Un milione di scale

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– Potrei essere stata io… – mormorò al fuoco di campo che scoppiettava nel silenzio della notte.
– A far cosa?
Cristilde si riscosse bruscamente dai suoi pensieri e la fitta dietro alle tempie si attenuò. Un’ombra si stagliava accanto alla sua nel tremolio delle fiamme: Feris, la figura snella e aggraziata, arco e faretra a tracolla. Non l’aveva sentita avvicinarsi, tanto era distratta. O forse non l’avrebbe sentita comunque. La taciturna arciera era molto brava a muoversi silenziosa e senza dare nell’occhio.
– Niente – rispose, forse un po’ troppo in fretta, perché in realtà stava proseguendo una conversazione che aveva avuto luogo a Rodomonte, e che ancora le pesava sull’anima – Pensavo di essere sola…
Un sorriso mesto le curvò le labbra. Ma chi voleva ingannare? La verità era che era sola, da quando Ottavia aveva lasciato il campo del Crepuscolo. Era sgattaiolata via di notte dalla sua tenda, come una ladra. Cristilde l’aveva sentita indossare la corazza nel buio, mentre aleggiava in un teso dormiveglia. Si era costretta a rimanere immobile, fingendo di continuare a dormire, fin quando il lembo della tenda non si era richiuso alle spalle del suo Alfiere.
E così se n’era andata.
Senza una parola.
Solo un biglietto lasciato sul tavolinetto, tra le sue carte, per essere sicura che lei lo vedesse.
Con uno sforzo di volontà immane Cristilde si era imposta di non alzarsi per leggerlo fino ai primi raggi dell’aurora. I granelli di polvere danzavano al suo fianco, in un trapezio di luce che filtrava dai lembi della tenda, mentre fissava quelle poche parole vergate di fretta.

Devo andare, ho bisogno di stare un po’ da sola. So che capirai.

