Un’altra storia… Capitolo 2

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L’afa e la puzza di stantio appestavano tutto quanto la sotto. L’eccessiva umidità imperlava le pareti della cavità naturale riflettendo la luce dell’unica candela sino all’angolo più buio. Sulla parete di fondo restava in ginocchio nella penombra la sagoma dell’uomo, le mani legate dietro la schiena, la testa china sul costato, solo il regolare gocciolio dell’acqua che dal soffitto cadeva sino al suolo scandiva per lui gli attimi di quella interminabile prigionia. Eppure doveva esser passato poco più di un giorno.

Il carceriere all’entrata dell’anfratto adibito a cella si ricompose all’udir di passi provenienti da dietro l’angolo del cunicolo. Aveva abiti desertici color della notte, il corpo completamente intabarrato lasciando scoperti soltanto gli occhi; sulla mano destra stringeva una lunga picca e dal fianco sinistro pendeva una lama ricurva tipica dei beduini. Furono in due a voltar l’angolo in fondo al corridoio naturale: uno era un volto noto, una sorta di capo tra coloro che si nascondevano in zona, si faceva chiamare Kamal ed era stato proprio lui a catturare la preziosa preda; l’altro invece era una faccia nuova e a giudicar da come il primo ne aveva parlato al carceriere, doveva esser un pezzo grosso dell’ordine.

“… la zona è completamente sotto controllo Signore …” relazionava il primo senza che il secondo apparentemente gli dasse il minimo ascolto “… c’è solo un piccolo problemino con alcuni troll di foresta che sembra utilizzino i territori limitrofi come zona di caccia, ma ce ne stiamo già occupand …” Kamal venne bruscamente interrotto da un secco gesto della mano del visitatore: erano giunti in prossimità della soglia. Nel silenzio più assoluto il nuovo venuto si soffermò qualche attimo su di questa per poi muovere cautamente alcuni passi all’interno dell’angusta nicchia, facendo contemporaneamente segno agli altri due di attender fuori. La tenue luce della candela posta alla sua destra rischiarò leggermente la sua figura: era vestito con un leggiadro kimono color argento e porpora, il torso e il viso invece, dai lineamenti dei colli di giada, erano ricoperti da esotici tatuaggi; i capelli color dell’ossidiana ricadevano lunghi e lisci sulle spalle e giungevano dietro fin quasi a metà della schiena. Negli occhi neri come l’inchiostro sembrava vorticar l’essenza stessa delle ombre. Fissò per alcuni istanti il prigioniero in ginocchio per poi proferir parola:

“Gabriel Navarko Pupoljaka, detto il Trovatore, il Garofano purpureo, Velik Gospodar della Mano del fato, l’Inafferrabile. Leggende narrano che sei una mossa avanti alla morte stessa. Dimmi dunque, hai forse questa volta fatto il passo più lungo della gamba?”

Alle parole dell’uomo il prigioniero accennò un lieve sorriso, come se dalla voce appena udita avesse riconosciuto il suo interlocutore.

“Tsè!! Tu!! Dovevo immaginarlo. Se non altro per il modo in cui avete eluso la guardia di confine.”

Gabriel alzò allora lo sguardo e la tenue luce rischiarò anche il suo volto rivelando due ferite, una sullo zigomo e l’altra sul labbro inferiore, inconfondibili segni di percosse. Fissò il visitatore e strizzò leggermente gli occhi tentando di ricordare l’ultima volta che era stato al suo cospetto.

“Rammento … Avremmo dovuto ucciderti quella volta … ma fummo troppo lenti e ci scappasti per un soffio. Quanto era? Cinque? Sei anni fa?”

“Errato Navarko, errato! Sono tredici! Tredici lunghi anni passati nelle ombre attendendo il momento propizio per attuar la mia vendetta. Noto comunque, e con immenso piacere oltretutto, che il tempo non è stato indulgente con la tua mente … e con le tue capacità soprattutto visto la posizione in cui ti trovi.”

