Storia di un Bucaniere – Parte prima

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Il rhum, la salsedine,il rumore delle onde del mare.
Salpare a bordo della Oiche Ros, prendere il largo… Ogni volta era come tornare a casa.
Prima della pirateria, prima della faida, all’inizio eravamo solo Gustav, Selina ed io… Ah, ed ovviamente Gasparr e Rupert.
Quando la mia famiglia fu disonorata per sempre, quando mi ritrovai senza una casa e senza un nome furono loro la luce che seppe guidarmi nella tempesta. Mi sorressero e mi spinsero a combattere quando invero nessuno di noi aveva buoni motivi per farlo: la collera, la rabbia… alla lunga riescono solo a distruggerti. Ciò di cui veramente non ci si stanca mai è la vendetta.
All’inizio ci unì l’imponderabile: in un modo o nell’altro eravamo tutti scampati alla cieca violenza del Signore dalla Maschera Dorata, da quello che all’epoca sembrò un’incomprensibile linciaggio. Le famiglie che perdemmo erano infatti accomunate da una maledetta misteriosa spedizione e gli orfani scampati per miracolo alla spietata rappresaglia della Compagnia della Morte si ritrovarono accomunati nient’altro che dalla necessità di fuggire.
Dopo lo shock e la follia, ci ritrovammo così in cinque: una nobile fanciulla caduta in disgrazia e quattro giovani figli di garzoni orribilmente trucidati. Facile decidere di restare nell’illegalità e di vendicarci di coloro che volevano distruggerci, ben più difficile fu trovare la strada per farlo. Optammo per la pirateria, quasi sorteggiando tra le difficoltose carriere fuorilegge che ci si prospettavano innanzi.

Fu il capitano della Oiche Ros, Adalbert “Sputafiamme” Corvorosso a prenderci a bordo della sua nave che non eravamo che degli inutili poppanti, animati si da stimabile cipiglio ma pur sempre poppanti e soprattutto inutili. Ed il carico inutile, in ogni nave, è il carico più pericoloso. Ah, dimenticavo: due di noi erano anche delle donne…
Nonostante ciò, Adalbert ci prese con se e da inetti incapaci ci trasformò in breve tempo in scaltri lupi di mare: a più riprese rischiammo di finire fuori bordo e fu solo per il cieco furore che ci animava, unito ad un sorprendente cameratismo, che Adalbert ci prese infine a cuore. Col tempo imparammo tutto ciò che poteva essere insegnato a bordo della Oiche Ros, passando da giovani schiappe a validi compagni di ventura. Anche Selina ed io riuscimmo a farci valere, lei con una buona dose di sana faccia tostaggine, io con l’ausilio degli studi di commercio navale cui mio padre mi aveva iniziata in quella che sembrava, ormai, un’altra vita. Si, sarei dovuta diventare proprio una di quelli che in quel momento derubavo. Buffo.

Selina… non era mai stata una ragazza “composta” ma la pirateria diede alla sua buona creanza il famigerato colpo di grazia: sapeva rispondere a tutti, dal Capitano all’ultimo dei mozzi e nonostante avesse provocato mezza ciurma mai nessuno aveva raccolto la sfida. C’è chi diceva che fosse perché era una donna, io ho sempre pensato che fosse perché era una tosta.
Solo una volta, una sera, ebbi la sensazione che qualcosa la turbasse: eravamo sul ponte, la luna era solitaria nel cielo e all’orizzonte non si vedeva che il mare… “Che fai qui tutta sola ed imbronciata?” le chiesi a mo’ di scherno, sicura che mi avrebbe presa a maleparole, facendomi rimpiangere ogni stilla di preoccupazione nei suoi confronti. “Hanno finito il rhum, sorella?”. Sorrise sommessa, mostrando un accenno d’imbarazzo, guardandomi fissa negli occhi e poi voltandosi verso i ragazzi. Seguii il suo sguardo e notai che Gasparr, ad una decina di passi da noi, ci stava sorridendo, mentre gli altri si godevano quella meravigliosa sera d’estate, persi nel loro gozzovigliare. “Credi che mi guarderà mai come guarda te? Gasparr, intendo…”.
Rimasi di sasso. Farfugliai suoni senza senso, “Io… non… Gasparr? Ma cosa stai dicendo? Ti senti bene?”
“Fantastico, qualunque cosa sia, nemmeno t’accorgi di scatenarla… lascia perdere” cercò di essere velenosa e per un attimo mi sembrò impossibile uscire da quella situazione.
Poi si ammorbidì “Che razza d’idiota… perdonami sorella, scusa. Temo d’aver bevuto troppo… non so più nemmeno dove volessi arrivare… ” scoppiò quindi in una delle sue fragorose risate e pensai che quello strano momento fosse infine passato.
“Ti scusi? Allora è ufficiale: sei ubriaca” la canzonai.
“Adesso non ti allargare o torno dagli altri e racconto qualche aneddoto della piccola smorfiosa che eri non troppo tempo fa!”. Alzai le braccia in segno di resa e capii che qualunque cosa fosse successa qualche attimo prima, era tornata quella di sempre, la solita Selina.
Feci per raggiungere gli altri ma con la coda dell’occhio notai che tentava di asciugarsi di nascosto il bordo della palpebra con il dorso della mano.
La solita Selina, dopotutto: sempre infinitamente di più di quanto non volesse dare a vedere.

