Racconto a quattro mani – Il sangue di gardan

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Fionghall era rimasto a dormire un’altra notte nella forgia, la sala dei progetti di suo zio ormai era diventata la sua stanza preferita, con estremo piacere dei suoi fratelli che ora potevano dormire un po’ più larghi. I primi raggi del sole entravano come lame taglienti dal piccolo lucernario posto sul tetto, illuminando debolmente la stanza. Il rumore ritmico del mantice, che si azionava con la forza dell’acqua che scorreva nel canale di fianco alla loro abitazione era divenuta la abituale sveglia del fabbro.

Si stiracchiò nel letto e con gli occhi ancora impastati dal sonno scese le scale e si diresse verso la cucina. Sua madre dormiva ancora, ma sapeva che a breve si sarebbe alzata, nonostante la sua malattia era pur sempre una madre gardanita e si sarebbe data da fare per preparare un’abbondante colazione per tutti. Prese dalla dispensa un po’ di pane, un paio di strisce di pancetta e un uovo. Riempì poi il suo boccale dalla piccola botte posta sulla mensola più alta, la scura birra scese formando una cremosa schiuma. Con questo in mano si diresse verso la forgia, dove su una piccola piastra di metallo nero fece abbrustolire il pane e cuocere la pancetta e l’uovo. mentre il grasso sfrigolava con una tinozza prese un po’ di acqua dal canale che scorreva sotto la forgia. Era gelida ed era certamente il modo più rapido per svegliarsi per bene. Si sciacquò la faccia, pulendo gli occhi dal poco sonno che era rimasto e rinfrescandosi le braccia e il collo. Poi, appena fu pronta, prese la sua colazione e si mise a mangiare e bere con gusto.

Osservava le spade che aveva forgiato nei giorni precedenti, un ordine da parte della milizia. Negli ultimi tempi le cose al fronte probabilmente si stavano facendo più serie, gli ordini erano aumentati e anche le scadenze si erano fatte più pressanti. Le spade erano semplici, in gran parte spade bastarde, anima in ferro con lama in acciaio, ma tra di loro spiccavano tre spadoni a due mani. Erano state un po’ il suo cruccio, non essendo abituato a usarle non riusciva a capire bene a che punto doveva bilanciarle. Pulì con l’ultimo pezzo di pane il piatto dal giallo dell’uovo e dopo aver finito la birra, sciacquò con l’acqua del canale bollale e stoviglia per poi rimetterli sul ripiano di fianco alle scale che portavano al piano di sopra.

Sentendo i primi rumori in cucina non si fece più scrupolo di far piano e cominciò a caricare le armi sul carro. Facendo attenzione ai bordi, che aveva con cura affilato la notte scorsa, le ricopriva di paglia in modo tale che quando ne poggiava una sopra l’altra non si rovinassero.

Prima di uscire si mise gli stivali, salutò con un affettuoso bacio la madre in cucina, intenta a a preparare la colazione con uova pancetta, rubò dal tavolo una fetta di torta alle mele, ricevendo una cucchiarellata di legno in testa e con la bocca piena, uscendo di casa, prese il carro e si avviò.

Il bastione si stava rapidamente popolando, la gente imbacuccata nelle pellicce si muoveva a passi decisi emettendo piccoli sbuffi di vapore dalla bocca, i primi mercanti cominciarono a montare i loro banchi, spolverandoli dalla poca neve che era caduta durante la notte. La strada verso la caserma della milizia per fortuna non era in salita e Fionghall trascinava senza eccessiva fatica il piccolo carro con le armi. Salutò e contraccambiò il saluto di un paio di persone e vide che McMurdoc era tornato e stava montando il suo banco, si doveva ricordare di avvisare suo padre, in modo da poter comperare un po’ di lingotti di ferro, visto che stavano finendo le scorte.

Il portale di ingresso alla caserma era in pietra nera e le possenti porte di legno rinforzate in metallo erano state aperte solo da poco. Una coppi di militi si occupava di fare la guarda all’ingresso, lo sguardo di chi non vede l’ora di terminare il suo turno di guardia e andare a riposarsi. Osservarono il fabbro avvicinarsi con il carro, la più giovane delle due si avvicinò e chiese chi fosse. Fionghall spiegò rapidamente che era il figlio del maniscalco del bastione e che stava portando le ultime spade richieste dalla milizia. L’altra guardia disse che era stata avvisata e fu fatto entrare all’interno della caserma. Si diresse verso l’armeria e incrociò lo sguardo assonnato del furiere che aveva appena aperto le porte e si apprestava a cominciare la giornata.

