Fino all’ultimo respiro

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Non erano tutti stinchi di Santo all’interno della Ribellione: Ottavia lo capì subito, non appena si arruolò.

C’era chi seguiva un nobile ideale facendosi scrupoli morali per non assomigliare alla tirannia che cercava di soverchiare e c’era chi voleva solo restituire un po’ della violenza che l’Impero gli aveva inferto: sul campo di battaglia erano facilmente distinguibili. I primi recavano la morte con un singolo colpo ben assestato: i secondi cercando di straziare quanto più possibile il nemico che gli si parava innanzi.

Il giorno in cui Ottava sentì per la prima volta la voce del Fanciullo Guerriero non si trovava nelle prime linee d’assalto: ma egli era così infervorato e sprezzante, mentre cercava di infondere coraggio nello sparuto manipolo col quale voleva conquistare una rocca fortificata, che le sembrò parlasse solo per lei.

“L’Occhio del Divino Angelo è su di noi, compari, oggi come tutti i giorni nei quali porteremo la Sua volontà sul capo degli imperiali: siate saldi giacché fino all’ultimo vostro respiro, quando fronteggerete l’ultimo nemico dei Popoli Liberi di Whanel, Egli guiderà la vostra mano e consegnerà alla gloria imperitura le vostre gesta! Quest’oggi cadrà un altro pezzo dell’infame egemonia dei Quattro: quest’oggi il vostro passo non indietreggerà!”

Era ancora ottenebrata dal dolore all’epoca ma Ottavia avrebbe ricordato le parole del suo Re negli anni a venire, fino a quando non ispirarono uno dei motti più celebri della sua Masnada.

“Se quel bastardo si rivela per l’appunto il bastardo che pensavamo fosse lo devi massacrare, capito?!? Devi dare una lezione ai fanatici dell’Impero: Ottavia prima vi ammazza e poi vi fa male!”

Francisco aveva assimilato meglio di chiunque altro la lezione del Crepuscolo: forse perché la sua mente ragionava per concetti semplici, lontana dagli orpelli etici che frenano talvolta anche la volontà più ardimentosa. Forse perché non aveva mai subito un tradimento cocente, in grado di far traballare anche la posizione più caparbia.

“C’è bisogno di dirlo?!? Pensavi gli facesse una carezza?” Anche Sirius voleva fomentare Ottavia: a molti non era piaciuto il trattamento di riguardo che quel Vinicio aveva ricevuto, dopo tanti anni passati a guardarsi le spalle o a leccarsi le ferite, quando stare attenti non era bastato.

Eppure nessuno aveva osato esprimersi liberamente in merito: un po’ perché in pochi mettevano in discussione i moniti della più saggia tra loro, Cristilde. Un po’ perché il loro Cadetto sapeva di cosa aveva bisogno Ottavia ancor prima che a lei venisse in mente.

“Non sto dicendo questo ma c’è modo e modo per mandare un messaggio: chiunque assista dovrà raccontare in giro che non si fotte con Ottavia!” Francisco non riusciva a contenere l’ammirazione che aveva per la forza brutale del suo Alfiere.

Dal canto suo Ottavia marciava in silenzio: se solo Aldo fosse stato al suo fianco avrebbe messo in riga quei due ragazzini guerrafondai che si era portata dietro.

Ma Aldo non c’era e a lei poteva comunque servire un po’ d’aiuto: non sempre riusciva a piacere al prossimo, specie quando rischiava di aprirgli in due il compagno di molte avventure.

Un rischio, certo, ma magari niente di più: che prove concrete aveva che Vinicio fosse un imperiale? Senza una confessione o un testimone forse sarebbero riusciti a convincerla del contrario, facendo leva, in estrema ratio, su un tanto chiacchierato quanto indimostrabile cambiamento. No, il cambiamento non era una possibilità: d’altronde, nessuno dei suoi compagni avrebbe permesso che le fosse servita la sua testa su un piatto d’argento.

Possibile che quell’alba rossastra non fosse presagio dell’ennesima giornata di sangue?

