Incontri

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In una mattinata densa di foschia e nebbia come quella non c’era modo di capire se il sole fosse sorto da qualche parte, o se il mondo si fosse ormai rassegnato a vivere in una sorta di limbo grigiastro in cui a malapena si distinguevano le sagome contorte di alberi avvizziti, le ceneri sottili che il vento trasportava dal cuore nero e malato del Deserto, le impronte distorte di creature senza età che si imprimevano come ferite sulla terra arida.
Aveva oltrepassato il confine o era ancora nella sua patria? Difficile dirlo, ma che importava? Ogni giorno i suoi conterranei, brava gente con tanta forza di volontà, si battevano e si impegnavano a far sì che quel confine non avanzasse, anzi, che parte di quella terra contaminata dal vento di morte tornasse a fiorire e a fremere sotto la carezza della Natura. E lui era lì per proteggerli, per far sì che il loro viaggio potesse continuare, perché tutti i loro sforzi non fossero vani. Stava lì e aspettava, paziente, che quelle che per il momento erano solo lievi ombre in lontananza prendessero forma, si avvicinassero un po’ di più. Potevano essere cinque o cinquanta, non faceva differenza per lui. Però voleva attendere che l’ultima cenere del sottile involto di erba pipa che teneva fra le labbra si mescolasse alla polvere cinerea ai suoi piedi. In cuor suo, nonostante tutto, detestava gli sprechi.
Uno, due, tre. Erano solo in tre. Che seccatura. Ma avrebbero rimpianto comunque la loro presenza in quel luogo, se anche le loro menti fossero state ancora capaci di rimpiangere qualcosa. Ma non aveva importanza. Decisamente era irrilevante. Il mozzicone cadde a terra senza rumore, soffocato immediatamente da una leggera folata di vento gelido. Ivan roteò leggermente il collo, guardando avanti a sé. Era pronto a scattare in avanti, a ridurre in polvere quei tre disgustosi ammassi di ossa e carne marcia a colpi di spadone, a cancellarne perfino il ricordo… sollevò la sua lama, che quasi sembrò brillare in mezzo a quella foschia lattiginosa e uniforme e le sue gambe si piegarono leggermente per prepararsi al balzo…

E all’improvviso qualcosa sfrecciò al suo fianco impetuoso e leggero come il vento, un frusciar di stoffa e capelli che – incredibile a dirsi! – lo colse impreparato. Fu solo la sensazione di un attimo, perché subito i suoi sensi furono assorbiti da ciò che stava accadendo alcuni passi avanti a lui: qualcosa, qualcuno stava attaccando con foga quelle che fino a un attimo prima erano le sue prede, qualche sprovveduto non solo aveva osato attraversare il suo thanpura, ma adesso gli negava pure tutto il divertimento!
Decisamente contrariato, Ivan caricò in avanti, assestando un colpo poderoso alla creatura disfatta e putrida che arrancava dinanzi a lui e letteralmente dividendola a metà. Ivan si voltò per affrontare le altre due, ma non poté far altro che stizzirsi ulteriormente quando si accorse che entrambe giacevano a terra spezzate e contorte. Dannazione, quello non era il modo migliore di iniziare una mattinata. No davvero. E inoltre quell’importuno era ancora lì, la lama leggermente ricurva stretta in pugno, e si scostava i lunghi capelli dalla fronte, con un mezzo ghigno stampato sulle labbra sottili. Una donna. No, anzi, una ragazzina. Alemarita, senza ombra di dubbio. Ma che importava? Era a meno di tre passi da lui, fra l’altro. Se Urama non la strafulminava entro un istante, ci avrebbe pensato lui.

– Li avevo visti prima io. – sibilò il ragazzo fra i denti, pronto a far scattare la sua rabbia. – Non ci ho visto scritto sopra “Ivan” da nessuna parte – sentenziò lei, tranquilla, guardandolo dritto in faccia.

“Così sai chi sono”, pensò lui, aggrottando leggermente le sopracciglia. Erano passati pochi anni da quando aveva lasciato la sua carovana per diventare una leggenda fra gli alfieri del vento e ancora molti suoi conterranei non erano in grado di riconoscerlo quando lo incontravano. Quella tipa, invece… come poteva starsene lì buona buona? Voleva provocarlo? Voleva prenderle di santa ragione? O era pazza?

– Sei nel mio thanpura. – insisté Ivan.
– E tu sei nel mio. – A quel punto il sopracciglio sinistro del ragazzo si inarcò di un mezzo millimetro. Ma che stava dicendo?
“Oh, basta, sarà anche una ragazzina, ma…” – Se voglio stare qui, dove peraltro ero prima di te, non c’è nessuno che possa impedirmelo, nemmeno tu.