Gustav, Gasparr e Rupert, dal canto loro, non ebbero grossi problemi ad integrarsi col resto della ciurma poiché una volta che avevi imparato a reggere il rhum, diventavano tutti come fratelli.
Gustav era la guida del trio e se non riusciva a convincerli a parole di questo, gli bastava sollevare una mano possente per riportarli all’ordine. Questo almeno inizialmente, poiché se da principio Gasparr e Rupert non potevano competere con Gustav in quanto a prestanza fisica, col passare del tempo avevano imparato ad allenare anche la loro forza bruta. Cionondimeno, i ruoli interni al trio rimasero scolpiti negli anni.
Una sera, sbarcati sulla terraferma per goderci una meritata serata di svago, noi cinque decidemmo di staccarci dal resto della ciurma per starcene un pò per conto nostro, come ai vecchi tempi. Prima di abbandonare la Oiche Ros, vidi che il Capitano aveva avuto un colloquio privato con Gasparr, il quale era poi uscito dalla sua cabina sbuffando come un idiota, con strana velenosa soddisfazione di Rupert, notai.
Mi avvicinai a Gustav, una volta messo piede nel porto, ed allontanatolo dagli altri due gli chiesi cosa fosse successo: se qualcosa bolliva in pentola, Gustav sapeva certamente di cosa si stesse trattando.
“Allora, cos’hanno quei due? Sembrano due bambinette di sei anni!”
“Già” rispose “due sciocche ragazzine che si contendono la loro bambola preferita!”
“Starai scherzando… insomma, non può essere, credevo fosse chiaro come…”
“Sarà chiaro per te, forse, perché quei due non hanno alcuna intenzione di superare la cosa… vedi di parlare con loro, con entrambi se credi, ma trovate il modo di andare avanti perché non voglio farvi da badante per il resto dei nostri giorni!”. Non era vero: Gustav per noi avrebbe fatto questo e cose un milione di volte peggiori, se fosse stato necessario. Non si sarebbe mai risparmiato, non avrebbe mai pensato troppo se da una sua scelta dipendeva il nostro bene. Gustav era la nostra roccia, la risorsa incredibilmente giusta al momento giustissimo.
Nonostante ciò non potevo approfittare della sua pazienza e chiudemmo lì la discussione: per quanto sgradevole, dovevo innanzitutto affrontare Gasparr e Rupert ed in secondo luogo andare incontro a qualcosa di ancora più sgradevole, convivere con le conseguenze.
Trovammo una bettola perfetta per la serata e dopo aver preso posto ad un tavolo, attendemmo per qualche tempo di essere serviti: Gasparr e Rupert sembravano decisamente di cattivo umore, la tensione fra loro era insopportabile, e desiderai ardentemente che l’oste non ci facesse attendere troppo…
Ma la sera era movimentata ed il servizio scadente, così mi offrii di prendere del rhum per tutti dal banco: mi feci dare una bottiglia e cinque bicchieri, nella non troppo remota speranza che riuscissimo ad annegare ciascuno i propri pensieri nell’alcool. Non feci un passo per tornare al tavolo che un sudicio ubriacone mi mise la sua sudicia mano al culo: seppur sorpresa, il verme non attese molto per la mia reazione. Impugnai meglio la bottiglia e gliela fracassai così forte contro la mascella che il liquido al suo interno uscì in un attimo, inzuppandogli le vesti. Il tizio finì subito a terra ma in un lampo i due accanto a lui mi si fecero innanzi: tre tavoli più in là, altri due balordi presero a guardarsi male ed in un attimo la polveriera esplose. Non era la prima rissa a cui prendevamo parte e così quasi senza pensare, sgusciai via dai due nerboruti che avevo davanti e raggiunsi i miei compagni: cazzotti, schiaffi, calci e ruzzoloni e nell’osteria era sceso il caos più totale!
La situazione sembrava in una fase di stallo almeno fino a quando il cafone che aveva dato il via a tutto non si riprese: si fece largo tra la folla in delirio, cercandomi… Dopo avermi visto cacciò fuori una rivoltella arrugginita e me la puntò contro senza pensare.
Fece esplodere un colpo e all’improvviso mi ritrovai a terra, Rupert sopra di me, con una faccia contratta dal dolore: entrai nel panico e lo rivoltai sulla schiena… la bolgia si era momentaneamente fermata, intenta a capire se alla fine c’era scappato il morto: Rupert era pallido, immobile…
“ODDIO RUPERT! NOO!” gridavo in preda alla follia ma dopo qualche attimo mi accorsi che si era ferito appena la spalla e che il suo tentativo di calmarmi a parole era del tutto fondato.
“È solo un graffio, stai tranquilla… quel matto è ubriaco fradicio, non avrebbe potuto colpirmi a morte nemmeno se fossi stato immobile!” Sia benedetto il rhum, pensai. Non sarebbe morto ma questo non calmò ne me ne la masnada di farabutti intorno a noi, che nel frattempo aveva ripreso a darsele di santa ragione. Mi voltai cieca di rabbia, cercando quel miserabile vigliacco, quando alfine me lo trovai innanzi: mi scagliai contro di lui e senza troppe difficoltà (ancora non avevo toccato nemmeno una goccia d’alcool) riuscii a privarlo della sua rivoltella. Stavo avendo la meglio e cominciavo a pensare che forse non era il caso di continuare ad infierire quando ad un tratto un altro colpo di pistola assordò e paralizzò i presenti, me compresa.
Gasparr, in ginocchio accanto a Rupert, aveva preso dalla fondina di quest’ultimo la sua piccola cara rivoltella. Era ciò che era rimasto a Rupert dopo il linciaggio della Compagnia della Morte di qualche anno prima ed in verità, non avendola mai usata fino a quel momento, non avevamo ancora capito se fosse effettivamente in grado di sparare.
Mi si gelò il sangue quando vidi con quanta precisione Gasparr aveva colpito il mio avversario, uccidendolo sul colpo con un proiettile dritto in fronte. Dopo qualche attimo ancora, la confusione andò alle stelle, qualcuno disse perfino che la Marina stava sopraggiungendo: mi gettai su Rupert, affranta e sollevata, nel vederlo comunque riprendere la sua solita cera. “Guarda cosa mi tocca fare per aprirti gli occhi” gli sorrisi bonariamente e fui sollevata nel sentirlo scherzare. Alzai gli occhi e notai che Gasparr ci fissava, attonito, ed ebbi un moto d’ira che credo lo travolse “Sei impazzito? Da quando ammazziamo le persone così? Ti ha dato di volta il cervello Gasparr?”. Con mia grande sorpresa non c’era un briciolo di pentimento negli occhi di Gasparr ma bensì disprezzo e la lite sarebbe scoppiata velocemente se Gustav non ci avesse interrotto subito “Ne parliamo più tardi ragazzi, torniamo alla Oiche Ros: sembra che la Marina stia sopraggiungendo veramente!”. Presi Rupert sottobraccio senza fiatare e scappammo in strada con il resto degli ospiti della locanda.
Mi voltai a guardare Gasparr, nel tragitto: aveva uno sguardo ricolmo d’odio ed amarezza e pensai che forse non c’era più bisogno che parlassi con lui.
Da quell’aneddoto, qualcosa cambiò fra di noi, almeno inizialmente.
A poco a poco infatti le cose si riassestarono: Rupert ed io cominciammo a frequentarci di nascosto ed al resto pensò il Capitano, che seppe trovare il modo di superare la vicenda dell’osteria ed il resto. Lui trovava sempre il modo per tutto.

