Una Rilassante serata di follia.

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Era ormai tardo meriggio quando Diego e Valerié avevano impastoiato i loro cavalli fuori dalla modesta bicocca valdemarita.

“Diego…. Diegooooo… Ma sei sicuro che questa locanda non sia una catapecchia?! Mi avevi promesso una serata indimenticabile”. La valdemarita si era portata la mano ai capelli muovendo i fianchi in quella che doveva essere una posa ammiccante.

“Vale! Non è colpa mia, soi povero e non me posso permettere di meglio, oltretutto mi ha consigliato questo posto il mio amico J.C., sicuramente nasconderà delle attrattive muy bonite…”. Diego non si era fatto adescare dalle movenze della compagna, sembrava quasi che fosse pensieroso, distratto e in qualche modo in ansia.

-Alla mierda amigo!!! Non te riconosco!!! Mica avrai preso quella brutta malattia della fluidità?!?”.
In una piccola nuvoletta rossa era comparso l’amico immaginario di Diego, una creatura completamente nuda che aveva il corpo glabro di un bambino con due piccole ali da mosca, in testa portava un cappello a tesa larga con una piuma blu mentre nelle mani aveva due piccole pistole che roteava mentre parlava e gesticolava, il volto barbuto ed ingrugnito era senza ombra di dubbio quello di Rahul. Lo spirito guida di Diego, la sua coscienza delle esperienze sessuali faceva la sua comparsa.

“Rahul, non è il momento…” Bofonchiò Diego tra i denti per non farsi sentire da Vale.

Nel frattempo i due avevano oltrepassato il cancello di entrata e l’alto muretto di pietre che fungeva da recinzione a tutto l’immobile. L’aspetto era totalmente differente dai normali edifici valdemariti, questo era per lo più in legno e paglia, le porte erano quasi tutte scorrevoli con vetrate in carta sottile e il pavimento pareva di canapa intrecciata.
L’abitazione era tanto strana quanto i due gestori, due persone in là con gli anni dall’aspetto esotico e con strane vesti totalmente avulse da quelle che si potrebbero trovare nei Ducati.
“Plego signoli, voi accomoda, noi plepara stanza pel coppia?! No signole, tolga le scalpe nel nostlo Onsen…” Diego e Valerié rimasero stupefatti dell’accoglienza e della rarità del luogo. Valerié rimase stupefatta anche del colore differente delle calze di lana dell’uomo e che una di queste era forata, probabilmente di una taglia sbagliata e lasciava intravedere il pollice dell’erigassiano. Infine, entrambi sospettavano che i due potessero essere i genitori della Piovra del Pizzo, ma tutto venne presto dimenticato quando Diego si guardò i piedi scuotendo la testa e simulando il volto contrito di un mendicante.

“Ahi Caramba, l’avevo detto che ero mas povero, paghi te mia splendida musa?!”.

Valerié lo guardò con fare bisbetico “Homme Sofà, non erano questi gli accordi sai… Non mi prenderai ancora in giro come oggi, paga con quelle quattro scaglie che mi hai estorto questa mattina”. Automaticamente Diego tolse qualche scaglia dalla scarsella e pagò senza replicare, con le movenze di chi sapeva di essere nel torto.
Forse fu la camera da letto a stupire di più i due, era del tutto avulsa dallo standard Ducale, aveva pavimenti e rivestimenti in quella che pareva canapa intrecciata, era spoglia e lasciava spazio solo ad una nicchia dove vi erano appoggiate alcune statue, dei fogli di pergamena, un pennello e dell’inchiostro. Al centro un basso tavolo, non erano presenti sedie ma solo cuscini. Aprendo le due ante a scorrere si accedeva ad un portico in legno e si poteva scorgere uno splendido giardino, curato e pulito, al cui centro spiccava una sorta di piscina fumante divisa da un separè in carta.
Appoggiati sul un angolo della stanza, su dei cuscini, alcuni semplici abiti simili a quelli dei due gestori.
La donna anziana, con fare abile, servile e quasi invisibile, si era portata accanto al basso tavolino e vi aveva appoggiato alcuni bicchieri di terracotta e successivamente vi aveva versato un liquido scuro e fumente. Mentre se ne andava, facendo scorrere la porta dietro di lei, lasciava intendere che il pasto si sarebbe consumato non più tardi delle nove.
“Homme sofà! Mi devo ricredere, in che posto mi hai portato?! Se la tua idea era quella di stupirmi ci sei riuscito” la valdemarita aveva già toccato, rimescolato e visitato già per metà la stanza.
-Cabron Maldido!! Soi fiero de te!! Per un momento credevo che tu stessi male… E invece hai morso al collo la VALE e l’hai trascinata nella tua tana…” Il piccolo Rahul si complimentava con l’amico facendogli pat pat sulla schiena e sparando un paio di colpi in aria con le proprie pistole per festeggiare.
“E ora tutti a fare il bagno!!” erano passati pochi istanti in cui la valdemarita era riuscita a cambiarsi e correre verso la polla d’acqua calda, tutto questo senza farsi notare e ora che l’acqua la copriva fino alla testa e i fumi la rendevano diafana sia Diego che il piccolo putto erano rimasti scioccati di cosa si erano persi. “Dai Homme Sofà vai nella tua parte di polla, non sbirciare eh…”.

