For the damaged

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Avventurarsi in quel lembo di campagna appena fuori dagli ultimi edifici di Port Anchor a quell’ora e in quella stagione era perfettamente inutile: primo, perché ancora il sole non era così vicino a sorgere e quindi ancora non si vedeva un accidente di niente; secondo, perché anche se fosse stato mezzogiorno quella di certo non era ancora la stagione giusta per andare a caccia di radicchi selvatici.

Eppure Eliot si era alzata verso l’ora quarta della notte, si era vestita con cura e si era avviata verso l’entroterra armata di cestino di vimini, con l’unica compagnia di un lumino fioco che a malapena le illuminava le punte dei piedi. Scansando le chiazze di neve gelata che ancora punteggiavano i campi, si era messa diligentemente a scandagliare il terreno, in cerca dei primi ciuffetti verdi.

– Io non ti capisco proprio quando fai queste scemenze – commentò Iker appoggiato allo scheletro di un castagno. – Non sarebbe stato meglio starsene al calduccio sotto le coperte?

– Me lo chiedo anche io – sbuffò Isabeau, seduta su un grosso ramo dello stesso albero. – Ma come diavolo fate voi khartasiani a sopportare tutto questo inverno?

– Ma lei mica è nata a Khartas, eh – precisò Iker alzando il dito.

– Anche peggio, allora! – replicò Isabeau stizzita. – Non dovrebbe soffrire ancora di più questo maledetto freddo?

Eliot si strinse nell’ampia giacca foderata di pelliccia, reprimendo cocciutamente il brivido che tentava di percorrerle la spina dorsale fino alla punta dei capelli.

– Vedi? È come ti dicevo – commentò soddisfatta Isabeau – patisce come il mulo di Raul.

– Mai, mai, MAI nominare il mulo di Raul prima dell’alba! Ma sei matta? Non hai idea di quel che potrebbe succedere!

Sperando di non scoprire mai che impatto avrebbe potuto avere l’evocazione del famigerato mulo di Raul nella sua vita futura, Eliot si chinò su un mucchietto di pietre e iniziò a spostarle con attenzione, sperando di intravedere qualcosa che potesse soddisfare il suo desiderio di primizie vegetali.

– REGARDE, REGARDE! Lì c’è una cosa verde! Uuuuuhhhh sarà un raperonzolo di sicuro!

– È il cadavere di un ramarro senza testa rivomitato da un gatto, cecata di una valdemarita.

– Macché alchimista dei miei stivali, è una pianticella!

– È vomito!

Eliot si passò una mano sulla fronte strizzando forte gli occhi. Lasciali perdere, non rispondere, concentrati solo su quel che devi fare e andrà tutto bene!

– Brava Eliot, concentrati.

– Stai concentrata, Eliot.

***

All’ora quinta ormai la cucina era diventata calda e accogliente: merito della stufa caricata per tempo e approntata per la prima impresa della giornata, ovvero sfornare dei biscotti croccanti per la colazione degli abitanti della magione. L’impasto era già pronto dalla sera prima e aveva riposato amorevolmente coperto da un panno candido per tutta la notte. Rapidamente Eliot modellò delle palline, le schiacciò e le sistemo con cura sulla teglia.

– Io ci avrei messo un bicchierino in più di rum – commentò astiosetto Iker – gliel’avrò detto almeno cinque o sei volte ieri sera! Ma niente, è testarda come un mulo!

– Basta parlare di muli, eh? – Comodamente seduta sul piano della stufa, Isabeau accavallò elegantemente le gambe e iniziò a canticchiare fra sé mentre ripuliva una delle sue gargolle. Uno dei suoi piedi pendeva davanti allo sportello del forno a legna, ma si affrettò ad alzarlo non appena Eliot si avvicinò con il suo carico di biscotti crudi.

– E poi – rincarò Iker – a mia nipote piace la cannella, perché non la usi mai?

– Lo sai che poi Hari non la mangia volentieri!

– Ma che ci importa di Hari? Tanto deve dimagrire!

– Che razza di omone insensibile che sei!

Cercando di non soffermarsi troppo sul girovita di nessuno, Eliot iniziò a riordinare meticolosamente il tavolo e a radunare diligentemente nell’acquaio tutto ciò che aveva usato.

– Ahh brava! Non c’è niente di meglio che prendersi cura delle proprie cose… – Isabeau rimirò la sua gargolla con amore, lucidandone al canna quasi a specchio; poi la appoggiò sulla ghisa incandescente e iniziò a frugarsi in tasca alla ricerca del tabacco.

– Ma sentila! – sghignazzò Iker – Parla proprio lei, la pistolera che appoggia la sua arma su una stufa accesa!

