GONNELLE DI TARTAN – PARTE 2

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«­Quindi ancora non vi siete rivisti? Niente?»

«­No, niente»

«­Quindi cosa le dirai per giustificarti di tutto questo silenzio?»

«­Beh, non è stato proprio silenzio, ci siamo scritti»

La Volpe si esibì in una delle sue scrollate da manuale, il gesto unico ed inconfutabile che indicava univocamente il suo non essere d’accordo. Tirò su un ciuffo di tabacco e una cartina e si appoggiò allo spigolo dell’edificio. Volpe è sempre stata carina, con dei modi incerti rispetto al galateo ma sicuramente immediati per quello che riguarda la comprensione.

«­Senti, Istrice, lo sai che ti voglio bene e che per te voglio il meglio, vero? Mi dici qual è il problema senza girarci intorno?»

Il problema era lampante, Sigrun non c’era. La sua assenza urlava fortissimo dentro la testa di Istrice anche se cercava di fare di tutto per mantenerlo nascosto. Ovviamente con pessimi risultati, chiunque avesse un briciolo di confidenza con lui si sarebbe accorto di qualcosa di strano, di fuori posto.

«­Istrice, hai trattato con delle persone ben più difficili di Sigrun, sei uscito da situazioni ben più complicate di questa, dovresti viverla meglio di così. E poi hai rotto il cazzo. Hai messo su il musino da bestia affranta delle grandi occasioni, hai iniziato a guardarti intorno da quando eravamo lì fuori ed ora te ne stai qui al tavolo a guardare tutti senza neppure toccare la birra. Sei andato addirittura a confessarti da Lince, cioè, è il menù delle grandi occasioni dell’osteria dello sfigato, datti una regolata, cazzo.»

Modi diretti, colpi secchi e precisi, nulla di nuovo, era la Volpe e non poteva essere altro che questo. Rideva quando parlava, rideva sempre quando doveva parlare con Istrice, soprattutto se erano cose serie. Lei non aveva più paura di niente, figurarsi se poteva temere una discussione.

«­Se lei ti vuole arriverà, ti si getterà al collo e la cosa comincerà a prendere una piega, se non ti vuole, chissenefrega, starai male un paio di mesi, ci frantumerai le palle ogni singolo giorno e andrai avanti, facile facile. Sarebbe bello se tu ci risparmiassi la fase della frantumazione, te ne saremmo tutti grati.»

Istrice volva molto più bene a Volpe di quanto non riusciva a mostrare, nonostante i suoi modi, e nonostante tutto rideva anche lui quando parlava. Il suono della parola “frantumare” nella sua bocca era incredibilmente comica. Ma lei ancora non c’era. Forse era meglio così, forse doveva solo prendere il coraggio a quattro mani e iniziare la parabola discendente che Volpe aveva descritto minuziosamente. La scacchiera, il lavoro, la famiglia, lo Spiantato, tutto… Alla fine avrebbero vinto loro, tanto valeva seguire tutta quella saggezza sparata dritta in faccia.

E invece alla fine arrivò Sigrun, non un ingresso come una principessa al ballo, dava più l’idea di essere uscita da una rissa ma era lì, e poteva essere lì solo per lui. Una ventata spazzò via l’incertezza, Istrice si alzò con un balzo, Volpe si prese il bicchiere e cominciò a bere un’insperata birra, e via di corsa verso di lei. Sembrava fossero tutti lì per dare fastidio, come un muro umano che si stava organizzando per separarli ma Istrice era cocciuto e alla fine arrivò davanti a lei ma fu gelato dalle uniche parole che pronunciò

«­Mi dispiace» disse allontanandosi con Cristilde.

Quindi la magia finiva lì. Rimase impietrito da quelle due parole, dopo tutto quello che si era immaginato, dopo tutta l’aspettativa, che fine aveva fatto tutto quello che di bello si era immaginato? Rimase lì fermo un paio di minuti prima di gestire tutta quella delusione, prima di accorgersi che Volpe era lì, vicino a lui.

«­É l’ora di andarcene Istry. Direi che qui non abbiamo molto da fare»

«­Si, scusa, non so a cosa stavo pensando.»

«­Lo so io, amico. Dai, andiamo a dormire.»

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