-Alla Mierda Homme sofà dei miei stivali, se stasera non concludi, giuro…giuro…
Non era nemmeno riuscito a concludere il discorso il piccolo Rahul, un fiotto di sangue dal naso aveva inondato la spalla dell’amico, mentre qualcosa si faceva strada nei suoi pensieri. D’un tratto i muscoli del putto si erano tesi allo spasmo, ingrossandosi e delineando l’aspetto di quello che sembrava più un gladiatore che l’esile corpo dello spirito guida, gli occhi erano divenuti verdi ed iniettati di sangue, la barba e i capelli in genere corvini e curati si erano sollevati come se lavorati con il grasso e si erano tinti di biondo platino, il cappello sotto la spinta dell’aura dorata che si sprigionava da Rahul era caduto a terra. Il Super Putto era pronto all’azione. Era palpabile lo sforzo che lo spiritello stava facendo per mantenere quella forma, tantè che un PROTTT!! ruppe il silenzio di quell’apparizione.

-Escusame… sai lo sforzo… Ora ti cambi, e vai a fare il bagno, intanto io cerco un succhiello per fare un foro nella paratia e… e… e…

Un altro fiotto di sangue aveva imbrattato la spalla dell’uomo.


L’acqua era calda e fumante, Diego si stava adagiando nel fondo della piccola vasca per rilassarsi e non pensare alla brutta giornata mentre una voce angelica e serena canticchiava un qualcosa di strano, sillabando parole senza senso, uno sciacquettio in sottofondo lasciava immaginare che qualcosa stesse affogando nella vasca.
-La…La…La…LLalaaaa… Io faccio la cacca quando mi scappa La…La…La…LLAlaaaa… Io faccio la cacca quando mi scappa oh…ohhhh…oooohhhooo….
E cosi continuava la fatina Vivi che si trovava nel mezzo della vasca con un anello di legno che la sorreggeva e la faceva galleggiare mentre una pezza di stoffa sopra la testa la proteggeva dall’acqua nei capelli, era pacifica e felice come sempre, giocava con l’acqua e tentava di schizzare il putto che si ritraeva coprendo la polvo nigra.
-Creo entienda dir che vuole liberamente esprimere la sua fede religiosa de fronte a chiunque… Non vuole più tenerse dentro i problemi, insomma è come defecar alla latrina… Il piccolo Rahul si era portato all’orecchio dell’amico bisbigliando per non farsi sentire, cercando di psicanalizzare una creatura di per se imcoprensibile.
“Sai Rahul… Io credo che sia semplicemente loca… Ma l’adoriamo così no?!”. I due amici annuivano all’unisono.
D’un tratto però il silenzio, poi un guizzo dall’acqua aveva portato la fatina a svolazzare accanto a Diego in apprensione, ed ora si mostrava in tutta la sua stupefacente glitterosità, il corpo di una bella dama con le ali da farfalla multicolore era cinto da un vestito principesco rosa confetto, in mano teneva una piccola bacchetta di legno alla cui estremità era legato l’inconfondibile simbolo di Talnuth, mentre in testa calzava, al posto della pezza, un cappello. Con un sorriso sporco di sangue la Fatina Vivi mostrava i suoi stupendi canini.