– Buongiorno McKindley, svegliato da poco eh…- Fionghall apostrofò con fare bonario il furiere che alzò un sopracciglio e gli rispose – Sempre allegro tu? Non lo saresti se avessi passato metà notte a fare l’inventario delle scorte della caserma, e l’altra metà a scriver missive in cui si richiedono i rifornimenti che sono in ritardo.-

Mentre parlava Fionghall tolse la paglia che copriva le spade e disse : – Di certo io e mio padre non siamo in ritardo. Questa è l’ultima parte dell’ordine che ci avevi fatto, e te la portiamo con due giorni di anticipo, quindi direi che puoi essere soddisfatto no?-

Con fare rapido cominciò a portare le spade sulle rastrelliere di legno all’interno del magazzino, i raggi di sole si riflettevano sulle lame nuove e luce e riempivano il magazzino di piccoli riflessi luminosi che illuminavano i sacchi di granagli e le balle di biada e fieno delle scorte invernali. Il furiere contò le spade portate e quando l’ultima fu posizionata sulle rastrelliere fece un silenzioso cenno di approvazione. Si spostarono verso il tavolo vicino all’ingresso a firmare i fogli di consegna quando si sentì la porta cigolare e il rumore di un’armatura che si poggiava contro di essa.

-Nuove spade che io rompere? Non avere ancora finito quegli allenamenti-

La figura di un mezz’orco si stagliava sulla porta e risultava difficile da distinguere per via della luce alle sue spalle. Dopo essersi rialzato dal tavolo su cui era chinato Fionghall focalizzò la vista fino a quando non capì chi si trovava di fronte a se.

– Davor del sept Stalen del clan Kerr – disse il nome del mezz’orco scandendo bene le parole – le mie spade non sono fatte per essere rotte, ma sono fatte per combattere.- Il tono era serio come lo era il volto del fabbro che a passi decisi si avvicinò al mezz’orco. Si fronteggiarono per un secondo con lo sguardo torvo, poi un sorriso comparve sul volto di Fionghall e con una stretta di saluto al gomito e una buona pacca sulla spalla disse con tono ben più allegro:

-Salute cugino, ti vedo in forma.-

– Io stare bene, solo spade essere un po’ rotte. McKindley no permettere me di entrare in deposito per cambiare arma. Dire io averne rotte troppe, ma se vuole imparare a rompere quelle degli avversari dovere fare prove.-

I borbottii del furiere, si sentirono fino all’ingresso. Fionghall decise quindi di prendere la palla al balzo e disse: – Invece che rompere delle spade, che ne diresti darmi quelle due dritte su come si tira con uno spadone lungo come il tuo?-

Il mezz’orco si grattò per un attimo il mento e squadrò il fabbro con attenzione con occhio critico, poi con tranquillità disse:

-Perché no? Tu portare spade a due mani così io avere scorta e tu imparare a combattere un po’.-

Fionghall prese il foglio della consegna dal furiere e poi si avvicinò al mezz’orco di nuovo dicendogli più a bassa voce.

– Dietro la mia forgia c’è un buon piazzale che adesso è abbastanza vuoto, ti va bene come posto? Ho poi giusto due spadoni appena sgrossati e senza filo che possiamo usare senza farci troppo male.-

Il mezz’orco fece cenno di far strada. Fionghall riprese il carro, che pesava di meno ora e si diresse verso la propria forgia con calma chiacchierando con l’orco del più e del meno, parlando di allenamenti di spada, di cosa stava succedendo nel ducato, del famigerato golem ritrovato e di come sarebbe stato l’imminente concistoro nelle terre di Thersa. Arrivati alla forgia lasciò il carro subito dentro il cancello, prese da una cassa due grosse claymore ancora da affilare e ne passò una al mezz’orco. Passò un po’ di tempo a imparare le impugnature e le difese di base.