Il problema era che davvero capiva. Razionalmente, e contro ogni aspettativa, capiva. La cosa era semplice: Ottavia aveva bisogno di prendere fiato. Da tutto. E forse anche lei, solo che non aveva avuto la forza e il coraggio di ammetterlo con se stessa.
Come faceva Ottavia ad avere sempre dannatamente ragione?
Dovrei essere io quella razionale delle due, e invece…
– Ti manca? – Feris le si accovacciò accanto.
Cristilde portò le ginocchia al petto. – Manca a tutti, credo.
– Hai provato a fermarla?
La cerusica scosse la testa. Forse avrebbe potuto. Forse no. Ottavia sapeva essere più testarda di un mulo quando prendeva una decisione.
– Quando ami una persona, devi avere il coraggio di lasciarla andare.
Anche se faceva male da morire. Certo, nelle ultime lune stare insieme a Ottavia era stato molto difficile: vederla soffrire senza poter fare nulla, poi vederla pian piano scivolare via, e a quel punto non sapere se fosse preferibile lasciarla sprofondare nell’apatia piuttosto che nel dolore.
Ma è il dolore che ci ricorda che siamo vivi.
E Ottavia era – o era stata – la personificazione della vita, potente, nuda e cruda, inarrestabile. Il campo del Crepuscolo, senza di lei, non era lo stesso. Con sé l’Alfiere portava la tempesta, rischiando di abbattere e trascinar via tutto ciò che la circondava, ma era sempre meglio del vuoto che la sua mancanza scavava nell’animo. Le sovvennero alla mente dei versi che aveva studiato molto tempo prima, quando nella casa di suo padre i libri erano stati la sua compagnia preferita. Quando forse la sua vita era stata più facile.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto a ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Feris la guardava. Aspettava che dicesse qualcosa. Ma cosa c’era da dire? Anche Balthazar e Leone l’avevano guardata, il giorno dopo la partenza – no, la fuga! – di Ottavia. Le avevano chiesto se era tutto a posto.
Tutto a posto.
– Il Crepuscolo proseguirà per Velathri secondo le tappe prefissate – aveva risposto. Era fiera di non aver lasciato trapelare alcun tremito nella propria voce, né incrinazioni nella sua espressione. – Sono sicura che il nostro Alfiere ci raggiungerà là.
Ma ne era proprio sicura?
Sa badare a se stessa. E c’è Aldo con lei.
Già, la persona più affidabile di questo mondo… ma sa usare la spada, questo glielo concedo, e le farà buona compagnia. Forse anche di notte…
Bloccò il pensiero sul nascere con uno sbuffo. Da quando era gelosa di uno come Aldo? E in fin dei conti, non aveva il diritto di essere gelosa e basta.
Feris si schiarì la voce. – Se vuoi parlarne…
– Preferirei di no. Non sono lucida al momento su questa storia – Cristilde lottò per riprendere il controllo. Un cerusico poco lucido era un grosso problema per la masnada. E perdere il controllo non portava mai a nulla di buono, l’aveva sperimentato sulla propria pelle. – Piuttosto, hai trovato la corteccia?
Il volto di Feris si illuminò di un raro sorriso. La gente sorrideva troppo poco al campo del Crepuscolo, pensò Cristilde. A volte un sorriso era più forte e tagliente di uno spadone.
– Credo di sì.
– Spero ti faccia sentire più sicura.
– Lo spero anch’io.
– Vuoi provare a dormire in una tenda stasera, invece che imboscarti come al solito tra i cespugli?
Feris la guardò e Cristilde intuì di essere finita come al solito nel terreno spinato dei doppi sensi e delle allusioni.
– Non la mia, intendevo – chiarì.
Feris sogghignò. – Peccato.
– Fidati, sarei una pessima compagnia in questi giorni. Meglio stare da soli.
– Ma non siamo più soli – ribattè Feris – Me l’hai detto tu, no? Non sei più sola, Feris, adesso, hai dei compagni su cui fare affidamento. Nasciamo da soli e moriamo da soli, ma nel corso della vita, breve o lunga che sia, possiamo condividere il cammino con quanti ci vogliono bene. E io ci ho creduto. Io ci credo!
La fissò, seria, e Cristilde avvertì il peso della responsabilità di lei, di Xorba, di Vinicio, di Anastasia, di Katrina e di tutti gli altri, i Ragazzi della sua masnada, e persino di Astra e quanti come lei avevano nell’animo ferite che forse non si sarebbero mai rimarginate del tutto.
Indipendentemente dai sentimenti che la legavano a Ottavia, e da ciò che faceva e avrebbe fatto per lei fino alla fine, aveva dei doveri nei loro confronti.
Abbiamo tutti dentro di noi una piccola parte, debole e insicura, che è rimasta a quel giorno in cui abbiamo perduto tutto, aveva detto ad Astra. Tenerla nascosta non serve, ci sono ferite che devono essere spurgate per guarire. Se non ce la facciamo da soli, non c’è vergogna a chiedere aiuto agli altri. Bisogna aprirle, per quanto faccia male, trasformare le nostre debolezze nella nostra armatura, che ci faccia da scudo per non commettere di nuovo gli errori del passato.
Sorrise a Feris. – Magari tra poco raggiungo te e gli altri, va bene?
– Ci faresti molto piacere.
– Piacere mio.
Cristilde aspettò che si allontanasse prima di tornare a fissare il fuoco. Cominciava a languire, e le braci brillarono in risposta al suo sguardo.
Per un attimo ebbe la sensazione che Ottavia fosse lì, accanto a lei. Lei di certo avrebbe bevuto insieme agli altri Ragazzi, ascoltando le loro storie più o meno improbabili, le loro paure, o semplicemente le loro cazzate. Perchè era quella la vita. Sarebbe stata il fuoco che riscaldava i loro cuori e che li faceva andare avanti, nonostante tutto.
Con un sospiro, Cristilde si alzò per andare dagli altri, con gli ultimi versi di quella vecchia poesia che le riecheggiavano nella testa.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

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