Un viaggio per la pace nel cuore

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La prossima tappa si staglia lungo l’orizzonte del sentiero nel mezzo alla fila di abeti.

È un monastero, il quinto di quel lungo viaggio. Mi sento stanco, con un peso che cresce lentamente , ma inesorabilmente ad ogni lega percorsa sul lungo tragitto di pellegrinaggio del Frommenring.

Con me porto solo lo stretto indispensabile per sopravvivere al freddo della notte e alla fame del giorno. La sacca al mio fianco non tintinna di monete come suo solito, ma si avverte solo il suono ovattato di un oggetto pesante: una pietra liscia ed ovale, grande quanto il mio palmo presa al precedente monastero, e da porre sul muro miliare.

Riprendo il cammino e noto la corda che mi cinge la vita oscillare lungo il fianco. Ripenso alle parole di Lady Meike prima di partire: “Non ti focalizzare su ciò che pensi troverai, concentrati sul viaggio. Affrontalo col cuore sereno, apprendi le lezioni che ti verranno impartite nel pellegrinaggio, che siano lezioni date come tali o accidentali. Non ti posso garantire che sarà il modo in cui riuscirai finalmente a sciogliere il nodo che senti pesare su di te, ma certo ti darà nuovi spunti su cui riflettere”.

Afferro la corda senza rallentare il mio passo. La soppeso mentre fisso quell’unico nodo, unica promessa fatta a me stesso: trovare un modo per sciogliere l’apatia che lega il mio cuore, ma sto cominciando a dubitare sull’esito di questo pellegrinaggio…

Scaccio quegli inutili pensieri senza risposta e riprendo il cammino verso la mia destinazione.

 

Sono passati molti giorni durante i quali ho alternato i lavori manuali che mi sono stati affidati, ai momenti di preghiera cercando di entrare in comunicazione con quello che alcuni sacerdoti hanno chiamato “il mio io interiore”. Sono sicuramente diverso dal mercenario di un tempo: forse più calmo e riflessivo , ma sento che quella è la superficie: dentro di me è sopito ben altro.

I giorni invernali passano, stranamente caldi per il periodo, e ho atteso, durante il lungo peregrinare, in cerca di questo contatto intimo con la mia anima, ma forse, ora comprendo perché la sola preghiera non sia sufficiente: l’oscurità che sento dentro di me mi tiene in bilico tra due entità in conflitto.

 

Nonostante il mio lungo viaggio, non sono ancora giunto ad una conclusione. Quella sensazione, però, la sento sempre più profonda e radicata. Ho dunque deciso di rinchiudermi nella mia cella. Ripromettendomi di non uscirne finché non avessi trovato una risposta.

Ricevo cibo ed acqua e trascorro le giornate meditando su me stesso: trovo conforto nel libriccino di preghiere donatomi da Lady Meike come augurio per il mio viaggio e recitando pacatamente la litania che Lei mi ha insegnato, per sentirla più vicina.

 

Angelo bianco, stammi vicino,

fammi sentire il dono tuo divino.

Segui i miei passi, a volte esitanti,

guida le mie parole spesso tentennanti.

Fa’ che io sia sempre verità ed amore,

asciuga le mie lacrime, accarezzami il cuore.

Prendimi per mano, perchè non cada,

e l’incertezza della vita sia superata

 

Il tempo passa così lentamente in questa fredda cella.

Sono fermo nella stessa posa immobile ormai assunta da molte ore, tanto che non mi sento più le gambe. La fiamma del focolare si affievolisce col trascorrere del tepo, lasciando il posto ad un freddo pungente che so esserci ma non avverto.

Il ritmo della mia preghiera si fa sempre più lento mentre le palpebre divengono più pesanti. In questo silenzio surreale il regolare rumore di acqua corrente del ruscello vicino mi riempie le orecchie.

è un suono dolce e rilassante, a cui decido di abbandonarmi: prima, mi pervade il respiro, rendendolo più lento e profondo, e infine mi sento trascinare in un profondo stato di torpore.

 

Non mi sono mai sentito così.

Così alieno da sentirmi estraneo alle sensazioni terrene del mio stesso corpo: dolore, fame, sete, vista, tatto, mente, pensieri tutto è diventato…

Calmo.