Il Capitano Adalbert “Sputafuoco” Corvorosso veniva descritto come un burbero e spietato bucaniere, in grado di vendersi la famiglia pur di gabbare la Regia Marina. La verità era un po’ diversa: fu la Regia Marina ad imprigionare, torturare ed infine uccidere sua moglie e la sua giovane figlia.
Una sera Adalbert mi portò sulla prua della Oiche Ros e perdendo il suo sguardo all’orizzonte mi disse “Tu mi ricordi Angelica, incredibilmente… L’ultima volta che la vidi m’implorò di prenderla con me, esattamente come avete fatto tu ed i tuoi amici quattro o cinque anni fa”
“Quattro Capitano, sei lune e ventitré giorni” mi fissò incredulo, come se avessi confermato le sue impressioni e, allo stesso tempo, perso una buona occasione per tacere.
“La mia Angelica… Voleva seguire le orme del suo papà, come se non sapesse benissimo a sue spese che la favola romantica del pirata è buona solo per gli sbronzi e i derelitti. Il mare è un’amante ingrata, ti prende con se e ti abbandona alla deriva senza che tu ancora abbia capito come. Chi sceglie il mare sceglie la solitudine, perché ogni corsaro con un minimo di sale in zucca sa che legami e fiducia sono incompatibili con la sopravvivenza: io l’ho imparato sulla mia pelle e col tempo, alla fine, l’ho accettato. O almeno così credevo”. Disse. Mi sembrò troppo assurdo questo momento così intimo col Capitano e pensai che volesse mettermi alla prova: respirai profondamente e intervenni nuovamente, tutta d’un fiato “Tutto quello che mi resta è su questa nave, Capitano, non ho bisogno di altro. E la fiducia che mi lega ai miei amici sarà la mia forza”.
Sorrise alla luna, come chi la sa più lunga di quanto non voglia far credere “Vorrei che tu avessi ragione… La verità è che non sarà così per sempre, credimi. E quando cambierai idea, sceglierai qualcuno che prenderà il tuo posto, esattamente come io adesso scelgo te”.
Non passarono più di due lune da questo strano colloquio che il Captano decise di prendere congedo dalle nostre vite: un giorno, attraccando a terra per un rifornimento, mi lasciò il suo tricorno. “Ho bisogno di fare due passi sulla terraferma e il vento oggi è decisamente troppo forte per questo dannato cimelio. Abbine cura fino al mio ritorno o ti lascio a pulire il ponte fino a che la tua schiena non ci si spezzerà sopra”.
Passammo due giorni assurdamente pericolosi a cercarlo a terra, ma fu tutto inutile. Non fece più ritorno a bordo della Oiche Ros.

