OBRAZMRTAV

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Credo proprio che non ci sia niente da fare… Fuzuka ci sta togliendo il nostro bene più prezioso… Non possiamo fare altro che aspettare e sperare…

 

Furono queste le parole della somma Baba.

Parole che tuonavano nel silenzio cupo della carovana.

Parole che sentenziavano una perdita priva di precedenti per qualunque carovana alemarita.

 

NON È POSSIBILE! Vi prego, somma Baba… Cercate di salvarli… Altrimenti la nostra carovana è spacciata!

Credi che non abbia fatto quanto in mio potere, mio caro Brat? Pensi che non lo vorrei con tutte le mie forze?

 

Quella notte nessuno cantò, nè ci furono danze attorno al falò tra i vagon, nè alcuno osò bere più vino del necessario.

Tutti, nella carovana, erano da un lato trepidanti e curiosi, nel vedere cosa sarebbe successo l’indomani e, dall’altro, temevano il peggio: che la divina Ellesham non riuscisse ad imporre le sue mani fatate su di loro.

 

Il Gospodar aveva manifestato il suo disappunto su quell’itinerario, ma aveva comunque obbedito all’Arcifatucchiere e alla decisione di lambire il Deserto Nero.

Secondo la Baba era stato il famigerato “vento mortifero” a far stare male tutti i giovani della carovana, che ora rischiava di perdere un’intera generazione, per colpa della scelta dissennata del Velik Baba.

 

Non rimaneva che aspettare. Aspettare e sperare.

 

Il mattino, infine, arrivò. Ma non era un mattino splendente nè foriero di buone notizie.

Le donne della carovana esplosero in grida che parevano più essere vomitate dagli escrementi fuoriusciti dalla purulenta Piaga di Orione, piuttosto che da povere donne.

Più di metà dei bambini colti da malessere erano ormai privi del calore di padre Elios, mentre gli altri continuavano a distorcere i loro corpi e a digrignare le loro bocche, in un dolore che faceva loro preferire fare la fine dei loro compagni di giochi, piuttosto che continuare in quello strazio senza precedenti.

Uno di loro, urtò un ripiano del vagon ove giaceva una lampada ad olio ormai spenta, che gli cadde addosso, infrangendosi sulla sua pelle e aprendogli vistose ferite sul volto e sul busto.

Alcuni, sfuggirono dalle braccia delle loro madri e caddero fuori dal vagon.

Lo spettacolo che si presentava di fronte alla carovana era di quelli che non si possono neppure immaginare.

 

Il capocarovana, allora, diede ordine di legare i fanciulli, per evitare che si ferissero, e di cercare di anestetizzarli, magari con dell’alcol o con qualche composto alchemico.

Intanto gli uomini della carovana discutevano su cosa si dovesse fare. Qualcuno pronunciò una parola ebbe lo stesso effetto di un sasso scagliato in uno stagno.

 

OBRAZMRTAV

 

Dopo il silenzio, un’orda di voci si accalcò, persone che iniziarono a correre dalla somma Baba, altri che attingevano alle riserve personali di sale dei mari del sud, altri impugnarono alcune effigi sacre tra le mani e si misero a cantilenare.

 

Il Gospodar si avvicinò all’uomo che aveva pronunciato quella parola malevola e, guardandolo fisso negli occhi, gli uccise la voce in gola.

 

SUCCEDERÀ A CHIUNQUE OSI PRONUNCIARE DI NUOVO QUELLA PAROLA! E ORA CERCATE DI DARE A QUEI BAMBINI UN PÒ DI PACE E QUIETATEVI!

 

Passarono tre giorni. TRE giorni di silenzio, ad Alemar, erano un evento mai accaduto, che non faceva altro che amplificare il dolore per quei poveri pargoli.

Il silenzio era anche il loro.

Silenzio di chi ha smesso di soffrire nel corpo. Silenzio di chi soffre DENTRO.

I giovani virgulti si erano quietati, non si dimenavano più, non gridavano, non sembravano affetti da niente di grave.

 

Se non fosse stato per il bianco sui loro volti e sui loro corpi.

 

Alcuni uomini della carovana, compreso Fedor, ormai rimasto muto, dibattevano sottovoce ed in un vagon appartato sul da farsi.

 

Mi piange il cuore… Ma l’unica soluzione è abbandonarli al loro destino… Ci peserà il loro Karma…

Si hai ragione, ma il Gospodar non è d’accordo… Non ci pensa nemmeno a separarsi dai suoi tre figli…

Cinque, vorrai dir…

Zittati, non è il momento di fare la conta dei figli del capocarovana… Evidentemente, anche lui è stato toccato dal vento mortifero e ha perso il senno… Dobbiamo prendere noi il controllo…

Ma il Concilio è lontano, sia nel tempo che nello spazio… Come facciamo?