 

Mi sento come trasportato su un’invisibile barca, cullato da un fiume di ricordi che scorre limpido e indisturbato. Man mano che le acque scorrono, volti noti di vecchi e nuovi amici affiorano e, più li guardo, più in loro rivedo le gesta codarde od epiche che avevano compiuto.

 

Onore, fede, sacrificio: quelle parole viste e messe in opera da uomini sì virtuosi e leali, ma da cui mi sentivo lontano. Un tempo li avrei scherniti assieme a mio padre e i suoi compagni mercenari fuggendo alla prima occasione di pericolo. Ma ora, dopo averli conosciuti ed essere stato in mezzo a loro, in mezzo a quelle difficoltà, riesco in parte a comprenderli.

Quello che sento più vicino è stranamente il Duca Kaspar…

L’acqua muta di aspetto riportandomi nel bosco di Altburg, ad assistere impotente da spettatore esterno alla scena dell’accusa da parte di Lord Hugo che con tronfie parole piene di orgoglio e sicurezza l’incolpavano di conservare un ricordo della defunta moglie e per questo costretto all’erranza forzata.

Potevo ben capire i suoi sentimenti se ripensavo a…

 

Una figura femminile si palesa nell’acqua posata su di una verde collina. La massa di capelli castano scuro, lisci, lunghi fino alle spalle, era sempre la prima cosa che si notava di lei, per poi essere rapiti dai suoi occhi color verde cangiante. Le labbra carnose risaltano sul suo viso dolcemente ovale, ma deciso, con rosee guance che le conferiscono un’aria giovanile.

Con un raggiante sorriso mi saluta dalla collina di casa nostra, reggendo con esili braccia un cesto pieno di bianchi fiori appena colti, che risaltano sul lungo vestito azzurro.

 

…Freida.

La mano si allunga istintivamente verso il suo candido volto: il cuore pervaso d’angoscia, il volto rigato da pesanti lacrime. Quando cado insensatamente in acqua con lei le increspature alterano l’immagine.

 

Tutto si fa improvvisamente più cupo, il buio prende il sopravvento, ma intravedo ancora la collina di prima, e una luce dietro di essa.

“FREIDAAA!”

Corro, o almeno credo, ma non importa: ciò che vedo sembra reale e gli aguzzini trattengono mia moglie. Continuo a correre a perdifiato, ma, di nuovo, senza che possa fare nulla, Freida viene giustiziata davanti ai miei occhi.

Il pugnale gronda sangue in mano all’immondo essere nominato Vicario Nero, che ride compiaciuto della sua opera.

 

Rabbia. Odio. Ira. FURORE.

 

“MALEDETTOOO!”

I muscoli tesi in un scatto ferino, levo il pugno per percuoterlo con tutta la forza e l’energia che avevo. E lo colpisco.

La superficie che vedo si spezza come vetro in minuscoli frammenti: il vicario si distrugge, come quella notte.

Il colpo è così vigoroso che sobbalzo e cado a terra, perdendo l’equilibrio e i sensi.

 

… Minuti, ore dopo? Mi sveglio. La barca immaginaria che mi conduce è ferma, incagliata in malo modo su di un terreno limaccioso. Da quel che posso vedere, il fiume su cui navigo è sparito, lasciando il posto ad un’enorme superficie blu, cupa, immobile, avvolta da una densa nebbia. Nella direzione opposta, un tetro bosco.

Ma dove sono?

Non ne ho la minima idea: prima trascinato da un assurdo fiume, ora arenato sui suoi margini più tetri.

Decido di incamminarmi per il bosco: forse troverò qualche sentiero per uscirne.

 

Ma presto mi accorgo che più passi faccio, più la selva diventa inospitale, impervia, oscura come la mia anima.

Angosciato nel non vedere una via d’uscita, infine, incespico in un rovo e cado.

Il mio viso atterra su una specie di felce, mista a un residuo di sottobosco marcio e, mentre rialzandomi mi ripulisco da quella sostanza limacciosa, sento un suono gutturale, profondo e sinistro dietro di me: qualcosa che mai avevo sentito prima.

Mi guardo attorno con il cuore in gola e le vene pulsanti, ma non vedo nulla.

Istintivamente, però, scappo.