L’astio represso di Ivan si liberò tutto in un colpo e la polvere e la cenere tutto intorno furono scagliate a metri di distanza, spazzate via da un’immensa ondata di energia che dissolse completamente quel che rimaneva delle tre creature putrefatte ai suoi piedi. Un attimo dopo, l’alfiere si pentì di quello scatto d’ira: dannazione, quella tipa aveva quattordici, quindici anni al massimo! Che gli era preso di prendersela con lei?
Ivan si stava ancora domandando come avrebbe potuto fare a rimediare alla situazione quando il polverone intorno a lui si diradò e ancora una volta – che mattinata! – dovette inarcare il sopracciglio quasi di un millimetro pieno: la ragazzina era ancora nello stesso punto e stava rialzandosi lentamente, impolverata e un po’ ammaccata, ma in buona salute, almeno.
– Va bene, adesso che mi hai fatta cadere siamo pari con il discorso dei cadaveracci… ti torna?
Ci vollero diversi lunghissimi istanti prima che Ivan si riprendesse dal mezzo imbambolamento che gli era calato in testa e prima che ricominciasse a ragionare normalmente. Per prendere tempo, comunque, nel dubbio si accese un altro involto di erba pipa, assorto nei suoi pensieri. Poi, come se quanto avvenuto prima fosse stato solo frutto della sua fantasia, si rivolse di nuovo a lei, che ne frattempo sembrava esser stata pazientemente lì ad aspettare una sua risposta.

– Che ci fai in un posto simile?
– Quello che ci fai tu. Li stendo.
– Guarda che questo non è un gioco.
– Perché, tu ci giochi, con quegli aborti là?

“Mmh.” Ivan stava pronunciando tutte insieme più parole di quanto avesse fatto negli ultimi due mesi. Tuttavia scoprì che la cosa non lo irritava poi così tanto. Ormai si era incuriosito. E poi doveva finire l’erba pipa.

– Sei una ragazzina.
– Ma sentiti! Avrai cinque o sei anni più di me al massimo.
– Fai come ti pare – scrollò le spalle Ivan che iniziava a sentire il peso di tutto quell’aria che attraversava le sue corde vocali – ma se rimani qui mi sei solo d’impiccio.
Lei rise forte, e poi diventò improvvisamente seria… uno sguardo adulto, grave, che Ivan aveva visto poche volte anche nel volto dei compagni che lo seguivano più spesso.
– Qui vicino c’è la dromeja Packo con due donne che devono avere il loro bambino di qui a pochi giorni… non voglio che nessuno le disturbi, anzi, non voglio che nessuno di quella carovana venga in qualche modo importunato proprio adesso. Non devono avere un pensiero al mondo a parte assistere le loro donne.
Esattamente il motivo per cui anche lui si trovava lì. Difendere Alemar, i suoi figli, la sua pace. Iniziava a piacergli, quella piccola piantagrane. Forse, anche lei sentiva l’urlo possente di Urama rimbombare in fondo all’anima. Forse.

– Sei ancora nel mio thanpura.
– Sono libera di andare dove desidero. – Ancora una volta, la ragazza non fece una piega, ma poi proseguì, addolcendo appena lo sguardo. – Ma visto che so che ci tieni e ti rispetto, mi sposterò di un paio di passi.
– No, non importa. Stai dove vuoi. – Ivan si stupì leggermente di aver pronunciato quelle parole.
– Ah, va bene. – rispose, spostandosi lo stesso. Poi, un sorriso radioso le si dipinse in volto. – Andiamo a cercarne altri? Ho sentito dire che mezzo miglio più a est ne sono stati visti parecchi.
– Perché no.

Forse la mattinata non sarebbe stata così irritante, tutto sommato. Forse sarebbe stata un’esperienza interessante combattere con a fianco una compagna così inusuale. Dopotutto, adesso che la guardava meglio, forse non era così giovane e inesperta e inoltre – da qualche parte nella sua testa emerse anche quest’informazione – era anche una creatura solare e su cui lo sguardo poteva indugiare con un certo piacere.
I due iniziarono ad avviarsi a passo rapido, e Ivan si accorse che lei gli teneva testa senza problemi, chiacchierando di tanto in tanto. Non era abituato a udire tante parole, ma stranamente non gli dispiaceva. La nebbia, nel frattempo, si era leggermente diradata e avevano iniziato ad addentrarsi in zone meno disastrate e desolate.
– …In realtà spero anche di trovare presto un paio di componenti che mi hanno chiesto gli Oslobadanje per forgiare un’arma come dico io… questa è buona ma non la sento mia… e spero anche di convincere i vecchi Volokson a lasciar partire Maeve… è un po’ più piccola di me, ma se tu potessi vedere quanto è forte e coraggiosa… magari gli adulti fossero tutti come lei! Io e te non avremmo più niente da fare e potremmo goderci tutte le cose meravigliose che ci sono in queste terre… – Chiacchierava quasi fra sé e sé, sorridendo entusiasta. Ivan intuì che dietro a tutte quelle parole c’era qualcuno abituato a viaggiare solo, ma che moriva dalla voglia di condividere quel che aveva dentro con un’anima affine e approfittava di tutte le occasioni in cui poteva farlo. La lasciò fare, non gli dispiaceva. No, anzi, da qualche parte in fondo all’anima ne traeva pure un certo piacere. Come quando bivaccava con i suoi compagni alfieri, o combatteva al loro fianco difendendo il suo ideale di libertà. Seppur in modo tanto diverso da lui, la stessa spinta e lo stesso fuoco lo ritrovava nella ragazza che camminava svelta al suo fianco. Fu solo dopo circa un’ora da quando l’aveva incontrata che si ricordò che non le aveva ancora chiesto qualcosa. Non era fondamentale, ma sicuramente era utile.

– Qual è il tuo nome?

Lei si voltò a guardarlo, ridendo.
– Katrinalea. Katrinalea Goska.

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