Quella notte, aveva fatto anche un sogno che l’aveva messa di buonumore: aveva raggiunto l’Immacolato ed era sul punto di aprirlo in due quando una lama nera le aveva trafitto l’addome, sbucando poche spanne sotto il suo naso. Il classico colpo di scena che la costrinse all’improvviso in ginocchio, lorda del suo stesso sangue. La sua nemesi, la sua ragione di vita e morte indugiava sorridente innanzi a lei, tanto era sicura della vittoria che l’attendeva: si era tolto la maschera, alla fine, rivelando il volto di un uomo insignificante e banale, simile a molte delle facce delle persone più bieche che aveva incontrato in vita sua.

L’avrebbe trafitta con quello stuzzicadenti che aveva tra le mani se solo, a sua volta, uno spadone dalla lama serpentina non lo avesse passato da parte a parte all’altezza del ventre: Ottavia riprese energia e la stazione eretta, mentre l’Immacolato le crollava incredulo innanzi.

La situazione si era completamente ribaltata ed era tutto merito di Vinicio, che la fissava, come invitandola a chiudere quella storia una volta per tutte: Ottavia non si fece pregare, dando sfogo ai suoi più bassi istinti, e, in un attimo, il sangue prese a zampillare come un fresco temporale estivo.

Così doveva finire, cosi meritava che finisse tutto: nel sogno, crepava qualche attimo più tardi, le andava benissimo. L’importante era aver spento quell’ignobile vita e, nel contempo, aver trovato qualcuno che la rimpiazzasse dopo la sua morte: per i Ragazzi. E per Cristilde.

Era quello che si meritava, quello che doveva essere: questo si ripeteva avvicinandosi al Rodomonte.

—–

“FINO. ALL’ULTIMO. RESPIROO!! FINO. ALL’ULTIMO. IMPERIALEE!!”

Quasi sbavava mentre assestava i pugni violenti che avrebbero spedito Vinicio all’altro mondo: intorno a lei un silenzio spezzato solo da singhiozzi soffocati ed alcune flebili, malcelate, rimostranze.

Un solo fendente, il più letale fra i suoi colpi, fu sufficiente a far accasciare Vinicio come un sacco di patate, un colpo che l’uomo si prese in pieno petto, senza nemmeno tentare di difendersi: l’ennesimo riguardo nei confronti di un traditore, avrebbero detto in seguito.

E poi quei pugni, pieni di rabbia e delusione in egual misura.

L’urlo di Greg squarciò l’aria pesante quando il petto di Vinicio smise di sollevarsi: un altro fendente letale, un altro dei suoi Ragazzi a terra. L’avrebbe aggredita, se solo il Barbiere di Leone gliene avesse dato l’opportunità? Ma cosa si aspettavano da lei?!? Davvero la conoscevano così poco?

Ad una spanna dal suo naso c’era Gas, che aveva cercato di attutire la caduta del fidato compagno: quando estrasse per l’ultima volta il pugno dal volto di Vinicio Alvaro Pietrasanta osservarono insieme le nocche sbucciate e sanguinanti.

Ancora una volta aveva fatto quel che c’era da fare, senza troppi piagnistei o quantomeno riducendoli al minimo: intorno a lei, fin dove ebbe il coraggio di guardare, facce distrutte dal dolore, sguardi ricolmi di lacrime e biasimo.

—–

“Sei pentita?”

La pira che aveva ridotto in polvere il corpo di Vinicio aveva lasciato una chiazza di bruciato in mezzo a quell’erba rigogliosa: quello che fino alla sera prima era stato uno dei membri più validi della sua nuova élite, e che, razionalmente lo sapeva, adesso era solo polvere, se ne stava seduto accanto a lei, appoggiato con la schiena ad un albero.

Ottavia teneva le gambe incrociate: in grembo, in una mano un boccale ricolmo di un liquido denso, come da prassi ormai ben nota in tutta la Scacchiera, mentre nell’altra serrava la piccola boccetta che le aveva porto Leone qualche attimo prima, titubante.

“No, affatto. Ci ho pensato tutta la giornata: così stante le cose, non avrei potuto immaginare di agire diversamente però pensavo che farlo mi avrebbe distrutta. E invece…”

Un sospiro lungo, gli occhi fissi sulla pira.

