IL PUGNO E IL TESCHIO

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Le tre sagome scivolavano a passo svelto da un corridoio all’altro accompagnati solo dal calpestio ritmato dei loro calzari.
La luce tremante della torcia che la prima delle tre sagome teneva in pugno gettava ombre sinistre sulle pareti di granito rozzamente scolpite rendendo quel sotterraneo umido ancora più sinistro di quanto Sir Rhinad Khanshin Ibn’Mantuk Saegrad, che chiudeva la fila, si sarebbe aspettato. L’aria era pregna di un odore nauseabondo. Superata un’altra delle innumerevoli nicchie sepolcrali che intervallavano i cunicoli l’aldebaranita fu attraversato da un brivido, deglutì, e si rivolse a Sion, che lo precedeva, a voce sufficientemente bassa da esser sicuro che il monaco scheletrico che li guidava non potesse udire:
“Sion… Che cosa ci facciamo qui? Abbiamo fatto quello per cui la Duchessa Logan ci aveva richiesto di restare… Adesso… TI PREGO, possiamo tornarcene ad Athar?!?”
Il finale della frase uscì al Sir come un ringhio, tanto che il vecchio monaco si voltò un istante puntandogli contro i suoi occhi scavati e ponendosi un dito ossuto sulle labbra rinsecchite. Nessuno rallentò l’andatura e Sion non si volse. Passarono alcuni istanti di silenzio in cui Rhinad maledisse il momento in cui, una manciata di giorni prima, si era fatto da garante per il Sothom-Ger. Il marcio odore dell’aria che respirava sembrava peggiorare di passo in passo.
“Torneremo ad Athar non appena avrò trovato quello che cerco.“ La voce del sacerdote di Kainus suonava, al solito, come fuoriuscita da un pozzo lontano.
“E hai intenzione di rovistare tutti i tumuli di Gardan prima di dirmi cosa stai diavolo STIAMO cercando?”
“Quello che si trova in ogni cimitero…”
Sion non ebbe modo di terminare la frase.
“…Morti…” Concluse Sir Rhinad alzando gli occhi al cielo, quel Sothom stava davvero mettendo a dura prova la sua pazienza. “Possibile che non parli di altro! E quale caratteristico cadavere gardanita pensi di trovare qui che non potevi trovare al cimitero di Gea’s Mansion QUESTA MATTINA?!?”
Senza accorgersene, Sir Rhinad aveva nuovamente alzato la voce: il gesto della loro guida si ripeté e il vecchio, anch’egli avvolto nella veste nera del culto di Kainus, scoccò al nobile un deciso sguardo di rimprovero dalle sue orbite incavate.
Dopo che il monaco si fu nuovamente voltato Sion riprese a sussurrare:
“Quello che cerco qui non lo avremmo mai potuto trovare presso il cimitero di questa mattina Priore. Mentre voi eravate intento a congedarvi dalla Duchessa Logan – lasciatevi dire che nei saluti siete un po’ prolisso-, io, con il permesso di Sua Grazia, ho consultato il registro delle recenti sepolture nel suddetto cimitero e lungamente conversato con il suo custode e… Non ho trovato niente.”
Sir Rhinad ebbe l’irrefrenabile istinto di prendere a calci il folle che lo precedeva. Perché era folle, non ne aveva dubbi. Il Sothom tuttavia riprese a parlare prima che il priore riuscisse a concretizzare l’ipotesi.
“Vedete Priore, nel cimitero che abbiamo visitato questa mattina assieme alla Duchessa Logan vengono inumati solo gli individui di rango o merito che periscono nel territorio limitrofo a Gea’s Mansion: non a caso l’Orsa Bianca ha decretato che il defunto Olof fosse ivi deposto. MA: se voi foste un appartenente del popolino – o quasi – e foste morto, che so, nell’ultima settimana nei pressi di Gea’s Mansion è QUI che si troverebbe il vostro cadavere in attesa di degna sepoltura…”
Il vecchio monaco si arrestò di colpo e si voltò verso Sion. Rhinad si aspettò che finalmente ammonisse anche il Sothom, invece la testa glabra dell’austero anziano accennò ad un antro che si apriva nella parete alla sua destra, le sue labbra incartapecorite si dischiusero, ne fuoriuscì una voce gracchiante e sorda:
“Ecco i corpi che mi avete chiesto di esaminare fratello Sion, sono tutti in attesa di essere inumati e sono tutti deceduti in settimana.”