Et bien? – rispose Isabeau con finto tono altezzoso. – Di certo non esploderà! Al massimo, come al solito, farà cilecca…

Entrambi scoppiarono in una risata fragorosa, mentre Eliot azionava febbrilmente la pompa dell’acqua, riempiendo fino all’orlo il mastello dove navigavano sperduti i cocci da lavare. L’idea di affondare le mani nell’acqua gelida non la entusiasmava particolarmente, quindi immerse una pentola nel mastello per riempirla e la sistemò sopra alla stufa calda, vicino alla gargolla di Isabeau.

Per qualche istante rimase imbambolata davanti allo sportello del forno, come se sperasse che per miracolo la cottura potesse richiedere solo un battito di ciglia. Perché ci voleva sempre così tanto per tutto? Perché quei giorni di fine inverno sembravano dilatarsi all’infinito? Perché la partenza per Zar-Hira non voleva giungere mai? Perché non poteva finire tutto subito, lì e in quel preciso momento, perché non c’era mai, mai, MAI fine a quell’attesa logorante?

– Oh-ho, ci siamo.

– Eh sì.

La prima infornata di biscotti era quasi pronta: servivano cestini, panni puliti, granella di noci e nocciole. Concentrati Eliot, concentrati.

– E invece no.

– Non ancora, no.

– Brava Eliot, concentrati.

– Uff… sììì, stai concentrata.

***

Eliot salì le scale reggendo due cestini intrecciati su cui campeggiavano degli adorabili dischetti dorati, punteggiati di piccole gemme di varie gradazioni di marrone, e si fermò davanti alla porta della stanza di Vivi.

– Fossi in te non entrerei, sai – la ammonì Isabeau.

– A meno che tu non voglia trovarti davanti alla stessa scena dell’altro giorno, ovviamente – le fece eco Iker.

Poiché non ci teneva a rivedere le natiche nude di Yagosh che dormiva a faccia in giù sopra le coperte, Eliot lasciò il primo cestino su un mobiletto accanto alla porta, strizzando gli occhi per cercare di scacciare l’immagine che le si era appena formata nel cervello. Proseguì dunque lungo il corridoio fino alla porta della stanza di Hari e senza indugiare oltre la aprì senza far rumore. A quell’ora era certa di trovarlo ancora avvolto dalle coperte, ma già desto.

Si sedette sul letto, appoggiandosi con delicatezza alle gambe raccolte di Hari, e appoggiò il cestino colmo di biscotti accanto a sé.

– Oh… sei di nuovo già sveglia? Da quanto sei in piedi? – La mano di Hari strisciò faticosamente sotto le coperte fino a raggiungere il primo dolcetto, mentre Eliot e il suo minuscolo sorriso si stringevano nelle spalle.

– Che quadretto commovente! – pigolò Isabeau – Non trovi che l’insonnia giovi alla loro amicizia?

– Mah, è da quella faccenda a Valdemar che a malapena si parlano… – commentò Iker, dubbioso.

– Che orso che sei! Questo non significa che non comunichino! Fra amichetti del cuore non servono parole!

– Figurati! Non ti sei accorta che da quella discussione dopo la Ventura sta sempre abbottonata come una ciabatta? E non che prima fosse una chiacchierona…

– Perché sta ancora riflettendo! Son cose grosse, non si risolvono certo in un giorno di rimuginamenti!

– Ma piantala di difenderla… Non gli dice niente perché ha paura di discutere di nuovo, altroché!

– Sciocco, è solo perché non vuole gravargli addosso con i suoi pensieri! Soprattutto dopo che Katja ha fatto quella fine orribile… ma guardalo, le pauvre, neanche lui si sfoga con lei! C’è rimasto proprio sotto! E la ragazza nemmeno le piaceva… pensa se fosse stato pure innamorato!

– E di grazia, cosa risolvono a non confidarsi l’uno con l’altra? Uno parla con le balene in cima al tetto, l’altra si mette la pittura bianca pure in casa per non far vedere quanto sono diventate grandi le borse che ha sotto gli occhi…

– Ma si conoscono, LO SANNO! Perché anche se non se ne accorgono, sono proprio una coppia adorabile, in perfetta sintonia! Guardali come soffrono all’unisono ma con discrezione! Ah, ma perché non si mettono insieme?

– In effetti, ora che mi ci fai pensare… sarebbe la cosa migliore! Già ti considero di casa Eliot, dai che Hari è un buon partito!

– Sìììì, e Vivi sarebbe così felice per voi!

– Lascia perdere i problemi di quel nano maledetto, tanto è spacciato! Pensa al tuo futuro!

– Awwwww, non vedo l’ora che i vostri figli mi chiamino zia Isab-

– FATELA FINITA!

Hari fissò attonito il punto del canterano verso cui Eliot aveva appena abbaiato con tanta esasperazione, serrando la mascella e respirando con sforzo, e capì.

– Dovresti decisamente dormire di più, Eliot – mormorò con tono grave.

Dovremmo decisamente dormire di più, Hari – rispose lei cupa.

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