“All’inizio ero arrabbiata, arrabbiata e delusa, quando ho realizzato che non avevo altra scelta: ho pensato che fossi stato un vigliacco a costringermi a fare quel che ti avrei dovuto fare. Ho pensato che avresti potuto sollevarmi da quella pena che sentivo crescermi in petto: in qualche modo, pensavo che me lo dovessi. Poi ho capito.”

Vinicio si sistemava il berretto incredulo: senza l’armatura, senza la giacca, sembrava un damerino viziato. Chissà se era sempre stato un brutale macellaio o se aveva percorso la via della violenza in seguito a qualche evento traumatico e definitivo, come era successo a lei.

“Azz, quante cose avevi in testa mentre i miei compagni cercavano di convincerti a risparmiarmi: sarà perché non prestavi attenzione alle loro suppliche che alla fine sono diventato un mucchietto di polvere?!?” Il solito sorrisetto sornione e beffardo, che forse vedeva per l’ultima vota.

“Quando mi hai preso la mano, quando mi hai detto che tra noi c’era una promessa, ho visto qualcosa nel tuo sguardo: avevi gli occhi lucidi e ho pensato che forse quello che dovevo fare era anche quello di cui avevi bisogno tu.

Ho pensato che forse il nuovo Vinicio non poteva vivere ricordando le atrocità che aveva commesso prima di diventare un’altra persona. Forse quel fardello che all’improvviso ti era crollato addosso era troppo per l’uomo che sei diventato tuo malgrado: forse c’è un limite al dolore, alla violenza, inferti o subiti, che possiamo sopportare. O forse mi sono immaginata tutto e adesso sto solo cercando di alleggerire il peso dell’ennesima morte della quale sono responsabile”.

Si guardarono per un momento che le sembrò eterno e Vinicio alla fine le diede la sola risposta in grado di destabilizzarla.

“Immagino che non lo sapremo mai”

Deglutì quello che le sembrava il boccone più indigesto degli ultimi tempi.

“Che fai, proprio adesso contrattacchi?” Un sorriso amaro le si dipinse in volto: un altro attimo, un’altra eternità.

“E’ il ricordo di quello sguardo disperato e straziante che mi tiene insieme: come se chiedendomi di tener fede alla mia parola tu avessi cercato di fare ammenda, di pagare per quel che prendevi coscienza di essere stato. Nei tuoi occhi, spaventati e rassegnati, credo di aver visto finalmente quello che volevano cercare di farmi capire i tuoi compagni e, al contempo, l’unica strada che rimaneva da percorrere. Se esiste la redenzione, credo che abbia quello stesso sguardo.”

Bevve senza fermarsi, finché il boccale non fu vuoto: rimasero entrambi rapiti dal panorama sul far del tramonto, dal crepuscolo di quell’intensa giornata.

“Vuoi dirmi che ti ho cambiata, alla fine?”

“Beh, per quel che può valere al momento… Da quando è morta Amanita non ho mai creduto nelle seconde possibilità, solo nella vendetta e nella redenzione che una lama ben affilata può dare tanto al corpo quanto allo spirito. E invece questa mattina è accaduto qualcosa che non potevo nemmeno immaginare: questa mattina eri un maledetto imperiale, di quelli della peggior risma peraltro, ma alla fine di tutto, di quello che abbiamo vissuto insieme, eri solo un uomo che aveva diritto alla sua redenzione. Hai cercato in me quella redenzione, sollevandomi dal ruolo del carnefice.”

Strinse ancora la piccola boccetta tra le mani, cercando le parole per quell’odioso commiato: non era l’alcol a infrenarle la lingua ma un sentimento remoto, che non era ancora pronta a provare, sepolto in un collinetta delle Piane Centrali.

“E’ per questo che sono qui bloccata, mentre la spirale delle carneficine passate e future risucchia non solo tutto il dolore che dovrei provare per aver ucciso il mio successore naturale ma anche la consapevolezza di aver tolto da questo mondo una persona forse migliore di me: un imperiale che è riuscito a redimersi”.

Si guardarono ancora, prima che una lieve brezza si portasse via un uomo che in verità non c’era già più, mentre tra loro aleggiava un’ultima domanda, che la stessa Ottavia si era posta spesso ultimamente ma alla quale però non aveva ancora saputo dare una risposta.

“E tu, come riuscirai a redimerti?”

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