Ilare ed arrogante come al solito gabriel non tardò nella risposta:
“Perdonami … è solo che la mia mente sembra non accettare il passare degli anni, e i ricordi vanno di pari passo con essa … per il fisico invece beh … evidentemente …”

L’orientale non apprezzò molto l’audacia del prigioniero, ma sapeva che un’eccessiva reazione a poco sarebbe servita con colui che aveva innanzi. Scelse dunque di snudare la verità, nuda e cruda:
“Tagliente ed incauto come dicono … La tua venuta comunque è giunta come un insperato regalo, sai Navarko? Non capita tutti i giorni di aver l’occasione di colpir dall’interno una delle principali possibili preoccupazioni che potremmo aver in futuro. E tutto grazie proprio alla fialetta che ti portavi appresso, per la quale necessitiamo solo di un ultimo piccolo ingrediente.”

La mano dalle lunghe unghie nerastre si proiettò rapida in avanti afferrando una piccola ciocca di capelli del prigioniero, strappandola poi con forza dalla cute.
“Ahia!!! Cazzo! Guarda che non ne ho mica tanti quanti te!!”

“Ah ah! Si dice che un uomo prossimo alla morte o si lascia andare ad essa, cedendo alla paura, oppure tenta di sdrammatizzare con battute di spirito, cedendo alla follia … ma spiacente Navarko, io non ti concederò la morte. La tua anima è stata da tempo prescelta da qualcuno con il quale non intendo aver più nulla a che fare. Qualcuno che con me condivide il retaggio, ma la cui leggenda è di gran lunga superiore alla nostra. Ma credo tu abbia già capito di quale sorta di demone stò parlando!”
Un malevolo sguardo accompagnato da sadico ghigno comparve sul volto dell’orientale, mentre l’espressione del prigioniero si fece cupa e preoccupata. La testa tornò china sul costato.
“Proprio così Navarko, egli verrà presto a reclamar l’anima di coloro che lo sfidarono e gli Dei soli sanno quale atroce destino li attende tra le fauci di quella lama maledetta. Faresti bene a iniziar a chieder perdono per i tuoi peccati, anche se la cosa non credo servirà poi a molto.”

Nessuna replica arrivò dal prigioniero, avvolto adesso in un triste silenzio. L’interlocutore voltò le spalle e lento guadagnò la soglia dell’anfratto. Fu allora che il prigioniero prese di nuovo a parlare, stavolta con voce grave scandendo ogni singola sillaba:
“Dai diari di Mastro Jep Pobosky, capitolo 4, paragrafo 2. E sbocciò il settimo fiore: dei più remoti campi di battaglia, lui sarebbe stato l’invitto. La terra avrebbe tremato al suo incedere e le carni dei nemici si sarebbero dilaniate sotto i suoi fendenti. Le lance si sarebbero spezzate, gli scudi divelti, le armature tranciate assieme al ventre degli armigeri, finché anche il più saldo in spirito e disciplina non si sarebbe ritrovato in rotta, sperando di non incrociar la strada di quel demone.”

L’uomo si soffermò sulla soglia attendendo che il prigioniero finisse. Poi, senza nemmeno voltarsi, rispose:
“Sto per toglierti molto Navarko … non ti toglierò anche la possibilità di sognare.”

I passi dei due ultimi venuti si allontanarono lentamente e la quiete riprese a regnare tra i cunicoli. Il carceriere, rimasto immobile sulla soglia fino a quel momento, mosse allora qualche passo all’interno della nicchia.

“Posso avere un po’ d’acqua Lutor?” chiese il prigioniero senza muoversi.

Il carceriere poggiò la picca alla parete e slacciandosi l’otre lo porse a Gabriel. Quest’ultimo levò allora lentamente le braccia da dietro la schiena, allargandole per sgranchirsele e dopo essersi per qualche attimo massaggiato il polso destro ove ormai erano quasi spariti i segni della corda che lo aveva tenuto prigioniero, afferrò l’otre e ne bevve avidamente il contenuto.
“Cosa facciamo adesso? Posso aiutarti in qualche modo?” chiese il carceriere.