Beh… Lui è solo uno… E noi siamo sette… Siamo il numero giusto… Pensateci… Sette… Si.. I sette uomini che salveranno la carovana…

Allora è deciso. STANOTTE!

 

La mattina seguente, altre urla bucarono il silenzio ormai surreale della carovana… Al rosso dei tendaggi e delle trapunte, nel vagon del capotribù, si univa anche il rosso delle federe e delle lenzuola, candide fino alla sera prima…

Il rosso del sangue.

 

I sette avevano messo in scena una sorta di litigio tra il capocarovana e la sua consorte ed ora si trovavano lui con la gola recisa da parte a parte e lei ancora con un coltello in mano e gli avambracci ormai aridi e prosciugati di ogni stilla di sangue.

Fu facile per loro dare la colpa alla stessa maledizione che aveva afflitto quei poveri ragazzi, quella che li aveva fatti diventare Obrazmrtav.

 

Sarebbero stati lasciati lì, ancora sedati, per evitare che si accorgessero di qualcosa. Al loro risveglio, si sarebbero arrangiati.

La carovana scomparse ad ovest e non se ne ebbe mai più notizia, anche se un rapporto di una pattuglia della Compagnia della Morte afferma il ritrovamento di alcuni vagon tipicamente alemariti, ricolmi di morti, a quanto pare di morte violenta, ed un solo sopravvissuto, un muto abbigliato con vesti lise, insanguinate ed armato di un cultela, condannato seduta stante a morte per tentato omicidio del Luogotenente in capo a quella pattuglia.

 

Cos’è successo? Dove sono tutti gli altri? E i vagon?

Non c’è più nessuno!!

CI HANNO ABBANDONATI!!!

BASTARDI!!!

 

Furono queste le prime parole dei poveri giovani alemariti al loro risveglio. Una sorta di rinascita. Come un parto dal grembo oscuro della notte, che li aveva investiti con tutta la sua nequitica influenza e li aveva resi simili alle creature che popolano il Deserto Nero.

 

Iniziò la loro marcia. Diretti in nessun posto, ma lontani da quell’est che li aveva tanto cambiati.

Le miglia di cammino si susseguivano, c’era chi piangeva, chi gridava, addirittura chi, pur nella sua giovane età, bestemmiava gli astri del cielo.

In molti iniziarono a perdere la poca umanità che era loro rimasta nelle vene. Dopo due giorni, ci fu la prima rissa, sedata più dalla stanchezza e dal caldo, che dalla volontà di qualcuno.

Già in cinque erano rimasti tra le calde braccia della sabbia, lontani ormai chissà quanto.

Solo otto erano ancora in piedi. Il nono che era con loro, era appena diventato il loro primo pasto da quando erano stati abbandonati.

Erano nauseati, non tanto dal sapore della carne e del sangue, quasi marcescenti, che, anzi, parevano soddisfare i loro gusti, ma da cosa erano diventati.

 

Infine erano rimasti solo cinque, dopo due settimane di cammino.

 

Quando avvistarono una fila di ombre indistinte, all’orizzonte. Macchie scure, non identificabili, che gli venivano incontro.

Cosa avrebbero detto dei vestiti sporchi del sangue dei loro fratelli?

E di quella carnagione così pallida?

E dei loro occhi iniettati di sangue?

 

PRENDETELI!

 

Diversi uomini balzarono addosso alle povere carcasse rapprese che si trascinavano sulla sabbia riarsa dal sole.

Sarebbe bastato uno solo di quegli energumeni armati di scimitarre lucenti per aver ragione di quei cinque poveri ragazzi.

 

Ancora l’incoscienza li colse.

E al loro risveglio, ancora la marcia. Ma stavolta legati per le braccia al collo del loro fratello davanti, in fila come cinque formiche.

Formiche bianche.

 

Nessuno di quegli uomini parlò.

Nemmeno il loro capo.

 

Il viaggio durò due giorni. Alfine giunsero in un posto imprecisato, colmo di case piccole, basse, bianche e con i tetti piatti. Gli abitanti per strada li guardavano con un misto di menefreghismo e disprezzo dipinti in volto.

Appena arrivati in piazza, il comandante di quel piccolo plotone di briganti, sciolse il primo della fila e lo trascinò, assieme al resto dei suoi amici, su una specie di palco, ove parlottò, in modo incomprensibile, con un uomo di tarchiato e con i capelli bisunti.

Dopo poco, questi gli consegnò un sacchettino sonante e lo congedò.