Non notarono però, nella concentrazione dell’allenamento, che spesso alla finestra della cucina un paio di occhio li osservavano. Erano gli occhi apprensivi di una madre che vedeva il proprio figlio imparare a maneggiare strumenti che avrebbero potuto portarlo alla morte. Le emozioni che provava erano contrastanti, era orgoglioso di suo figlio che aveva combattuto per la Freinhiens, che aveva aiutato a salvare il Thane di Brighadoon, e che aveva persino partecipato a un banchetto con le più elevate cariche dei ducati dell’orifiamma. Dall’altro lato era preoccupata per cosa poteva succedergli, le mura del bastione di Oldmory erano sicure, ma le voci delle malebranche e di altri briganti giungevano sempre più spesso. Ma sapeva bene che non poteva far altro che osservare e pregare gli astri che suo figlio rimasse sempre sano e salvo.

Il rumore di sferragliare continuava ormai da parecchio nel piazzale e Fionghall cominciava a mostrare segni di cedimento. Le mani gli facevano male, quella spada era pesante e i copi di Davor erano precisi e dolorosi, per quanto non lo ferissero se non nell’orgoglio e con qualche livido.

– Tu sembrare un po’ femminuccia a portare quella spada. Tu sei fortunato che sia smussata altrimenti saresti morto da un pezzo. Tu non avere paura, altrimenti tu irrigidire e no muovere, no attaccare-

La stanchezza stava leggermente appannando i pensieri del fabbro, cominciò a mulinare qualche colpo verso il mezz’orco ma furono facilmente rispediti al mittente insieme a un altro bel livido sul braccio destro.

– Questa spada pesa Davor, e devo imparare a bilanciarle meglio – la voce era affannata

– Se tu non essere neppure bravo a fare spade non essere colpa mia. Mio fratello dice sempre, spada forgiata non vale nulla se il fabbro che la creata non la sa usare, quindi tu smette di piangere e alzare il dolore evitare e stringere i denti, in battaglia non essere clemente con te anzi o te o tuo avversario. –

Una scintilla si accese negli occhi del fabbro, finalmente Davor aveva trovato il punto su cui battere e che stava cercando da almeno mezz’ora.

– Bada a quello che dici mezz’orco-

Fionghall si rialzò dritto poggiando la punta della spada per terra e usando come leva.

– Io pensare a armi rotte nei giorni scorsi, essere fragili, più deboli di quelle di Athar. Tu forse non essere bravo fabbro quanto io pensare.-

Osserva lo spadone muovendole con ambo due le mani, portando le iridi del mezzorco verso il fabbro, facendo un piccolo sorriso maligno, staccando al mano destra dalla spada facendo segno con essa di andare contro di lui all’umano

-Fare sotto e tu volere imparare veloce allora no perde tempo in lamenti-.

Lo sguardo di Fionghall si fece torvo e Davor capi che era il momento di mettere a segno il colpo definitivo per vedere di che pasta era fatto l’umano. Si avvicinò e con un colpo secco l’arma ancora infissata per la punta per terra si spaccò in due punti facendo cadere i pezzi per terra.

-Visto, tu no capace di fare spade resistenti. Forse Kerr dovere cercare altro fabbro. Se tu volere chiedere a mio fratello di insegnare a te arte di fabbro-

Fu la goccia che fece traboccare il vaso, dentro Fionghall qualcosa si mosse e con un urlo di rabbia che non aveva mai fatto saltò addosso al mezz’orco. Passarono buoni dieci minuti ad azzuffarsi e darsele di santa ragione a mani nude.

Poi quando si calmarono entrambi Davor disse – Nei figli di orsa scorrere furia nel sangue. Tu ora assaggiato un po’. Rabbia rimanere dormiente dentro di noi e molti guerrieri no usare per proprio beneficio. Tu imparare a usare a pieno tuo corpo, partendo con io diventare più forte. Tu lasciare scorrere rabbia, poi tutto viene da se, prime volte mente offuscata, poi tu capire come utilizzarla per tuo conto al meglio. Spero piaciuto allenamento ma io dovere tornare per adunata di mattina. Passa a trovare me quando vuoi, fare altro allenamento.-

Con una pacca sulla spalla salutò l’umano ancora seduto e dolorante in mezzo al piazzale e si incamminò verso la caserma. Fionghall rimase seduto per un’altra buona mezz’ora osservando i frammenti della spada rotta di fronte a se. La sua mente stava pensando a molto e avrebbe impegnato qualche giorno a rimettere in senso i pezzi frantumati dei suoi pensieri.

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