Smeraldo e Argento

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La cotta poggiata sul tavolo. Domani i fabbri l’avrebbero pulita e unta per bene.
Smeraldo.
Le verdi vesti, giacevano su di uno sgabello, accanto alla vasca e ancora sporche di sangue e fango.
Con la mente tornò a quella pelle che aveva visto ancora ben tesa sulle guance della povera mezz’orca. Parevano fatte dello stesso materiale delle sue vesti. E come loro, erano state sporche di sangue e fango.
Prima di immergersi nel bagno ristoratore, anche l’anello d’argento venne posato accanto alla cotta.
Era un prezioso regalo che gli aveva fatto un brav’uomo un anno e qualche luna orsono. Se lo portava sempre dietro, sempre al dito, affezionato all’unico oggetto superfluo che possedeva. Affezionato alla persona che aveva visto distesa e ancora martoriata accanto alla donna dalla pelle color smeraldo.
Argento.
Argentati erano i ricami delle sue vesti. Quelle che ormai erano scivolate sul pavimento. Argentate erano le sue alette quando scalava i primi gradini della gerarchia nell’esercito. La mente, d’un tratto viaggia rapida negli anni e nei luoghi.
D’argento era il suo spadone.
Quell’essere abominevole gli era passato davanti, senza notarlo. E lui gli aveva piantato un piede e mezzo di metallo nel costato.
L’essere non l’aveva presa bene. Anzi. A dire il vero pareva quanto mai risentito. Non tanto dal dolore che provava, quanto più dal fatto di essersi fatto cogliere alla sprovvista.
E aveva deciso di rifarsi.
Prima vomitando un fiotto di bile e resti ancora non digeriti di animali. che investirono in pieno il giovane.
Poi tentando di distruggere l’arma che lo aveva ontato, facendolo infuriare così tanto.
Era stata eccezionalmente dura, anche per lui, ma alla fine ci era riuscito. Con somma sorpresa del Colonnello, che non impugnava altro se non un moncherino.
“Devo andare fuscello! La tua Signora mi attende!” gridò il bruto, prima di spingerlo giù da un burrone con una pedata che gli aveva incrinato due costole.
Aveva fatto visita ai due corpi quando gli era parso che non ci fossero persone che conoscesse e con una pesante cappa che gli nascondesse i lineamenti. Aveva portato il suo omaggio.
Non quello di Primo del suo Lignaggio, non quello del capo dell’esercito.
Quello di uomo che si augurava di poter dividere il campo di battaglia ancora per molto tempo con quei due poveri caduti
Era stato un giovane fabbro di Balnorn a rimettere assieme i pezzi della sua arma. Certo si sorprese trovando il giovane Devon e non chi si aspettava di trovare, presso quella forgia. Con un sorriso smorzato gli affidò quanto di più importante aveva: “Non farmi rimpiangere un fabbro più esperto, mi raccomando…”
Non ci sarebbe riuscito.
Ora quello spadone stava nel suo rifugio, nella sua casa, affisso alla parete sui suoi sostegni. Ad un passo dal letto. Sempre pronto.
Prima di coricarsi, un messo bussò alla porta: “Colonnello, perdonate la tarda ora, ma devo consegnarvi una missiva della massima ugenza!”.
Dopo aver congedato il messo, aprì e lesse con molta attenzione la pergamena. Infine la ripiegò con cura e la mise nel suo scrittoio.
“Dovrò scrivere una risposta…”
Tornando verso il suo letto, colpì con un pugno la panca accanto al tavolo, rompendola a metà.
“Stupido!” si disse prima di addormentarsi finalmente.

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