordine comprensibile, e non come la massa di parole a raffica che le succedeva spesso.

“Io credo che sia questo, il desiderio o forse la necessità di redimersi, di vivere secondo ciò che ha scelto quando il suo libero arbitrio era forse nella sua versione più pura, senza influenze della società che ci ha cresciuto, che gli ha fatto decidere per la trasparenza più totale… di dire tutto a Ottavia, e di accettare che lei portasse a compimento la sua promessa.

Sapeva a cosa andava incontro, e non si è sottratto a quello che era diventato il suo fato.

È quest’uomo che non si sottrae alle sue responsabilità che i suoi amici piangono. E non dà conforto a loro sapere che lui ha scelto questa strada, come non dà conforto a te sapere che era cambiato, che aveva fatto scelte diverse.

Non scegliamo le ferite che ci vengono inferte, che siano nel fisico,” Odile si toccò la cicatrice sopra l’occhio destro, “né nella mente”, sfiorò quindi la propria tempia. “E non possiamo neanche scegliere le emozioni con cui rispondiamo a quello che ci accade, le possiamo solo vivere, e accogliere.”

Calò un silenzio sereno. Odile riempì di nuovo la propria tazza e quella di Cecily, mentre quest’ultima cercava di digerire le parole della donna.

“Come,” iniziò, più sottovoce stavolta, “come fanno ad essere due cose giuste quando sono due cose opposte? Io che ho paura, che penso che sia un bene che sia morto, e loro che sono tristi e lo piangono e pensano che sia un male che sia morto?”

Odile emise una leggera risata.

“Ah, Cecily, questa è la domanda la cui risposta curerebbe tanti mali del mondo. Non lo so. Giusto e sbagliato si sono ribaltati talmente tante volte nel corso della mia vita, per non parlare del corso della storia, che non c’è una risposta unica. Ricorda però… per sopravvivenza si fanno cose che uno non avrebbe mai creduto possibili… so che, molto probabilmente, non non sarei stata minimamente in grado di prendere la stessa scelta di Vinicio. Una parte di me pensa che sia stato un grande spreco di risorse e di cervello, che non andrà a rimediare ad alcunché di ciò che ha commesso in passato. Un’altra, che sia stato un gesto di cieca lealtà, l’ultimo regalo ad una guida che ammirava e che soffriva per aver deluso. Sono due idee contraddittorie in se stesse e tra di sé, e convivono dentro di me, che sono una persona sola. Quindi non mi aspetto che persone diverse da me non abbiano sentimenti altrettanto contrastanti, sia con me, sia nel loro intimo.” ‘Per non parlare di chi è già affollato di suo…’ pensò Odile, scegliendo di tenerselo per sé.

Cecily sbuffò,

“C’è troppa confusione… non mi piace…” Odile la guardò e le rivolse un sorriso mesto.

“Ah, mi dispiace Cecily, credo di averti scompigliato le idee più di quanto ti abbia aiutato. Ma non è necessario capire tutto immediatamente, la vita è anche questo: assorbire gli insegnamenti che ci dà… quando siamo pronti.” Odile sbadigliò, mettendosi una mano davanti alla bocca, e afferrando con l’altra un oggetto dal tavolino, Poi si girò di più verso la ragazza.

“È tardi adesso, fanciulla, è l’ora di andare a dormire…” le disse, mettendole uno specchio di fronte agli occhi. Com’era già successo in quel giorno, Cecily lo fissò per qualche secondo e poi si accasciò su Odile, che era pronta a prenderla.

Dopo pochi secondi, Vidar si rimise seduta, le spalle dritte, e una smorfia sul viso.

“Ti è venuta a rompere le scatole… è voluta uscire per forza,” disse. Odile versò dell’altra tisana nella propria tazza e offrì di riempire di nuovo la tazza, ora, di Vidar, che fece spallucce e annuì, sorseggiandola senza metterci zucchero. Odile mise entrambe le mani attorno alla tazza e fece un mezzo sorriso, dicendo,

“Naah, non preoccuparti, a questo punto nel nostro campo non è neanche una cosa così infrequente…” Alle due donne sfuggì uno sbuffo che avrebbe dovuto nascondere, senza successo, il loro ridacchiare. “Stiamo sfociando nel riso isterico, Vidar… andiamo a riposare…”

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