 

Trambusto. Voci che si sovrastano. Numeri.

Sette!

Dieci!

Quindici!

VENTICINQUE SCAGLIE D’ARGENTO!

Aggiudicato al signore col mantello laggiù in fondo. Complimenti, un ottimo affare…

 

Il mercante di schiavi non arrivò mai alla mattina seguente. Il “signore col mantello” altri non era che un poco di buono in cerca di schiavi a basso costo… E venticinque scaglie d’argento per cinque moribondi, non sono un basso costo… Quella sera concordò con il mercante che il prezzo giusto sarebbe stato ZERO scaglie d’argento. Il mercante non ebbe nulla da ridire, dato che aveva un quadrello di balestra infilato nella gola.

 

D’ora in avanti, siete mia proprietà. Fate quello che vi dico e non sarò io la causa della vostra morte…

Furono queste le prime parole rivolte loro da quel losco figuro.

 

E così si unirono alla già numerosa schiera di schiavi che costui aveva collezionato nel corso del tempo.

Uno di questi, uno dei pochi che non li guardava con disprezzo o paura, spiegò loro quale era la loro funzione.

 

Dovevano fare lo scudo umano a quest’uomo.

In pratica egli era un signorotto locale che si dilettava col gioco della guerra… E, nella sua crudeltà, aveva pensato che non c’era protezione migliore di una bella corazza ed un nugolo di oggetti in movimento che gli sciamavano attorno.

Chiaramente per far rispettare un ordine così palesemente lesivo, utilizzava un ottimo mezzo coercitivo: la sua balestra.

Chi non faceva il suo lavoro, non aveva motivo di rimanere in vita.

 

Così si susseguirono gli scontri. Settimane, mesi, anni. Tre anni di cattività. Tre anni di battaglie.

 

Inizialemente, erano fin troppo lontani dalla mischia per rendersi conto di cosa succedesse e questo gli andava anche bene.

Col passare del tempo, forse per imperizia del comandante, forse per scarsità di uomini, i nemici arrivavano sempre più vicini.

Alla fine, ai poveri reietti ormai declassati a scudi umani, vennero affidate delle armi ed un minimo di protezione, per mettere a frutto il loro spirito di sopravvivenza, al fine di garantirla anche al comandante.

 

Molti non ce la facevano. Gli orrori della guerra li paralizzavano e li rendevano facile preda dei nemici. Ma loro reano più duri, più temprati.

Meno umani…

 

Un giorno, fu il giorno più duro. Quello della resa dei conti.

Già tante volte avevano parlato di organizzare un piano per scappare, per liberarsi, per non fare la fine dei topi in gabbia… Ormai sapevano anche come cavarsela.

 

L’occasione si presentò durante una notte.

Vennero sorpresi dai nemici, con l’aiuto delle tenebre.

 

Il comandante si svegliò e si vestì in quattro e quattr’otto. Li tirò giù dalle loro sudicie brande, dandogli il tempo di impugnare giusto qualche armamento, e se li schierò davanti, come sempre, con lo scopo di coprire una sua eventuale fuga…

 

Ormai erano diventati cinque ragazzi alti e forti, invitti all’arte marziale e che si intendevano con un solo sguardo.

Quando il nemico schierò un abominio, sul campo di battaglia, una specie di essere umanoide col naso aquilino ed artigli bestiali (qualcuno lo chiamò troll, o qualcosa del genere) si creò lo scompiglio giusto per fuggire.

 

Il comandante sbraitava come una cagna ordini a destra e a manca, ma si accorse di un movimento sospetto e fece in tempo a gridare:

“BRUTTI MORTI CHE CAMMINANO, DOVE CAZZO ANDATE!?!?!”

e a far partire una selva di dardi con la sua micidiale balestra.

Due di questi, colpirono uno di loro, che stramazzò a terra dopo poco, gridando:

LASCIATEMI QUI!!! SCAPPATE!!!“.

Un altro colpì il ragazzo più lento ad una gamba, ma questo non fermò la corsa dei quattro…

Ma il veleno è un’arma subdola…

 

Prima di sera, i tre superstiti si pascevano delle carni del loro ultimo fratello deceduto e rinforzavano le loro corazze di pelli con pezzi della sua armatura e della sua epidermide.

E di nuovo in cammino…

 

Verso dove?

Verso una morte onorevole?

Verso una vita nuova da uomini, sempre che qualcuno avesse voluto riconoscere loro tale status, liberi?

 

“Intanto vediamo cosa fanno le persone che si dicono civili, in questo Conclave… Magari la nostra esperienza può servire a qualcosa…”

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