Per una donna.

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Primo giorno della Luna degli Elementi

Il sole timido si affacciava tra le nubi di una frizzante mattina gardanita, arrossando tutta la volta celeste.
Il paesaggio era ancora ovattato dalle ultime ombre della notte, la natura sembrava ancora assopita in una coperta blu che piano piano andava a schiarirsi.
Solo un’ombra si stagliava fuori muovendosi lentamente cercando di fare meno rumore possibile.
D’un tratto il silenzio fu interrotto da un grido femminile in mezzo alla foresta.
– Ma che diamine, si inizia presto stamane!
Imbracciato lo scudo ed estratta la lama dal fianco, si diresse a perdifiato presso il bosco li vicino.
Dovette fermarsi un paio di volte per tendere l’orecchio da quale direzione provenisse la voce spaventata, dato che non vi era una via e la vegetazione di conifere era molto ripetitiva.
Dopo un durata, sembrata interminabile per l’uomo, riuscì a trovare la donna, una signora sulla quarantina, con d’innanzi una creatura che poteva sembrare un bambino ma con tratti più deformi.
– Uffa questa canzone monovocale è proprio noiosa! Tutta AAAAAA.. proprio non la capisco… oh ecco un altro compagno di giochi! Facciamo un gioco! Facciamo un gioco! Io conto fino a dieci e voi dovete scappare, il primo che prende ha perso.
L’uomo non rimase più di tanto interdetto dalla frase di quel folletto, purtroppo ci aveva fatto l’abitudine dopo la giornata precedente, porse la mano alla donna per farla rialzare, sapeva che da li a poco il “gioco” sarebbe iniziato.
– Inizio! Uno, otto, quattro e dieci!
– Vattene! – urlò alla donna, che non facendoselo ripetere due volte se la diede a gambe levate.
– Ehi ma te non corri? Che noia che siete…
Sapeva che doveva darle altro tempo, o vi era la possibilità che quell’essere l’avrebbe presa.
– Insomma sei forte a questo gioco?
– Forte? Io? Sono il migliore di tutti i regni, di tutti i palmizi in circolazione!
– Addirittura? Di tutti i palmizi in circolazione!
– Certo! Ma te perché non scappi non hai capito le regole?
– Sì certo, ma dimmi nelle partite prima gli altri cosa facevano?
– Scappavano tutti.
– E tu?
– Li ho sempre presi.
– Quindi se sto fermo, ho più possibilità di vincere al gioco, no?
– A me non sembra.
Con uno schiocco di dita si crearono dal palmo del folletto degli scuri rovi che secernevano una scura bile, andarono a colpire il petto dell’armato aprendogli una ferita molto profonda. Il giovane cadde in ginocchio tra le proprie urla di dolore.
– Visto? Ho vinto ancora! Che noia però… sono così annoiato che andrò a farmi un riposino!

Cinque.

– Non è proprio il miglior modo per iniziare la giornata… e ora dove devo andare per tornare a Deamog?
L’uomo affannato si strinse il petto ferito e iniziò a girare intorno in cerca dei propri passi, ma a causa dalla poca luce offuscata dalla fitta vegetazione non riusciva ad orientarsi per ritrovare la via.

Quattro.

Un forte fitta addominale lo fece cadere a carponi mentre dei robusti colpi di tosse gli fecero sputare piccole chiazze di sangue.
– Scheibe… ci mancava solo questo…
Le parole si facevano sempre più pesanti nella gola dell’uomo e quando cercò di chiedere aiuto si rese conto che il fiato gli era diventato talmente corto che a malapena gli permetteva di respirare.
Arrancò fino al tronco di un albero, una quercia, al quale si appoggiò con la schiena.

Tre.

– Decisamente sono stato troppo tempo al Nordernmark… – quel pensiero fra sé e sé gli strappò un sorriso e non poté che collegarlo alla persona che gli aveva insegnato qualche termine in thersiano, per la quale era andato contro tutto e tutti pur di poterle stare vicino, perché in cuor suo sapeva che quando si perde chi si ama si rischi di perdere anche se stessi.
Per fortuna non era questo il caso, nonostante gli abiti tetri, l’aveva vista sorridere più volte la giornata prima, gli stessi sorrisi sinceri che aveva perso da ormai diversi mesi.
Era felice per lei, davvero, non avrebbe desiderato altro se non la sua felicità, eppure notare che non portava più il dono che le aveva dato allo scorso Conclave lo aveva rattristato, seppur non le avesse detto nulla. Le tradizioni, forse.

Due.

Già le tradizioni, proprio quelle che da piccolo gli avevano insegnato a rispettare e a onorare.
Ed era proprio per le tradizioni che agli inizi le aveva sempre portato rispetto ma con l’andar del tempo, c’era qualcosa in quegli occhi verdi, in quel sorriso che lo affascinava, ma che temeva di provare proprio per via delle tradizioni.
Eppure ora anche solo la sua presenza lo metteva in soggezione, sapeva di aver sbagliato con lei e in tutto quello che era importante per lui, ma dopo le sue aspre parole nei propri confronti non riusciva nemmeno più a sostenere il suo sguardo; ma, anche se lei non lo sapeva, lui adorava guardarle il viso, in particolar modo quando era felice, a lui gli bastava questo per migliorare il suo mondo.

Uno.

Pensando agli sbagli non poté che venire in mente lei, come un fragoroso tuono in una giornata estiva pensò a quei due occhi carichi di odio sotto quella frangetta sempre perfetta.
Cercò nella propria scarsella quel piccolo lembo di tessuto, nel quale in gardanita vi era scritto “ti dono la mia fiducia”, lo lesse un’ultima volta per poi stringerlo con forza all’interno dela mano.
Sapeva di averla profondamente delusa la notte prima, avrebbe voluto parlarle, ma gli era stato impedito consigliandogli di evitare, aveva sperato di poterlo fare proprio quel mattino appena l’avrebbe vista, ma a quanto pare il destino si era messo di mezzo e ora non lo avrebbe potuto più fare. Si sentiva dannatamente in colpa perché fra tutti, lei era colei che le era stata sempre vicino, senza mai chiedergli nulla, sostenendolo sempre.
– Perdonami… – mormorò mentre una lacrima gli rigò la guancia.

Zero.

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