-No… E’ qui… Lo sento… Lo percepisco…
In un baleno, tra il fumo, in lontananza, quasi a miglia di distanza, si stagliava una presenza carica di nobiltà avvolta in un lungo mantello, in testa aveva un cappello a tesa larga su cui spiccava un falcone con quattro teste, in una mano teneva una sorta di piolo di legno, mentre nell’altra un cestino da pranzo probabilmente preso a qualche simpatica valdemarita, la testa deforme e bitorzoluta, il pizzetto azzurro e lo sguardo duro non lasciavano scampo ad interpretazioni di chi poteva essere.
-Oh mierda… The Emperor cacciador de Nozferatu… Il putto si era allontanato dalla fatina visibilmente in apprensione.
Diego se ne stava invece in ammolo, quasi in trans, come a rimirare quello che il suo cervello bacato riusciva a produrre.
D’un tratto qualcosa lo riscosse, un ombra nera cadde dal celo sopra la testa di Rahul schiacciandolo sotto il suo immane peso. La piccola creatura che troneggiava sopra il putto era differente da tutto il resto della combriccola, a partire dal suo colore, ferro, lucido ferro la copriva dalla testa ai piedi, sembrava oltretutto più una campana che una creatura, la silouette di una donna era appena accennata, non aveva ne braccia ne gambe, la panoplia che la ricopriva era decorata a fiocchetti, in testa portava un bizzarro copricapo di piume anch’esso di colore metallico, il volto, molto più lavorato del resto era quello di Valerié. Seppur il peso della creatura sembrava immane e la sua forma non adatta al volo lei se ne infischiava e fluttuava a mezz’aria sospinta da una propulsione a fiocchetti viola che perdeva continuamente da quello che ora, visto più attentamente, pareva il sotto della sua gonna, questi toccavano terra e svanivano in bizzarre nuvole color lavanda. Così pareva che un altro sentimento si faceva strada nella dura scorza da canaglia dell’erigassiano, Vale la Vergine del Ierro, la coscienza pura di Diego incontrava i suoi compagni per la prima volta.

-Alla mierda, proprio la vergine del Ierro doveva arrivare, più ierro che vergine eh… ehehe.
Con un sorrisetto beffardo lo sguardo malevolo del putto aveva incontrato quello austero della vergine.

-stai-attento-piccolo-sgorbietto-a-quello-che-dici-potrei-fagogitarti-immantinente. senza prender fiato una sequenza infinita di parole avevano bombardato i timpani del povero Rahul. Sconvolto e barcollante, il piccolo putto aveva perso il suo vigore ed era tornato all’aspetto iniziale. D’un tratto l’essere metallico si era aperto a mo’ di porta e aveva mostrato al suo interno uno spazio buio ed infinito, gli oggetti del putto, compreso le pistole e il cappello erano stati fagocitati al suo interno; il piccolo Rahul si trovava a carponi con il sedere all’aria, completamente nudo e semisvenuto.
-Ora-tutti-i-tuoi-oggetti-sono-miei-sgorbietto-dei-miei-stivali. Un’altra sequela di parole senza prendere fiato, vomitate ad una velocità inusitata; finalmente Rahul sapeva quello che Lucien doveva subire ogni giorno della sua vita nel dover tentare di estorcere almeno un oggetto a Valerié.

“Diego!?Diego!? è ora di cena!!! Come è strano che tu te ne sia stato buono buono senza provare a spiarmi… mica sarai diventato fluido?!” Anche Valerié che si era preparata al peggio, portandosi un bastone nodoso dentro la polla d’acqua era rimasta stupefatta che l’erigassiano non si fosse prodigato in qualche trucchetto dei suoi, ma era anche conscia che la serata era lunga e che poteva essere una tecnica per farle abbassare la guardia.

PUF…PUF…PUF…PUF

In quattro nuvolette di fumo le piccole creaturine erano svanite mentre l’erigassiano si era destato dal torpore dei suoi pensieri incasinati.

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