Porse la torcia a Sion, che l’afferrò e scivolò nella stanza, Rhinad lo seguì, il monaco invece restò sulla soglia. La piccola stanza scolpita nella pietra nuda custodiva unicamente tre piani di granito ove riposavano tre cadaveri. Il monaco puntò una delle sue dita scheletriche sul primo: un gonfio cadavere bluastro in evidente stato di decomposizione:
“Il guerriero barbaro è stato trovato sulle rive del Dubrich, annegato…”
Il dito si spostò sul secondo corpo, quello di una donna magra e dai capelli come rovi intrecciati.
“…Yaina Lullend. C’è chi la chiamava strega… E’ stata trovata percossa e sanguinante nella foresta…”
Infine indicò il cadavere di un uomo canuto che aveva indubbiamente superato la settantina.
“… Il carraio Ghershwin invece è stato trovato morto dai figli poco fuori casa. Aveva la sua età il brav’uomo… Se adesso volete scusarmi, tornerò ai miei doveri.” La figura cadaverica del monaco scricchiolò in un inchino e sparì nel corridoio.
“…Lanciate un grido se avete bisogno…” La frase echeggiò fin alle orecchie di Rhinad mentre il monaco doveva essere già lontano.
Il sacerdote di Kaynus Yano era già intento ad esaminare con cura ogni dettaglio del cadavere annegato, così scrupoloso e concentrato nei modi che pareva esser a caccia di una qualche pulce invisibile. Le sue dita scorrevano con delicatezza sulla pelle bluastra.
Sir Rhinad osservava il compagno poggiato alla parete, le braccia incrociate. La sua grossa gorgiera di metallo strideva ad ogni suo minimo movimento. Felice di poter finalmente parlare ad un tono di voce normale ricominciò:
“Senti vedi di fare in fretta, dobbiamo ancora scoprire che diavolo ci facevano quei Sothom-Ger qui a Gardan…”
Sion non rispose. Rhinad insistette:
“Allora?!? Quale di questi tre interrogherai?”
“Nessuno. Non credo che nessuno di questi cadaveri sia consapevole di aver incontrato Rajib o un Sothom-Ger qualunque… Ammesso che uno di questi tre lo abbia fatto.”
“E per quale motivo uno qualunque di questi tre avrebbe dovuto incontrare Rajib o un altro Sothom?”
Sion si fermò un istante guardò Rhinad perplesso: “Perché sono morti. Mi sembra ovvio.” La sua attenzione si concentrò poi sul cadavere della “strega”, cominciando anche su di esso un minuzioso esame. Rhinad era allibito.
“E perché un Sothom-Ger qualunque o addirittura Rajib avrebbero dovuto uccidere uno di questi tre e lasciarsi alle spalle dei cadaveri gardaniti?”
“Conoscete la storia dello scorpione e della ranocchia priore?”
Rhinad avrebbe voluto strozzare il compagno, ma per trattenersi dai suoi denti serrati uscì solo un: “No Sion…”
Il Sothom iniziò il racconto continuando il suo esame: “Un giorno uno scorpione e una ranocchia si ritrovarono nella riva di un fiume che dovevano entrambi attraversare. La ranocchia non aveva problemi a nuotare ma prima che entrasse in acqua lo scorpione le chiese se avesse portato anche lui sulla riva opposta. La ranocchia aveva paura che portando lo scorpione sulla schiena quello l’avrebbe punta durante la traversata e quindi mostrò qualche perplessità.” Mentre parlava, il sacerdote era giunto ad ispezionare il corpo dell’anziano carraio. “Lo scorpione tuttavia sembrava assai gentile e giurò che non avrebbe mai punto la ranocchia, in fondo, se l’avesse fatto sarebbero morti annegati entrambi, che guadagno ne avrebbe avuto? La ranocchia, che in fondo era una buona ranocchia, dunque accettò e caricato lo scorpione cominciò a guadare le acque. Era appena a metà del corso d’acqua quando sentì l’aculeo forargli le carni e il veleno fare effetto. Mentre entrambi annegavano la ranocchia chiese allora allo scorpione – Perché lo hai fatto? – – Perché è nella mia natura. – rispose l’altro.”
Le dita di Sion si stavano dilungando sotto i crespi capelli grigi sulla nuca del vecchio. Fece un cenno con la mano affinché Rhinad si avvicinasse: “Ecco perché credo che degli Sothom-Ger si siano lasciati dietro qualche cadavere di troppo…”
Sion girò la testa del cadavere affinché Rhinad potesse vedere un piccolo foro sulla nuca dell’uomo. Quando le dita di Sion ne premettero le estremità, dalla ferita colò un minuscolo rivolo di liquido verdognolo.
“…Perché è nella loro natura.”