 

Il fiato diviene rapido, mentre corro in tra i rami bui che mi frustano il corpo, graffiandomi, tagliandomi, mordendomi.

Ma la paura è troppa per rallentare e i passi pesanti di quella creatura sono proprio dietro di me.

Bagliori gialli nel buio alle mie spalle.

La mente è attraversata da innumerevoli pensieri nefasti, comunque ottenebrati dal mio cuore che accelera sempre più, fino a sentirlo scoppiare.

Nel turbinio, una voce: “W…e…e.iss……A…n….el”

La mia mente sussulta, e mille memorie mi assalgono nelle quali l’unica costante è una donna.

Mi fermo di colpo, in modo quasi innaturale.

Il bosco mi circonda, ma davanti a me è apparsa una radura, illuminata da una pallida luna i cui raggi mi lambiscono la pelle.

Mi sento combattuto, diviso a metà, ed ogni parte vuole prevalere sull’altra.

Il respiro è ancora pesante, il cuore è piantato in gola, ma i battiti vanno rallentandosi.

Una consapevolezza mi giunge, imponendosi improvvisa: fuggire non è la soluzione.

Per cui, attendo.

Attendo mentre le orecchie sono riempite dal suono del cuore che pulsa, annebbiandomi i pensieri.

Attendo mentre le punte di ogni dito formicola violentemente, come se toccassi una fiamma viva.

Attendo mentre gli occhi si riempiono di lacrime, che velocemente ricaccio nel profondo del mio stomaco.

 

E, infine, con una scintilla di coraggio, mi volto.

Ed eccolo lì: un terribile lupo nero.

Avanza, ormai con passo felpato, perché sa di avere la sua preda in pugno.

Pelo ispido e nero come la pece, zampe dotate di artigli terribili che mordono il terreno e fauci irte di denti aguzzi, dalle quali esce una lingua umida, lunga in modo innaturale, gocciolante densa saliva.

La bestia avanza decisa verso di me, ed io arretro di qualche passo: dentro di me, però, mi preparo all’inevitabile scontro tendendo ogni fibra del mio corpo, focalizzandomi su quell’orribile fiera.

Siamo l’uno di fronte all’altro, io incrocio il suo sguardo e lui il mio. Mi fissa con i suoi occhi gialli, dalla pupilla a forma di inquietante saetta.

 

L’affanno della corsa non cessa, ma diviene rabbia, che si gonfia sempre più, fino a bruciare come un incendio violento nel petto.

L’adrenalina pompa feroce nel sangue e, in quella calma surreale, sbatto le palpebre per focalizzare meglio.

Basta quell’istante e la bestia svanisce dal mia vista.

Sinistra.

Destra.

Dietro di me!

Niente.

 

Ma un’ombra invisibile avanza verso di me, e sale, si arrampica strisciando attraverso le gambe. Cerco di scattare nell’estremo tentativo di evitarla, ma sono saldamente bloccato a terra. Nulla posso fare se non voltarmi indietro e veder salire sulle spalle una densa pece nera che mi sta ricoprendo come un lungo e avvolgente mantello di pelliccia buia come la notte.

Come il SUO manto.

Cerco di ribellarmi a quella orribile sensazione, ma più lo faccio, più mi dibatto, e più essa mi conquista.

Avverto un impulso irrefrenabile.

Lo sento corrermi dentro, scavare nella testa, divorarmi il cuore.

 

“LASCIATI…”

Una voce mi pulsa nella testa.

“…ANDARE”

E capisco.

 

“ANIMA…”

Questa bestia…

“…E CORPO”.

…è la mia.

 

Le avvolgenti parole insidiano in me sempre più sete di vendetta, ogni fibra del mio corpo si contrae pronto a scattare per combattere. Digrigno i denti, mi sento invincibile, mentre tutto intorno a me diventa nero in un turbinio di ombre di forma umana, da aggredire, sbranare, assassinare!

E sto scoppiare, devo uccidere, SUBITO!

 

“No.”

Dal nulla davanti a me appare qualcosa di luminoso, lucente, caldo. è indefinita, una piccola forma vagamente umanoide, della quale distinguo solo una massa di capelli lunghi e folti, e sta lì con le braccia tese, aperte a bloccarmi.