Gabriel si asciugò la bocca con la manica della camicia.
“Adesso? … Adesso attendiamo amico mio …”

“Come attendiamo?!? E se non dovesse giunger nessuno?”

“Eheh!! Si vede che non sei avvezzo ad aver dei fidati compagni … amici per i quali saresti disposto a dar la vita e che sei sicuro farebbero la stessa cosa per te … alleati delle cui capacità ti fidi ciecamente …”

Lutor rimase pensieroso alcuni istanti, poi replicò:
“Invece comprendo Gabriel. Quello che dici … credo che per te lo farei.”

Gabriel bevve un altro sorso d’acqua dall’otre, per poi richiuderlo subito dopo. Levò poi la man dritta in alto e proferì arcane parole incomprensibili, canticchiandole con quella che pareva esser una melodia dolce e armonica. La stessa mano passò poi innanzi al volto di Lutor.

“Come io per te amico mio … come io per te …”

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Confine settentrionale di Corcovlad, accampamento del 7° battaglione dell’Esercito del Corvo

Il giovane milite giunse trafelato al cospetto del proprio generale, aveva corso per più di 30 giri di clessidra senza fermarsi per recapitare il messaggio. Il generale scrutava l’orizzonte dalla vetta della collina, l’ultima prima dell’interminabile distesa di sabbia oltre il confine della sua patria.
“Signore … anf anf … scout … anf … perlustrazione … anf … nord ovest … anf anf …”

Gelida e istantanea la risposta del comandante:
“Calmati … prendi fiato un secondo e ricomincia da capo …”

Il ragazzo si appoggio alle ginocchia alcuni secondi prima di iniziar di nuovo a respirare con regolarità, poi riprese da capo:
“Scusi Signore. Gli scout inviati in perlustrazione presso la zona nord occidentale riferiscono di un innaturale movimento di Troll di foresta. Il comandante in seconda sta preparato una spedizione e attende solo il vostro consenso.”

Il generale non aveva ancora distorto lo sguardo dall’orizzonte:
“Altro?”

“Si Signore. Una missiva personale per lei. Non è firmata Signore. C’è soltanto un … fiore … una magn…” All’udir quelle parole il generale si voltò immantinente verso il soldato e con due rapidi passi gli fu innanzi strappandogli l’incartamento dalle mani “ … gnolia … Signore.”
Ruppe il sigillo a ceralacca e i suoi occhi, su uno dei quali correva una profonda cicatrice, scorsero veloci sullo scritto.

Il ragazzo attese qualche attimo poi tentò di riprender parola:
“Signore. Posso tornar indietro e dare il suo consenso al com…”
“Zitto!!” Gli occhi di ghiaccio del generale fermarono il loro frenetico guizzare a destra e manca quando giunse alla fine del documento; al fine lo accartocciò e lo gettò nel braciere di fianco.

“Ragazzo. Torna indietro e riferisci a Occhio del Fortunale di assumere il comando fino al mio ritorno. Dì inoltre che non si preoccupi dei Troll, in quanto mi recherò io stesso in zona a risolvere il problema.”

Il ragazzo rimase per un attimo interdetto da quel comando:
“Ma Signore!! Non credo che alcuni Troll di foresta richiedano il Vostro stesso intervento …”

Il generale nel frattempo si era mosso verso la grande tenda, probabilmente la sua, soffermandosi sulla grossa cassapanca posta innanzi ad essa: la aprì e ne estrasse un lungo spadone di metallo brunito dalla foggia grezza e massiccia. Lo calcò sulle spalle voltandosi poi verso il milite:

“Credimi ragazzo. Se ho ragione i troll sono il nostro problema minore.”

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