***

L’indomani la bizzarra coppia Arathiana bussò alla porta della bottega del defunto carraio Ghershwin. Cadeva una pioggia serrata e da dentro l’edificio provenivano gli schiamazzi di alcuni bambini. Ad aprire fu una giovane donna con un infante in mano che sgranò gli occhi alla vista dei due stranieri.
Sion col cappuccio sul capo e la sciarpa nera sulla bocca alzò il piccolo teschio di legno che aveva al collo: “Non avete nulla da temere milady, vorremmo solo conversare con i due figli del defunto Ghershwin. Possiamo accomodarci?”
Era evidente che la donna non sapesse cosa fare, dopo alcuni attimi di esitazione tuttavia abbozzò un inchino e fece entrare gli estranei.
Nella stanza quattro bambini erano intenti a rincorrersi e lottare tra i carri in lavorazione e una seconda donna imboccava un quinto seduta su una panca. Alla vista dell’ombroso Sothom-Ger e del nobile leone di Athar tutti si paralizzarono.
Sion si abbassò il cappuccio e la sciarpa: “Se foste così gentile da andarci ad annunciare ai vostri…”
Il sacerdote di Kaynus non fece in tempo a concludere la frase che tra i bambini esplose un grido e un cacofonico pianto prolungato mentre indicavano orripilati la bocca sfigurata del sacerdote di Kainus e correvano ad abbracciare le due donne, visibilmente imbarazzate.
Sion sembrò non capire cosa stava accadendo e restò paralizzato. Le urla sferzavano i timpani di Sir Rhinad e pochi istanti dopo due nerboruti con i volti per metà coperte da lunghe barbe rossicce irruppero nella stanza, asce alla mano gridando: “Kala, Beliz, che diavolo succede ai bambini?!?”
La vista dei due stranieri colpì tanto i due gardaniti che rimasero fermi sulla soglia con la bocca aperta a fissare la scena.

A rompere il silenzio fu Rhinad, che appoggiò una mano guantata sulla spalla di Sion: “Forse è meglio che dei vivi me ne occupi io Sion… Tu aspettami fuori che spaventi i bambini.” Poi sussurrò all’orecchio del Sothom-Ger. “Non ti preoccupare, so essere molto persuasivo quando si tratta di cercare tracce di Sothom.”
Mentre Sion usciva sotto la pioggia la voce di Rhinad già squillava amichevole dall’interno: “Perdonate il mio compagno brav’uomini, io sono il Priore Athariano Sir Rhinad Khanshin Ibn’Mantuk Saegrad e sono lieto di…”

Pochi giri di clessidra più tardi il Priore uscì in strada e aggiustandosi il turbante sotto la pioggia si avvicinò a Sion che inginocchiato nel fango sembrava pregare sotto la pioggia, in mezzo alla carraia.
“Comincio a pensare che tu sia completamente pazzo…”
Sion non si distrasse nemmeno un istante dalle sue incomprensibili litanie.
“…Ma che in fondo potremmo anche essere una buona squadra.”
Sion alzò lo sguardo sul compagno con espressione interrogativa. Rhinad sorrise riparandosi con la mano dalle gocce sul viso e strizzò l’occhio al Sothom-Ger:
“FORSE abbiamo una traccia…”

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