Fluttua a mezz’aria, davanti a me. Il lupo nero vuole spingermi in avanti per sbranarla, dersidera farlo!

Ma qualcosa mi ferma fortemente, qualcosa che mi dice che io conosco quella luce.

Sento di nuovo il cuore pulsarmi in maniera piena nel petto, come non sentivo da tempo.

Mi sento nuovamente bloccato, ancora diviso a metà.

 

Con inaspettata delicatezza, lo spirito allunga la sua mano verso di me.

E quello che provo è una sensazione infinita di calore, di rassicurazione, di pace.

“Non devi aver paura. Io sono qui con te.”

Mi parla e sento che la parte più profonda della mia anima riconosce quella voce.

Vorrei dire qualcosa, ma le parole sono incagliate nella gola.

Di nuovo la mia mente è attraversata da un flusso di ricordi ed emozioni; di nuovo il volto di una donna mi appare davanti: quello di Meike.

I ricordi montano in testa e una nuova consapevolezza mi prende in un istante: tutto questo è sbagliato.

Tutto questo è inutile e insensato e sta per bruciare ogni cosa, anche quel poco che mi è rimasto.

 

La mia anima, come travolta da un luminoso senso di purificazione, si risveglia dal torpore della rabbia e dell’angoscia.

La strisciante voce che proviene dalle mie spalle mi parla di nuovo.

“LASCIATI ANDARE… TU SEI MIO!”

Ma stavolta, mosso da lucente ardore, afferro la pelliccia ormai fortemente avvinghiata alla pelle delle mie spalle e tiro con tutte le mie forze: il dolore è lancinante, straziante, è come se mi stessi scuoiando con le mie stesse unghie. Ma la consapevolezza adesso mi sprona a continuare, stringendo i denti così forte da sentire il sapore del sangue.

E pezzo dopo pezzo, in una lenta agonia, strappo e lancio via brandelli di quell’ispido e oscuro vello.

Continuo questa battaglia contro me stesso fino all’ultimo singolo pelo, ed infine mi ritrovo nudo, ma non sento più freddo, non sento più dolore, non sento più rabbia, mi sento caldo, e libero, e lontano da qualsiasi emozione negativa.

 

In modo immondo e inaspettato, come uno sciame di scarafaggi, i brandelli si riuniscono assieme a riformare l’orrida creatura.

“SE NON POSSO AVERTI, ALLORA TI DIVORERO’!”

E con un balzo ferino il lupo nero si avventa su di me.

Ma pieno di una nuova forza benefica pianto a terra gli arti, pronto a riceverlo, con il coraggio come unica arma.

La lotta comincia, feroce ed aspra.

Molti sono i colpi, gli artigli, le zanne che vedo baluginare come incubi letali, e non capisco più se il sangue versato che ci insozza sia il mio o il suo.

 

Infine, quasi senza accorgermene, mosso da fierezza, lo afferro alla gola, torcendo il suo collo sempre di più fin quando… Un suono secco riempie il silenzio mortale che è calato e la testa della belva si piega definitivamente in modo innaturale.

Nonostante l’eccidio appena compiuto, mi sento pieno di un dolcissimo senso di calma, come mai provato prima: mi sento felice, fermo, sicuro.

E il mio cuore, e la mia bocca, ululano di gioia ritrovata.

 

Quando abbasso lo sguardo sul mio corpo, alla ricerca istintiva dei segni della battaglia, vedo le mie mani mutate in candide zampe, il mio muso allungato, il mio corpo totalmente bianco.

Sono un lucente lupo, senza alcuna macchia o ferita.

Ululo di felicità, e la luce della luna più brillante di sempre mi avvolge.

 

 

 

“Si sta riprendendo!”

La testa di un vecchio cerusico dell’ordine monastico si china sopra di me, tastandomi la fronte.

 

“Sì, si è ripreso. Non credevo che ce l’avrebbe fatta!”

Inspiro a pieni polmoni, ed espiro libero da qualunque peso.

So, finalmente, chi sono e cosa voglio.

 

 

NdA: Ringrazio vivamente Valentina e Costanza che mi hanno seguito per la stesura e revisione di questo racconto. Senza di voi sarebbe stato uno strafalcione linguistico.

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