Molti anni più tardi, passando per quelle zone, decisi di scendere anche io sulla terraferma e di capire cosa aveva portato il Capitano a fermarsi proprio lì. Camminando lungo il porto vidi un uomo che contemplava l’orizzonte: vestito di stracci, la puzza di rhum che appestava da diverse spanne di distanza… non mi stupì trovarlo così.
“Perché proprio qui Capitano?”, dissi avvicinandomi, senza veramente sapere se avrebbe riconosciuto chi gli parlava.
“E tu perché porti in giro quella ferraglia? Ti sembra di non attirare abbastanza l’attenzione?”
“Touchée…” e all’improvviso mi tornarono in mente le sue parole di molti anni prima “Per quel che vale, avevate ragione Capitano, su tutta la linea… ”
Fece un piccolo ghigno, prese un gotto di quello che doveva essere il peggior rhum su tutta la costa del meridione e disse, lo sguardo perso all’orizzonte “Eppure sei ancora a seminare scompiglio… Quella brutta storia, si non stupirti ragazzina, ho ancora qualche stramaledetto pendaglio da forca che mi tiene informato… ebbene, nemmeno quella brutta storia ti ha fermato?”
“No…”
“Allora si vede che il mare è quel che ti ci vuole, se perfino Grinfamorte ti ha cacciato a pedate”
“Immagino di si, Capitano…” lo guardai dritto negli occhi: doveva essere sul punto di diventare cieco perché quell’ombra che velava il suo sguardo non permetteva nemmeno d’intravedere il colore delle sue iridi. “Non avete risposto alla mia domanda però. Perché proprio qui?”
“Vedi lassù? Avanti, quella croce in cima alla rupe, la vedi? Invero da qui non mi sarei mai dovuto muovere…”
Chissà cosa immaginava di vedere… Perché sulla punta del crinale che indicava non c’era proprio niente.
“Le ho seppellite lassù”.
Non era mai tornato da loro, certamente non dopo che le sue due donne erano state così orribilmente uccise: troppo era il timore di essere braccato.
In effetti il Capitano era un corsaro con molto sale in zucca.
A volte mi chiedo come sarebbe la vita senza il rhum, quale penoso passato saremmo costretti a ricordare, ogni giorno della nostra esistenza.
“Porta loro dei fiori, da parte mia” gli allungai alcune monete “Buona fortuna, Capitano”.
Prese le monete ma scosse pigramente la testa “Oh, non provarci, adesso il Capitano sei tu…” disse malinconico “Buona fortuna a te, Capitano Romelia Rosacroce”

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